Recensioni
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Azione e Melodramma: un mix senza
scintille
La Cina del XVII secolo, agli albori della dinastia Qing, attraverso l'estetica del futuro in grado di superare i limiti della gravita' per permettere ai corpi di librarsi, finalmente liberi, in volo. E' questa la sfida che affronta Ang Lee dopo il controverso "Cavalcando con il diavolo": un "Ragione e sentimento" in versione "Matrix". L'operazione, di indubbio fascino, risulta riuscita solo in parte.
Se i combattimenti, coordinati da Yuen Wo Ping (lo stesso di "Matrix" e "Charlie's Angels") sono estremamente coinvolgenti e fluidi, il melodramma che ci sta intorno gira un po' a vuoto, non riuscendo mai a catturare la complicita' dello spettatore. La sceneggiatura, infatti, costruisce personaggi problematici, ma li risolve senza troppe sfumature trasformandoli in eroi di cartapesta, tanto abili nel combattere quanto noiosi nel rapportarsi tra loro. La giovane e bella protagonista, ad esempio, vuole trasformare la sua vita in un infinito combattimento per evitare gli obblighi di un matrimonio imposto, e nella pratica non ha mai un dubbio, mai un momento di sconforto, mai una debacle. E l'eroe invincibile risulta, oltre che poco credibile, anche poco interessante. Si', l'atmosfera e' leggera, l'obiettivo sembra il puro divertimento cinematografico, ma le tutto sommato poco convincenti motivazioni dei personaggi non bastano per alimentare lo stupore.
Curiosamente, la confezione impeccabile e la freddezza del risultato ricordano molto da vicino le sensazioni procurate dal precedente "Ragione e sentimento", tratto dal romanzo di Jane Austen. Molto meglio la cattiveria di "Tempesta di ghiaccio", la leggerezza di "Banchetto di nozze" e la semplicita' di "Mangiare bere uomo donna". Un Ang Lee sicuramente meno tecnologico ma piu' coinvolgente, capace ancora di emozionare raccontando una storia.
Luca Baroncini
Made in...?
Erranti i guerrieri e con loro la nostra attenzione. Una Cina che vorrebbe farsi leggenda, fiaba medievale, e che e' solo fondale sgargiante, scenografia convenzionale e finta per una catena di accadimenti in cui speciale, a parte gli effetti, e' solo la noia. L'inizio al cloroformio, con un Chow Yun Fat, caricaturale a sua insaputa, che sciorina scempiaggini, e' solo l'anticipo di un'annacquata batteria di stereotipi, di un Oriente da cartolina taroccata, come viene immaginato da chi frequenta certi mercatini rionali, rivenditori di cianfrusaglie, da chi raccoglie mediocri dispense new age. Da domani potra' disporre anche della videocassetta che fa per lui. Come dire? E' tutto cosi' smaccatamente cinese da parere americano. E non sorprende, dunque, il clamore critico statunitense di fronte a questa pallosissima baggianata (e di rimando il favore da culto che e' seguito in Europa) e la forte diffidenza che i cinesi, davvero maltrattati nella loro cultura millenaria ridotta a formulette, hanno espresso nei confronti della pellicola. Vincera' tanti Oscar? Lasciamo queste previsioni a chi pensa che tali sciocchezze riguardino il cinema, atteniamoci ai fatti. Lee non si limita ad annoiare, intende strafare: viaggia malamente tra i generi (c'e' il melodramma, il western, l'action movie e chi piu' ne ha...) con falsa ingenuita' da neofita, imperdonabile dunque, smaccatamente convinto di porre in essere un'operazione intelligente (che' tanto c'e' sempre il critico pronto ad andare in sollucchero per queste facili ibridazioni che fanno tanto postmoderno), azzarda un flashback di rara melensaggine, toppa clamorosamente nella descrizione dei personaggi. Suscita risate involontarie con alcuni passaggi di dialogo che definirei impagabili, se non fossero stati davvero pagati.
Cosa resta dunque? Cosa motiva cotal clamore? I combattimenti, l'esercizio di arti marziali "alla Matrix"? Si', certamente: le figure danzano nell'aria, disegnano coreografie splendide, duelli esasperati in cui il sangue arriva quasi come un accidente. La convulsa, iniziale contesa notturna e quella finale tra i giunchi sono bagliori che illuminano improvvisi una penombra che ispira una meditazione ai confini estremi del sonno (della ragione e non). Ma non il nostro (purtroppo).
Luca Pacilio
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