L'ULTIMO BACIO
 

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REGIA:    
Gabriele MUCCINO

PRODUZIONE:  Italia   -   2000   -   Commedia

DURATA:  115'

INTERPRETI:
Stefano Accorsi, Giovanna Mezzogiorno,
Stefania Sandrelli, Pierfrancesco Favino, Giorgio Pasotti, Regina Orioli, Martina Stella

SCENEGGIATURA: Gabriele Muccino

FOTOGRAFIA: Marcello Montarsi

SCENOGRAFIA: Eugenia F. Di Napoli

MONTAGGIO: Claudio Di Mauro

COSTUMI: Nicoletta Ercole

MUSICHE: Paolo Buonvino

Trama

Carlo (Stefano Accorsi) aspetta una figlia da Giulia (Giovanna Mezzogiorno), ma l'idea di diventare padre e sistemarsi definitivamente lo spaventa. Attorno a lui i suoi amici più cari, vivono allo stesso modo la paura di diventare definitivamente grandi…

Recensioni

 

 

 

Una bella conferma

C'era attesa per l'ultimo lavoro di Gabriele Muccino, autore che, con la precedente opera "Come te nessuno mai", aveva dimostrato buone qualità stilistiche, e una personalità sconosciuta alla maggior parte dei registi italiani emergenti. Non era facile ripetere il successo della precedente produzione, ma si può affermare, senza ombra di dubbio, che "L'ultimo bacio" è un film riuscito, ed in definitiva molto bello. Basato su una sceneggiatura scritta dallo stesso regista, l'opera si snoda senza sosta, raccontando parallelamente le vita dei numerosi personaggi del film, ed avendo come filo conduttore il rapporto di coppia, visto sia dagli occhi dei trentenni, che sono i veri protagonisti del racconto, sia con lo sguardo disincantato degli adulti, che oramai conoscono bene i problemi che una lunga storia porta con sé. Dunque il vero protagonista del film è la coppia, il riuscire a vivere con una persona, il trovare la magica alchimia che permette d'amarsi per l'eternità. Il tutto descritto con un realismo sorprendente, e con una semplicità che riesce a farci apprezzare anche le situazioni e le battute tutto sommato un po' scontate. A scandire il ritmo degli avvenimenti, c'è il costante supporto della musica, che in alcune sequenze e la vera protagonista della scena; bisogna notare come gli innesti musicali siano è un vero e proprio punto di riferimento per Muccino, che sa dare forma e parole agli stati d'animo che il sonoro di volta e volta produce inconsciamente nello spettatore. Ma ciò che più sorprende, è il fatto che questo giovane autore, abbia già sviluppato un suo stile, riproponendo degli elementi già inseriti con successo nelle sue precedenti fatiche: uno su tutti è ravvisabile nella fisicità di personaggi, che molte volte sono lasciati liberi d'esprimersi tramite il loro corpo, vero canale diffusore per le emozioni più sincere e forti. Da notare come l'elemento del movimento, sia a piedi che con qualsivoglia mezzo, dei protagonisti del film, assume un significato simbolico, a seconda delle situazioni: fuga da qualcosa che non si vuole più, disperato tentativo di raggiungere qualcosa che si è perso o estrema possibilità di cambiare la propria vita. E non è un caso che il film si chiude con Giulia che corre, ed apre il suo cuore ad una nuova persona. Dunque movimento visto come fondamento e linfa vitale, e agli antipodi la fissità, l'adeguamento ad una situazione di stabilità, vista come morte ed appassimento delle proprie esistenze. Ben riuscita è infine la scelta del cast, che ha i suoi punti di forza in un bravo, ma non strepitoso, Stefano Accorsi, e in una sorprendente Giovanna Mezzogiorno, perfetta nella parte della trentenne che aspetta una bimba e non pensa ad altro che costruirsi una vita tranquilla con la sua casetta e il suo cane. "L'ultimo bacio" possiede, in sostanza, tutte le qualità per essere annoverato tra i migliori film italiani dell'ultimo periodo, e non è un caso che la Miramax abbia già fatto firmare un contratto a Muccino per il suo prossimo film, che verrà realizzato a New York. Riuscirà a portare il suo stile anche oltre oceano? Ai posteri l'ardua sentenza.

Matteo Catoni


I "giovani, carini e disoccupati" crescono

Sono tante le considerazioni suggerite dal nuovo film di Muccino, che passa con disinvoltura dalla freschezza adolescenziale di "Come te nessuno mai" alla problematicita' piu' amara degli attuali trentenni. Partendo dagli aspetti tecnici, si deve riconoscere al giovane regista la capacita' di dirigere in modo molto convincente gli attori. Nel film, tutto il cast risulta in parte: Accorsi ha il giusto smarrimento, Giovanna Mezzogiorno e', oltre che molto bella, davvero espressiva, finalmente Stefania Sandrelli, che interpreta sempre il solito personaggio evanescente e un po' distratto, sembra piu' libera di esprimersi e non pare stonata, ma anche la giovanissima lolita Martina Stella e il bravissimo comprimario Claudio Santamaria colpiscono per spontaneita' interpretativa. A parte il cast, risulta efficace l'energia con cui le sequenze sono costruite, sempre ritmo, concitazione, movimenti di macchina veloci, un tentativo piu' che riuscito di affrancarsi dal minimalismo concettuale e pratico di molto cinema italiano degli ultimi anni. Discorso a parte per la colonna sonora, bella ma sempre presente e, soprattutto nella prima parte, eccessiva e disturbante nella comprensione dei dialoghi.
Cio' che piu' avvince della pellicola, pero', soprattutto se anagraficamente non si e' lontani dall'eta' dei protagonisti, e' il tema del film: la crisi della "X generation". Uomini insicuri e in fondo fragili, con la disperata paura di sentirsi ingabbiati in un ruolo sociale che non li rappresenta e il terrore di raggiungere l'inizio del declino fisico ed emotivo dei quarant'anni. E donne nella maggior parte delle situazioni "con le palle", possessive, in cerca di continue conferme e con il fine ultimo di formare una famiglia, punto di arrivo ma spesso di nuova partenza per una crisi del rapporto a due. Tutto questo e' descritto da Muccino con contrapposizioni forti ed estreme, efficaci da seguire su grande schermo, ma non sempre cosi' definite e consapevoli nella vita reale, dove le sfumature hanno il piu' delle volte la meglio. Sfumature che risultano l'approdo a cui i protagonisti giungono, ma che in realta' hanno origine da personaggi profondamente "tipizzati", e il termine "tipo" non si riferisce alla loro caratterizzazione, ma a cio' che simbolicamente rappresentano: la coppia trentenne alle soglie del matrimonio, la ragazzina adolescente, la coppia che non funziona dopo la nascita di un figlio, il ragazzo che cambia donna ogni sera ma e' infelice, il ragazzo che cerca una sua strada contro la volonta' paterna, la donna in crisi di mezz'eta'. Personaggi che rischiano quindi di perdere la loro genuina contradditorieta' a favore del "tipo" che rappresentano. 
Per ultimo, "Come te nessuno mai" descriveva i rapporti adolescenziali e risultava uno specchio universale grazie al comune denominatore della scuola, dove ragazzi di diversa estrazione e mentalita' si incontrano e hanno l'opportunita' di confrontarsi. Ne "L'ultimo bacio", invece, il sentire dei personaggi e' si universale, ma il loro vivere senza problemi economici in bellissime case in affitto o il loro potersi permettere di chiedere una barca allo zio per andare in Turchia, ha una evidente matrice borghese che, in alcune situazioni, rischia di limitare il coinvolgimento. In fondo a scuola quasi tutti ci sono andati, mentre a una casa con giardino da novecento milioni in pochi possono permettersi anche solo di pensarci.

Luca Baroncini


L'ennesima carezza

Muccino cucina una magnolia all'amatriciana: nonostante le citazioni più evidenti vengano dal cinema statunitense, i cascami della tradizione nostrana si fanno sentire. I cinque amici e i loro riti di (non)crescita, mutuati e citati senza vergogna da Fandango, ricordano in realta' molto di piu' i protagonisti di "Amici miei" o "Marrakesh Express" che non i "groovers" sulle strade assolate della provincia USA alla ricerca del proprio futuro. E la tanto ricercata "coralità" fallisce proprio in virtù della descrizione di una realtà (narrativa) totalmente chiusa e rigida (cinque amici, ognuno caratterizzato come portatore di una precisa istanza italiota, in un susseguirsi di eventi e snodi prevedibili, riconoscibili ma poco verosimili), fortemente tipizzata, ben lontana dalle splendide, inattese ma plausibili contingenze di "Short Cuts" o "Magnolia" (citato al limite del plagio), piuttosto debitrice (narrativamente) al cinema di Salvatores e compagnia, con tutte le tristi banalità consolatorie fornite di serie. Certo che Muccino gira molto meglio, usa la musica in modo accattivante (in modo, questo sì, felicemente ispirato al capolavoro di Anderson) e impartisce alla vicenda un ritmo che tiene appassionati e avvinti, anche perchè tutto si gioca su stati e dinamiche riconoscibili da pressoché chiunque si trovi in sala, non necessariamente maschi trentenni:dalle ragazzine (trovatene una che non si sia mai innamorata di un uomo adulto), alle nonne (che non vogliono rassegnarsi alla vecchiaia), ognuno ha modo di riconoscere qualcosa di sé. Ritmo concitato, ottenuto anche grazie al continuo cambio di registro: il dramma (bella la prova della Mezzogiorno quando è donna ferita e orgogliosa) più grande non dura mai oltre qualche minuto: Muccino lo butta tosto in risata o pochade (con qualche discreta caduta di tono, come la abusata e gratuita gag dell'irruzione dall'analista, con conseguente sputtanamento di odioso terapeuta, paziente e analisi, citando Allen con una scena che così gratuitamente Allen non farebbe mai). Questo rafforza il ritmo, ma non basta a far riuscire Muccino nel tentativo di rappresentare la vita come serie di relazioni e eventi che sono contingenti, incontrollabili e continuamente mutevoli, tanto da dover essere affrontati in maniera ironica, come succede nel capolavoro al quale così sfacciatamente si ispira. Muccino non riesce a rappresentare la complessità e la assurdità e della vita, e illustra un microcosmo nel quale sembra succedano le cose di tutti i giorni ma che in realtà rimane una classicissima fiction densa di eventi codificati ma inverosimili (uno su tutti l'evento che fa da filo conduttore alla vicenda) che vengono vissuti con enfasi da tipi troppo caratterizzati in un film a tema, nel quale però del tema poco si dice se non quello che tutti possono riconoscere. Questo trascina il film nelle secche di una sorta di compiaciuto e assolutorio "guardate come siamo fatti male", generazionale ma non solo, sua forza al botteghino e al passaparola. Ma se pure il film diverte e appassiona a prescindere da (o forse proprio grazie a) numerosi luoghi comuni su una esigua frazione della generazione che vuole protagonista (ve li devo elencare, davvero?) alla fine è impossibile non provare una senso di fastidiosa irritazione per quello che si rivela essere rassicurante moralismo (furbamente agghindato da male di vivere di poca gente che vive benissimo) o piu' semplicemente accattivante ruffianeria: alla fine tutto si sistema, se ti adegui, anche la fuga non sarà nulla di definitivo, assomiglia semmai ad una bella vacanza, non c'e' malessere che non si possa superare conformandosi a modelli di comportamento comunque innocui (che si tratti di una famigliola da spot dei frollini o di una gita in furgone): stai sereno, caro peterpan. La tirata finale copiata (non si parli di citazione) da "trainspotting", che in quel film dava voce a un ribellismo facilone ma almeno sinceramente acido e incazzoso, qui, girata con luce e movimenti letteralmente mielosi (altro che l'agrodolce che Muccino palesemente ricerca), diventa un inno a quella "rivoluzione nella normalità" che risulta di sconcertante trivialità, in sé e nei modi in cui viene espressa troppe volte nel corso del film. I trentenni senza voglia di crescere, al posto del sonoro schiaffone che ci meriteremmo (non per moralismo, ma da dove altrimenti l'urgenza e la necessità di un film come questo?) si prendono l'ennesima carezza, l'ammiccamento della volgarotta chiosa finale, che altro non fa che buttarla nell'ultima farsa, consolatoria ma sconsolante.

Angelo Taglietti


L'ultimo spot

A volte ritornano. Intendiamo le radici profonde di un regista: Muccino, formatosi alla scuola di "Un posto al sole" e della pubblicità del noto caffè solubile, imbastisce un'opera terza che ha la consistenza e il look di una campagna promozionale di San Valentino (sarà solo un caso che "L'ultimo bacio" sia uscito proprio a febbraio?). La storia? Inquietudini di trentenni (e passa) alle prese con padri malati, madri asfittiche o deluse dal matrimonio, compagne irascibili, mariti inaffidabili o monotoni, conviventi bugiardi, sconosciute disincantate, ragazzine sognanti. Non stupitevi se vi sembra un mix di magnoliavitelloniamericanbeautymanhattantuttosalvatores, perché lo è. Ma almeno i film citati (per non dire scopiazzati) dal regista erano opere, se non sempre riuscite sul piano artistico, almeno interessanti a livello dei contenuti, perché parlavano, oltre che dei rispettivi autori, anche del pubblico. 
Sarà che chi scrive non ha ancora l'età "giusta" (alias quella dei protagonisti maschili), ma sembra difficile che i trentenni siano tutti, senza eccezioni, bambinoni superficiali e rancorosi, pronti a tuffarsi fra le braccia di una poppante liceale, ragazzine già sfiorite, viziate e munite di impulsi violenti e incontrollabili ma in fondo buonissime, irresponsabili figli di papà che a babbo testé morto vanno a fare una specie di gita fuori porta in camper (in Africa, naturalmente), come del resto appare improbabile che i cinquantenni siano di solito rispettabili padri e madri di famiglia che giocano al divorzio, ex mariti complessati, mamme instabili e svanite da serial televisivo. 
I personaggi del film (e Muccino, anche sceneggiatore, con loro) fanno di un incidente banale (un pannolino da cambiare, un incontro ad un matrimonio) una catastrofe (cadendo subito nel ridicolo e/o nello stridulo) perché ignorano completamente le catastrofi. Possibile che in un film che si picca di descrivere la vita ("la storia di tutte le storie d'amore", come ammicca furbescamente la campagna promozionale, la cosa migliore del film) tutti vivano avvolti in un sottile ma infrangibile strato di bambagia, in uno scenario da Truman Show, tutto luci flou, paesaggi notturni in giardini di lusso, fontanelle chioccolanti, feste in villa, matrimoni in bianco, incidenti stradali da cui si esce senza un graffio (anche se non si ha la cintura di sicurezza), uffici da rampanti, case linde e anonime che comunicano non già vuoto esistenziale ma pessimo gusto architettonico e decorativo? Possibile che anche le strade cittadine siano immacolate (mancano i tappeti rossi, ahimè), l'acqua dei fiumi un cristallo, i prati inevitabilmente smeraldini sotto un cielo di opale luminescente? Sarebbe ora di finirla con questi preziosismi da soap, con questi vezzi isterici da attori bocciati all'accademia, con questo compiacimento codino e ambiguo che investe ogni atto, ogni parola, ogni silenzio. 
Ma quale silenzio? Muccino soffre di un irrimediabile horror vacui, e quindi stipa nelle due ore regolamentari tutto quello che già conoscete a memoria ma sicuramente non vedete l'ora di riascoltare (come no!): musica, rumori, steadycam e dolly fino alla nausea, primi piani e dialoghi da fotoromanzo, palpitazioni e fiatoni troppo stupidi per essere messi alla berlina, pubblicità occulta (naturalmente), il tutto senza un minimo di ironia o dubbio. La "nuova estetica del pieno" domina, spadroneggia, intontisce, con effetti facilmente immaginabili sugli attori, incolori e lagnosi, e sul pubblico, cullato nel proprio narcisismo. E alla fine, neppure gli sforzi di Giovanna Mezzogiorno (il suo personaggio, Giulia, è inverosimile come gli altri, ma tifiamo per lei grazie al carisma di questa giovane attrice) salvano questo album di famiglia troppo privato per essere interessante e troppo plateale per essere sincero.

Stefano Selleri

Commenti

 

 

L'ultimo bacio ha una caratteristica sorprendente ed insolita per un film italiano contemporaneo: racconta una storia che può interessare a qualcuno. Forse se ne parla tanto per questo (l'anno scorso c'era Pane e tulipani, quest'anno però il pubblico giovane è chiamato in causa più direttamente).
I temi sono fra i più sentiti: pregio e difetto, forte richiamo che deve fare i conti col rischio di risultare abusato, sgualcito dalla banalità da Costanzo show. Ma L'ultimo bacio si salva. Perchè condisce di ironia la pietanza dolceamara (molto più amara che dolce), perchè non concede nulla alla tentazione del consolatorio. E, nonostante tutto, riesce nel gioco dell'identificazione.
Ma non dimentichiamolo: il film non merita solo perchè parla di trentenni disorientati ed immaturi e cinquantenni impauriti dalla vecchiaia. Merita soprattutto perchè è diretto da un bravo regista. 
Un altro pregio: lo splendido cast. Peccato che rispecchi un'umanità inesistente costituita interamente da bellissimi, peccato per un abuso di recitazione "ansimante". Per il resto si tratta di un gruppo ammirevolmente in parte e di livello, colmo di promesse. E se Accorsi è penalizzato da un personaggio troppo spesso afasico ed imbambolato, Giovanna Mezzogiorno brilla su tutti per bravura e fascino.

Oboo


Matteo
Catoni
7

Luca
Baroncini
7

Angelo
Taglietti

Giada
Bernabei
Daniele
Bellucci
Stefano
Selleri
4
Oboo
 
Simone
Ciaruffoli
Manuel
Billi
4
Alberto
Zambenedetti
4
   
 

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