MALENA
 

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REGIA:    
Giuseppe TORNATORE

PRODUZIONE:  Italia   -   2000   -   Drammatico

DURATA:  105'

INTERPRETI:
Monica Bellucci, Giuseppe Sulfaro,
Giovanni Litrico, Daniele Arena

SCENEGGIATURA:
Giuseppe Tornatore

FOTOGRAFIA:
Lajos Koltai

SCENOGRAFIA: 
Francesco Frigeri - Bruno Cesari

MONTAGGIO: 
Massimo Quaglia

COSTUMI: Maurizio Millenotti

MUSICHE: Ennio Morricone

Trama

Sicilia, primi anni Quaranta. Il giovanissimo Renato concepisce una passione "matta e disperatissima" per la figlia del suo insegnante di latino, conturbante vedova di guerra, oggetto del desiderio e pietra dello scandalo del borgo di Castelcutò.

Recensioni

 

 

 

Monica, Monica, amore mio

Dopo le ferie "oceaniche", Tornatore ricomincia dalle (sue) origini, apparentemente: ricostruzione d'epoca raffinata, per non dire calligrafica, vicenda d'ambiente siciliano con dialoghi in dialetto, filtro onnipresente (e a volte asfissiante) del ricordo, il tutto pensato per il mercato internazionale (coproduce la Miramax), da sempre sensibile al fascino dell'antiquariato "di provincia". Ma in "Malèna" è possibile trovare tracce del grande assente di quasi tutti i precedenti film del regista, certamente di "Nuovo cinema Paradiso", vale a dire il senso dell'umorismo. Pur senza rinunciare agli stereotipi della narrazione cinematografica "romanzesca" (la voce fuori campo, le scene d'iniziazione emotiva ed erotica), la regia combina con un gusto meno scontato del previsto momenti di canonica commozione (alcuni davvero riusciti, sobri e sconvolgenti, come la scena del linciaggio) e pause di pungente autoironia, in cui vengono derisi, attraverso un uso grottesco delle iperboli, i luoghi comuni dell'arte sacra (la Pietà) e del cinema d'epoca (i primi seni al vento, le velleità dei polpettoni storici e le improbabili acrobazie dei film d'avventura), e più in generale gli schemi legati alla visione che da sempre i maschietti hanno dell'altra metà del cielo, esemplificati dal binomio santa/puttana (ed ecco Malèna immaginata di volta in volta come Maddalena pentita ma non troppo, come Madonna portata in processione, come Giovanna d'Arco dai capelli a caschetto). La passione di Renato per la bella Malèna viene trattata senza eccessivi stilemi tragici e soprattutto senza morbosità, con un tono divertito e complice e una buona dose di "realismo magico" che non cerca di attenuare l'impatto (piuttosto forte) delle sequenze erotiche ed allo stesso tempo lo stempera in un sorriso appena velato dallo scorrere del tempo (Tornatore si dimostra, in questo caso, degno erede del Fellini di "Amarcord", citato esplicitamente nella sequenza del cinema). La Bellucci, divinamente bella, statuaria come una creazione di Fidia, è una sorpresa: il suo volto di alabastro, magnificamente duttile, fa quasi dimenticare la voce un po' sgraziata (ma per fortuna Malèna parla poco, e quasi sempre sussurrando); efficace anche il protagonista, l'esordiente Giuseppe Sulfaro, che riesce a non sfigurare al cospetto di tanto carisma. Ma, dato che nessuno è perfetto, Tornatore avrebbe dovuto concedersi qualche attimo di ulteriore riflessione a proposito della sceneggiatura, un susseguirsi di "sequenze chiave" ricche di "colpi di scena" che non impressionano più di tanto, per giunta ammosciate da dialoghi troppo letterari per essere convincenti: e, alla fine, un'ora e tre quarti di "sogni e visioni" interamente costruite sul corpo della bella Monica, con contorno di macchiette paesane alla Germi, finisce per annoiare anche lo spettatore meglio disposto.

Stefano Selleri


Tornatore a casa sua

Dopo un film controverso come "La leggenda del pianista sull'oceano", che ha spaccato la critica in entusiasti e critici, un film comunque d'ampio respiro, con grandi mezzi ed un cast internazionale, Tornatore, decide di ricimentarsi con un film "più piccolo", che lo riporta in Italia è più precisamente nell'amata Sicilia.
La storia ambientata in un piccolo paesino di questa regione, è vissuta e attraversata in maniera decisiva dal luogo in cui si svolge, da cui trae linfa vitale per i suoi tentativi di dipingere un quadro della Sicilia fascista e immediatamente post-fascista. Il tutto è visto dall'occhio di un giovane abitante del luogo, innamorato perdutamente della donna più bella del paese, donna vittima dell'invidia delle altre donne, e preda ambita della bramosia degli uomini, che la vedono come un oggetto da possedere ed usare. Il parallelismo tra la storia, vissuta come successione d'avvenimenti che coinvolgono i protagonisti e li cambiano, ed il paese, visto come un'eterna entità immutabile e impossibilitata ad evolversi per l'ottusità delle sue genti, è sicuramente ben riuscita, ed in questo Tornatore è ancora una volta maestro, nel costruire e saper raccontare delle belle storie di un'Italia che sembra lontanissima, e che invece si trova appena dietro l'angolo. L'opera è sicuramente ben strutturata, e non manca la mano dell'autore, nel saper alternare con maestria scene drammatiche e gag esilaranti (indimenticabile la scena della chiesa in cui viene distrutta la statua del santo), ma si ha l'impressione che il regista abbia voluto calcare la mano nelle fantasie del bambino, che alla fine risultano troppo numerose, e alcune volte scontate e fuori luogo; ma probabilmente questa è l'unica vera pecca riscontrabile nel film, che altrimenti risulta un lavoro buono sotto ogni punto di vista. La regia è sicura e fluida, anche nelle scene di massa, e si nota che Tornatore ha fatto veramente esperienza nella lavorazione del suo precedente e tormentato film; questa sicurezza, si ritrova anche nella direzione degli attori; ed anche un'attrice, non molto apprezzata per la sua bravura, come la Bellucci, è assolutamente soddisfacente nella Maddalena versione profondo sud. E' vero che i momenti di vera recitazione della bellissima Monica sono veramente pochi, ma la grandezza di un attore, attrice in questo caso, sta anche e soprattutto nel sapere trasmettere delle sensazioni primordiali con uno sguardo o con un gesto del viso appena accennato, per non parlare della fisicità di questa attrice che incanta ad ogni inquadratura. Probabilmente Tornatore, che molte volte è stato accusato di essere il meno italiano dei registi, per via del suo stile così fastoso ed americano, è l'unico attualmente in grado di saper ricreare ancora dei personaggi scomparsi nella memoria di un paese, che ha avuto troppa fretta di buttarsi in avanti, nel progresso, ed ha perso il ricordo di ciò che era: ricordo essenziale per imparare a correggere i propri errori. Un film, molto più profondo di quello che lascia intendere, e che probabilmente ci invita a riflettere su ciò che eravamo.

Matteo Catoni


L'età dell'innocenza

I film di Tornatore sembrano tenuti insieme dal filo della memoria. Una tessitura di ricordi che anche nel nuovo e atteso Maléna porta il regista nella Sicilia delle sue origini per raccontare, in parallelo, l'iniziazione sentimentale di un ragazzino e l'evoluzione di una donna, troppo bella e sensuale per la quotidianita' di chiacchiere e invidie di un piccolo paese di provincia. Lo sguardo del regista, e' pero' piu' affettuoso che critico, attento a cogliere e sottolineare con complicita' i turbamenti sessuali e affettivi del piccolo protagonista, un assai disinvolto Giuseppe Sulfaro. E gli slanci emotivi e i sogni ad occhi aperti del giovane Renato, sono tra i momenti piu' riusciti del film, mentre la descrizione dell'ambiente familiare e della vita di paese, sembrano un po' troppo di maniera, forse calcati per soddisfare le aspettative d'oltreoceano di un'Italia "anima & core". Aspettative che il colosso produttivo Miramax, visto l'ingente investimento (si parla di una quarantina di miliardi), ha certamente calcolato di soddisfare.
Poi c'e' lei, la silenziosa co-protagonista, oggetto del desiderio su cui il film e' costruito. Monica Bellucci appare perfetta nel ruolo, anche se l'ingombrante immagine di modella reginetta dei calendari non e' cosi' facile da cancellare e, nonostante gli sforzi, l'interpretazione, giocata su misura e sottrazione, non produce sempre risultati espressivi adeguati. Bisogna comunque riconoscere la non indifferente capacita' del regista di raccontare una storia, in fondo piccola ma resa grande, potenza del cinema, grazie alla cura del dettaglio e alla riuscita coesione di elementi quali il montaggio fluido, la bella fotografia e la colonna sonora incisiva ed evocativa. Un insieme ben amalgamato che rende la visione, se non proprio struggente come il tono della narrazione presupporrebbe, sicuramente coinvolgente e piacevole.

Luca Baroncini

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La bella Bellucci in un mondo di brut(t)i

"Malèna", il tanto pubblicizzato film di Giuseppe Tornatore, incornicia l'assoluta bellezza mediterranea di Monica Bellucci in una Sicilia troppo siciliana: gallismo, bigottismo e ignoranza.
La pietanza è presto servita: prendete una bella porzione dei romanzi di Ercole Patti, aggiungete una buona dose di dongiovanni e galli brancatiani, coprite con una spolverata di erotismo alla Moravia, innaffiate il tutto con un Pirandello d'annata, non mancate di accompagnare il piatto con generosi pizzichi di commediaccia all'italiana, magari con qualche puntatina tra supplenti e pierini e tra Alvaro Vitali, Turi Ferro e Edwige Fenech, rimestate ben bene per far amalgamare gli ingredienti (si consiglia l'uso del politicamente corretto) e servite il piatto riscaldato dal barocco e dal dialetto siciliani, che sotto l'impero di Andrea Camilleri fanno sempre audience. Ecco a voi Malèna, l'ultimo film del regista siciliano Giuseppe Tornatore, con una fulminante Monica Bellucci e un ragazzino in gamba di nome Giuseppe Sulfaro. Ma alla fine, se non avrete avuto problemi di stomaco ben prima, vi troverete davanti due strade: avrete digerito il tutto con grande facilità, grazie al vostro amore infinito per Tornatore e per Monica Bellucci, e allora potrete avere il permesso di gridare al capolavoro (ma per farlo aspettate l'indomani, dopo il vostro mattutino passaggio in bagno); oppure sarete usciti dalla sala con un gran mal di testa, una strana sensazione di nausea e la paura che, da un momento all'altro, quell'intingolo esplosivo decida di lasciare le vostre viscere e prendere una boccata d'aria. E come quando si pigiano troppi tasti sul pianoforte e non si ha l'abilità di tirare fuori da quell'esperimento un'armonia perfetta, così un regista, che tenta di inserire nella sua pellicola tante reminescenze e tanti registri artistici, corre il rischio di perdere il filo del proprio intento, seminando qua e là citazioni, omaggi, plagi, finendo per creare un'opera maculata in cui grottesco e dramma, tragedia e comicità, volgarità e poesia, introspezione e realismo si pestano i piedi a vicenda annullando di fatto il proprio valore.
Sì, perché, a parte gli scherzi (anche se allo scherzo di Tornatore verrebbe voglia di rispondere per le rime), diciamocelo chiaro: siamo stanchi di dover continuare ad assistere alla rappresentazione di una Sicilia che, a tutti i costi, deve essere "quella" Sicilia, altrimenti rischia di non attirare l'occhio impietoso e presuntuoso del resto d'Italia. È vero, quella immaginata da Tornatore è la Sicilia di sessant'anni fa, ma ciò non toglie che tutto faccia sottintendere che da allora niente è cambiato, e che la nostra terra sia ancora popolata da avvocatucoli panciuti e mammoni, donne baffute, bigotte e pronte a tutto pur di difendere la pace del focolare domestico, ragazzini sbavosi e onanisti al limite della malattia, una Sicilia insomma ancora zavorrata da pregiudizi, arretratezza, ignoranza, povertà, e soprattutto - e la cosa fa forse ancora più male - la gente siciliana deformata dalla bruttezza fisica e morale, in cui per contrasto la bellezza luminosa di Ma(dda)lèna Scordia non può far altro che affondare tutti gli altri nella melma del brutto e, addirittura, dell'orrido.
Peppino Tornatore ci aveva abituati fin troppo bene, con quel capolavoro di altissima poesia che è stato Nuovo cinema Paradiso, l'allegorico e cerebrale Una pura formalità con il gigione Gerard Depardeau, il già pericolosamente falso L'uomo delle stelle comunque ancorato ad una visione poetica della Sicilia, e il penultimo ben confezionato La leggenda del pianista sull'oceano, uno dei pochi casi in cui il film riesce meglio del libro da cui viene tratto. E adesso, invece, un mezzo passo falso, diciamo "mezzo", perché poi le solite ancelle di corte potrebbero inalberarsi e proporre Malèna all'Oscar. È venuta l'ora, invece, di ribellarsi a questa necessità masochistica di raffigurarsi come macchiette manipolate dal sesso e dall'universo che lo circonda, prendendo a scusante autori come Brancati (il cui gallismo era solo la punta di un iceberg di disperazione e sofferenza interiore completamente assenti nel film di Tornatore), Pirandello (la cui Esclusa viene qui rivoltata e strapazzata) e Moravia (chi ha letto Agostino lo sa), oppure appellandosi al passato cinematografico, alle opere di Pietro Germi o di Federico Fellini (ancora lui, lo sappiamo, ma non ci possiamo fare niente: in Italia quando si parla di cinema si parla solo di lui, purtroppo). Tornatore ci racconta la storia di Maddalena, il cui nome viene contratto in Malèna, dando così un'ulteriore interpretazione filologica del personaggio (cattiva?), una ragazza "la cui unica colpa è la bellezza" in un mondo in cui la ragazza più carina ha la crocchia, una decina di nei sul volto e una bizzarra peluria sopra le labbra; Malèna intraprende un percorso classico di perdizione, caduta e resurrezione: diventata vedova diviene l'oggetto del desiderio dei maschi del paese (poveracci, sono da capire, con quelle mogli che si ritrovano, ma d'altronde l'abbiamo capito che in Sicilia le donne sono tutte brutte), finendo quindi per abbandonarsi al peccato e essere allontanata a pugni, calci e sputi dalle donne del paese, come la Boccadirosa di De Andrè. Il tutto visto con gli occhi poco innocenti di un ragazzino, innamoratosi perdutamente della bellona, nella quale investe tutte le proprie energie psicofisiche, correndole dietro in bicicletta e dedicandole faticosissime masturbazioni notturne. Gli ultimi minuti del film vedranno il ripristino delle condizioni iniziali, con tanto di colpo di scena e di riconciliazione buonista.
Alla fine, quindi, il disorientamento c'è, non sapendo lo spettatore se dichiararsi sconfitto dalle pierinate del protagonista, oppure farsi comunque convincere dal corpo sbandierato della Bellucci, dalle musiche sempre fresche e coinvolgenti di Moricone, dagli stupendi scenari barocchi di Siracusa e Noto. Lasciamo nel dubbio lo spettatore, ma una considerazione finale potremmo anche farla: qualcuno potrebbe consigliare a Tornatore di guardare la Sicilia di oggi, di vederla nel presente, magari immaginandone il futuro? Potrebbe tirarne fuori un vero capolavoro.

Domenico Ternullo


Malèna (Paura e Desiderio nel cinema di Tornatore)

L’Italia in guerra (la Storia Fascista) e la Donna in Sicilia (Antropologia e Geografia nel Meridione). Paura e Desiderio colti attraverso lo sguardo di un adolescente in bicicletta (l’occhio innocente ma perturbante della macchina cinematografica). Queste coordinate spazio-temporali costituiscono la mappa che definisce le intenzioni/intuizioni di Tornatore.
Mai come in questo film il regista siciliano (che, come si può evincere dalla sua filmografia, è sempre mosso, forse di qui la splendida e perenne oscillazione dei suoi amati piani-sequenza, dalla paura di essere vittima di una eccessiva territorializzazione della sua poetica e dal contrastante desiderio di deterritorializzare il suo immaginario tramite la memoria cinematografica collettiva) si lascia tentare dall’erotismo, dalla seduzione e dalla sensualità della pell(e)icola al punto di masturbarsi con essa (un vero e proprio atto d’amore che si concreta nella espressione della carnalità della Bellucci in tutte le sue "forme").
Può sembrare un paradosso ma forse in questo divertente/divertito desiderio onanistico di Renato (che però vive con la paura di essere rivelato/svelato) si riassume (nel bene e nel male) il cinema di G. Tornatore.
Tornatore ama il cinema (Leone, Germi, Fellini sembrano essere i suoi punti di riferimento, forse stilisticamente i registi meno "italiani" del panorama nostrano) e spesso è ricambiato (con sommo piacere/dispiacere dello spettatore ). Come tutto questo può tradursi anche in un manifesto visivo e politico contemporaneo?
Il Fascismo rappresenta la paura di svelare la cattiva coscienza di una Italia perbenista e violenta e il desiderio di affermazione ed onnipotenza della classe borghese (nel film il militare in carriera, il medico dentista, l’avvocato , il consigliere gerarca che, purtroppo non sufficientemente caratterizzati, rischiano di cedere ad uno stereotipato bozzettismo di maniera ). La Donna meridionale (moglie/amante, santa/puttana, bruna/bionda ) è vittima designata e proiezione (totem-paura e desiderio-feticcio) di una società ipocrita fondata su ancestrali valori maschili/isti.
In conclusione Malèna (superfluo, forse, soffermarsi sul fascino sottile e perverso di questo nome che richiama anche semanticamente sentimenti come Male/Malìa) non è il miglior film di Tornatore ma certamente è uno dei suoi più rappresentativi.

Sergio Sasso


Stefano
Selleri

Matteo
Catoni
7

Oboo
 

Luca
Baroncini
7
Daniele
Bellucci
5
Simone
Ciaruffoli
Manuel
Billi
2
         
 

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