UNBREAKABLE - IL PREDESTINATO
(Unbreakable)

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REGIA:    
M. NIGHT SHYAMALAN

PRODUZIONE:  U.S.A.   -   2000   -   Thriller

DURATA:  106'

INTERPRETI:
Bruce Willis,
Samuel L. Jackson, Robin Wright, Charlayne Woodard, Spencer Treat Clark, Eamonn Walker

SCENEGGIATURA: M. Night Shyamalan

FOTOGRAFIA: Eduardo Serra

SCENOGRAFIA: Larry Fulton

MONTAGGIO: Dylan Tichenor

COSTUMI: Joanna Johnston

MUSICHE: James Newton Howard

Trama

David è l'unico superstite di un terribile incidente ferroviario e, come se non bastasse, è miracolosamente illeso. Prima di riabituarsi alla sua malinconica normalità l'uomo viene contattato da uno sconosciuto affetto da una rara malattia che rende le sue ossa fragilissime...

Recensioni

 

 

 

La stessa squadra trionfatrice del Sesto senso: Shyamalan regista e sceneggiatore, Willis attore protagonista. Le atmosfere sono le stesse, il personaggio assegnato a Bruce Willis è quasi identico al precedente, la malinconia di fondo anche. Almeno altre tre caratteristiche accomunano questi due thriller soprannaturali: una sceneggiatura costruita con cura su un'idea di base interessante ed originale; un finale a sorpresa che cerca di stupire lo spettatore e valorizzare tutta la pellicola; una regia emozionante che non si dimentica. Anche in questo caso Shyamalan fa capire con chiarezza per tutto il film di essere un vero regista che non si accontenta di assecondare la narrazione in modo anonimo, ma che è capace, al contrario, di uno stile personale e perfetto per il genere (ovviamente una delle scene migliori è quella sul treno, sia quando l'approccio del protagonista viene "spiato" da dietro il sedile, sia nell'imminenza del disastro). 
Umbreakable ha senza dubbio la capacità di affascinare e creare curiosità ed aspettative: sembra diverso dalle solite storie, in particolare grazie alla vicenda dell' "Uomo di vetro" destinato a cadere letteralmente in pezzi ad ogni urto. Lo sviluppo mantiene poi solo in parte le promesse: la tensione rimane alta quasi sempre ma la sceneggiatura non si rivela riuscitissima. 
L'ambiente famigliare di Willis, uomo triste e alla deriva con un matrimonio in crisi, sa di già visto; come pure il legame forte e sofferto con un bambino (in questo caso suo figlio, ma quanto assomiglia al piccolo attore del Sesto senso!).
Il parallelo col mondo dei fumetti ed i suoi eroi, asse portante della storia, sembra calzante solo in parte, forse è più che altro un pretesto per giustificare tutto quello che accade e per sottolineare i contrasti: invincibilità - fragilità, bene - male, altruismo - egoismo. Tutto è più semplice di quel che sembra, ed intuibile fin dal titolo e dal momento del disastro: Il predestinato, l'indistruttibile... nonostante qualche falso indizio il film concede solo "moderati" colpi di scena. Compreso il finale, non troppo soddisfacente (perché qualche incongruenza emerge), non troppo sconvolgente (e questo è forse ancora più grave dal punto di vista dello spettatore).
Niente da dire invece sulla scelta del cast: dal migliore in campo, Samuel L. Jackson sempre impagabile, alla moglie in ombra Robin Wright Penn, al bambino, fino a Bruce Willis. Un altro dei meriti di Shyamalan è infatti quello di regalare a Willis ruoli che non facciano accorgere il pubblico della sua cronica inespressività, facendola passare per la misurata interpretazione di un personaggio spento e demotivato, afflitto e non sereno... fortunato Willis...

Oboo


Non siamo altro che destino

E' difficile parlare del nuovo atteso film di M. Night Shyamalan senza annacquarne la visione. Non difficile come per "Il sesto senso", fulminante esordio in cui il finale permetteva di rivedere il film sotto una prospettiva completamente diversa, ma comunque difficile. 
E il confronto delude un po' le non necessarie, ma logiche, aspettative.
Ancora una volta bisogna comunque riconoscere la grande capacita' del regista di creare un'atmosfera cupa in una Philadelphia piovosa e triste, ma l'evolversi della storia e la sua risoluzione con convincono appieno. Non tanto per mancanza di coerenza o per domande che non trovano adeguate risposte - anche se la presa di coscienza di Bruce Willis alla soglia dei 45 anni lascia comunque perplessi - ma per una sorta di debolezza emotiva e di lentezza che preparano, forse troppo a lungo, uno scioglimento, che quando arriva, intriga senza sconvolgere. Quello che piu' colpisce del film e' l'abilita' del regista di creare un punto di vista diverso su un confronto da fumetto tra due personaggi contrapposti. Confronto le cui radici sono di solito il motore da cui una storia parte, mentre in "Unbreakable" diventano conclusioni a cui si arriva. Non passano inoltre inosservati l'eleganza e la fluidita' dei movimenti di macchina e la minuziosa ricerca con cui le immagini sono costruite, con dettagli che spesso si frappongono tra i personaggi e lo spettatore (ad esempio una tenda mossa dal vento) rendendo l'immagine, a volte forzatamente, bella ed evocativa. Non e' infatti la regia a mettersi a servizio della storia, quanto piuttosto la storia a piegarsi a una regia che spesso, in modo visivamente di grande fascino ma a stretto confine con l'esercizio di stile, si fa sentire. Convincono gli attori, anche se Bruce Willis risulta anagraficamente un po' fuori parte e il carisma di Samuel L. Jackson rischia piu' volte di cadere nel grottesco. L'insieme risulta quindi incerto, impalpabilmente affascinante ma non cosi' potente da imprimersi nella memoria.

Luca Baroncini


Prove d'autore

Night Shyamalan manipola materie forti e di sicuro fascino, cattura con presa salda il grosso pubblico, lo avvince, lo convince, non lo fa sentire stupido, elabora una sofisticata strategia muovendo le sue fantasie narrative in un contesto di realismo magico. Questo risultava chiaro gia' dal precedente successo planetario, Il Sesto Senso, che, percorrendo l'ambiguo confine tra morte e vita, di vivi che vedono morti, di morti che non sanno di esserlo, costituiva un vuoto, ma a suo modo efficace esercizio seduttivo. Questo nuovo film conferma in pieno le suddette qualita', in un contesto certamente piu' misurato, di scrittura piu' sicura ma ancora inadeguata, di maggiore ricercatezza, anche formale, ma forse, proprio per questo, per quella dose un po' fastidiosa di consapevolezza e furbizia, risulta, per quanto migliore, anche piu' forzato. Non so se Shyamalan sia un autore, certo e' che vuole esserlo ad ogni costo e questo ce lo dice non solo la scelta di una poetica precisa e riconoscibile (quella un po' romantica dell'antieroe, del personaggio con quel po' di macchia che ha da essere ripulita dalle impennate di un animo al fondo buono e umano) ma anche da altri piccoli o grandi segnali: il tema della diversita' (trattato in modo tutt'altro che banale: diverso e' il morto vivente, diverso e' il bambino che lo vede; diverso e' l'uomo che non conosce malanni o ferite, diverso il bambino che scopre nel padre questa qualita' ma non la riscontra in se', diverso, naturalmente, chi nasce con le ossa fratturate e che, divenuto uomo, fa i conti con il costante pericolo che risiede nel suo fragile scheletro), di un'infanzia problematica che fa i conti con i drammi piu' ingestibili; poetica delle immagini, di inquadrature lunghe che, quasi abolendo il campo/controcampo, narrano stati d'animo, di un muovere la cinepresa tutt'altro che casuale ma, anzi, sempre significativo, sempre calcolato, a volte solenne; poetica della idea forte: l'agnizione finale de Il Sesto Senso che attribuisce tutt'altra valenza a quanto visto fino a quel momento e che invita a rivedere il film dalla nuova, acquisita prospettiva; la meno clamorosa e forse migliore agnizione di quest'ultimo film, con la rilettura in chiave fumettistica - ma la didascalia iniziale ci aveva avvertito - del rapporto tra i protagonisti (e forse proprio questo abbassare a livello quotidiano l'immagine del superoe dei giornaletti, lo smitizzarla, traendone il succo fascinoso e introspettico e scartandone l'enfasi spettacolare, e' la migliore e piu' bella pensata dell'opera, quella che mi ha fatto sobbalzare, che mi ha fatto pensare che, si', in fondo il regista stava mettendo nel sacco anche me); l'autorialita', ancora, nella scelta di un attore - Bruce Willis - gia' feticcio, alter ego, marchio di fabbrica riconoscibile di un universo creativo: scelta tutt'altro che banale, anche se non nuova (dell'icona Willis si erano gia' serviti altri registi/autori: da DePalma a Tarantino, da Edwards a Gilliam, da Hill a Rudolph) ma accortamente operata, come ne Il Sesto Senso, su un'interpretazione cupa e depressa, da animale ferito. Insomma il regista muove le sue pedine con indubbio savoir faire, riesce anche a centrare l'obiettivo del botteghino, sembra non sbagliare un colpo. Ma dietro tanta abilita' rimane un'impressione di vuoto, di superficialita', di spunti interessanti quanto si vuole ma non puntellati a dovere dallo script e, in parte, dalla regia; di rigiramenti un po' facili, di una costruzione di atmosfere piu' effettate che penetranti. Per una sequenza bella, come quella di Willis che casca sul telone che solo dopo qualche secondo si scopre celare una piscina ricolma d'acqua (la criptonite del caso) avevamo dovuto subire la banalissima scena della stazione, in cui il protagonista, attraverso il contatto casuale con i passanti, riesce a visionare le loro malefatte e che si definisce con effetti da spot e una serie di soluzioni straviste e prevedibili. Si ha l'impressione che le indubbie qualita' dell'indio-americano abbisognino di una qualche guida, di un consiglio adeguato che le indirizzi al meglio. Siamo sicuri che questo, come il film che lo ha preceduto, diverra' tra qualche anno oggetto di citazione, la saggistica cinematografica ciandra' a nozze, ma cio' non ci invoglia comunque a darne un'interpretazione diversa, sicuri come siamo che continuera' a suonarci troppo cosciente l'intera operazione, innanzi tutto, e anche quella apparizione che il regista fa, improvvisa, nella parte dello spacciatore. Questa "autoriata", fuori moda da tempo, antipatica da sempre , tradisce piu' di qualsiasi dichiarato intento.

LuCa P@cilio

Commenti

 

 

Squadra che vince non si cambia. Il film è ottimamente confezionato, la regia è valida, ma la storia ben presto traballa, senza decidere dove andare a parare: Elegia della diversità? Paura di essere inferiori, paura di essere superiori? Il bene che emerge grazie al male? E poi perchè la fotografia è irrimediabilmente fredda, nè realistica nè poetica? Tante idee valide, sprecate.

Stefano Mazza


Un eroe moderno

La connessione tra il nostro mondo, e l'immaginario dei supereroi ha conosciuto nel corso del tempo stravolgimenti e riflessioni, che non possono in nessun modo essere descritti e riassunti in poche parole. Si è passati da una visione uni-dimensionale del super eroe, riconducibile ai primi eroi della DC Comics, fino agli anni d'oro della Marvel di Stan Lee; si è passati ad una visione a 360° di questi uomini in calzamaglia, che ne ha evidenziato debolezze e lati oscuri, si guardi per esempio il primo ciclo di Claremont degli X-Men; si è giunti ai giorni nostri ad una totale libertà nei contenuti e nei disegni, e non è un caso che attualmente il personaggio dei comics più famoso sia proprio lo Spawn di Todd Mc Farlane, eroe e al tempo stesso antieroe della sua città. Ma perché questa introduzione? Come e in quale modo The Unbreackble si pone nei confronti dei fumetti?
I riferimenti al su citato mondo sono espliciti fin dalla prima inquadratura, e si fanno evidenti, fino a diventare preponderanti, in tutto il resto del film. Basti pensare che l'Uomo di vetro (Samuel L. Jackson) è un collezionista di fumetti, e vive la sua vita come se si trovasse all'interno di essi. Sarà proprio la sua ossessione a portare l'eroe (Bruce Willis) al pieno riconoscimento delle sue capacità e dei suoi straordinari poteri. Ma cosa lega questi due uomini? Cosa li rende così magicamente partecipi di un meccanismo narrativo appartenente ai fumetti? Semplicemente il fatto che uno è buono ed uno è cattivo, che uno lavora per il bene l'altro per il male, che uno salva le persone e che l'altro le uccide. Ma non è tutto così semplice, e Night Shyamalan dimostra di aver letto parecchi comics in vita sua, e riesce a tratteggiare i suoi personaggi in modo sfaccettato, e a donargli un mondo ed una esistenza credibili nella loro irrealtà. E' qui che c'è la dimostrazione che si è appresa la lezione dei moderni fumetti, è qui che si fa sfoggio di modelli narrativi cari all'arte cartacea. Il cattivo che non può in nessun modo avere una vita normale si convince di vivere in un mondo di fantasia, e cerca in tutti i modi di trovare un suo alter-ego, una persona che possa dare un senso alla sua esistenza , che possa conferirgli quello statuto di anti-eroe, di cattivo di genio che tanto ambisce. Ma l'eroe non vive per avere questo ruolo nella società, e troppo preso dalle sue frustrazioni, dalle difficoltà della sua vita per lasciarsi trascinare in un mondo e in una situazione, che se anche scopre essere reali (lui ha coscienza dei suoi poteri), non può interessarlo. Non a caso una volta compiuta la prima (forse unica?) azione eroica decide di non dirlo alla moglie, per non turbare quella quiete familiare che sta disperatamente cercando di ricostruire: un eroe lontano anni luce dagli antichi stereotipi che lo vorrebbero difensore della pace e del bene prima di ogni altra cosa.
Risulta evidente da tutti questi fattori, che la compenetrazione tra cinema e fumetto in quest'opera è evidente, ma allo stesso modo molto rischiosa, perché far combaciare i differenti ritmi narrativi dei generi non è impresa da poco, e il tentativo non riesce in tutte le sue componenti. Resta il fatto che aspettarsi da questa opera un qualcosa di simile al "Sesto senso" è attesa sbagliata, perché la strada qui intrapresa è ben diversa, e probabilmente non pienamente riuscita. Uscendo dalla sala ci si chiede: ma è un film? o è solo un fumetto filmato? e i non appassionati di comics come lo prenderanno?
E' evidente che se non si riconduce l'opera su questo livello interpretativo sembra difficile trovargli dei lati positivi. Resta il fatto che gli appassionati di fumetti probabilmente ne rimarranno affascinati e rapiti, e che in definitiva una mega produzione come questa resterà fruibile a pieno soltanto da una ristretta schiera di adepti della fantasia su carta. Magia e mistero di Night Shyamalan.

Matteo Catoni


L'Uomo Di Vetro

Il film colpisce lo spettatore non soltanto per la regia impareggiabile, per la recitazione magistrale di tutti gli attori, per il colpo di scena finale, ma soprattutto per la trama.
È sempre più raro, purtroppo, imbattersi in una sceneggiatura avvincente, ben costruita e senza "buchi". Intelligente è il modo in cui ci viene mostrata e narrata la storia di quest'uomo invincibile, che prende coscienza della sua invulnerabilità solo lentamente e attraverso un percorso anche sofferto. Si sente in fondo anche lui un diverso, come appare possa sentirsi il suo alter ego di colore, il quale, al contrario del protagonista, è già nato con gli arti fratturati e passa la vita tra un ospedale e l'altro. Unico suo conforto la madre affezionata, che cerca disperatamente di riscattarlo dalla condizione d'inferiorità regalandogli una serie molto ricercata di fumetti, che lo appassioneranno al punto che finirà per aprire una galleria d'arte dedicata ai fumetti d'autore.
Nel mondo dei fumetti, così come nella mente di Elijah Price, vulnerabile e alla fine costretto sulla sedia a rotelle, esiste sempre la forza del bene che si contrappone a quella del male, anche se spesso i due soggetti si confondono "oppure sono amici", come recita Samuel L. Jackson. In effetti, all'inizio del racconto (perché il film scorre lento e implacabile, come un racconto appunto) i due opposti appaiono legati da un filo indissolubile, da una specie di "amicizia profetica", che sembra portare il protagonista David Dunn verso la verità, verso la presa di coscienza del suo essere invincibile e quindi alla consapevolezza sempre più nitida di dover compiere sulla terra una missione di salvezza a favore dell'umanità.
Ma il vero contatto tra David Dunn ed Elijah Price si materializza in una stretta di mano e David l'invincibile, che ha appena salvato due componenti di una famiglia da una strage appena avviata, percepisce finalmente la vera identità del suo alter ego: un terrorista che provoca spaventosi incidenti a catena anche nella speranza di trovare l'unico sopravvissuto, il predestinato suo opposto, il solo che possa in qualche modo dare un senso alla sua esistenza. Elijah diventa allora il principale nemico per un fumetto, quella forza del male che "combatte il bene con la mente". In realtà Elijah Price è solo vittima di se stesso, un "Uomo Di Vetro" che improvvisamente acquisisce un'accezione non di fragilità, ma di freddezza e d'impenetrabilità.

Annalisa Ghigo


Oboo
 

Luca
Baroncini 

Daniele
Bellucci 

Luigi
Garella 
7
Luca
Pacilio
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Catoni 
Stefano
Trinchero 
8
Andrea
Carpentieri 
5
Giada
Bernabei 
7
Simone
Ciaruffoli 
Alberto
Zambenedetti 
5
 
 

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