L'UOMO SENZA OMBRA
(The Hollow Man)

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REGIA:    
Paul VERHOEVEN

PRODUZIONE:  U.S.A.   -   2000   -   Fantastico

DURATA:  93'

INTERPRETI:
Kevin Bacon, Elisabeth Shue,
Josh Brolin, Kim Dickens, William Devane

SCENEGGIATURA: Andrew W. Marlowe

FOTOGRAFIA: Jost Vacano

SCENOGRAFIA: Allan Cameron

MONTAGGIO: Mark Goldblatt

COSTUMI: Ellen Mirojnick

MUSICHE: Jerry Goldsmith

Trama

Sebastian Caine, scienziato geniale, dopo aver scoperto insieme alla sua equipe la formula dell'invisibilità riesce a scoprire anche quella per ridare visibilità all'invisibile. Dopo varie prove su cavie animali quando i test danno esito positivo decide di sperimentare la formula sull'uomo senza avvertire il Pentagono, finanziatore del progetto. La prima cavia umana sarà proprio lui.

Recensioni

 

 

 

Corpi in mutazione costante

Paul Verhoeven, ovvero colui che fu il regista di Robocop, era quasi una scelta obbligata nel momento in cui ci si è trovati di fronte al problema di trovare qualcuno che dirigesse the hollow man, la next big thing hollywoodiana in tema di mutazioni di corpi. Il corpo è il filo conduttore, e a ben vedere, sembra l'unica cosa (davvero l'unica) che interessi a Verhoeven, e le conferme arrivano da chi conosce a fondo la sua carriera cinematografica nella sua interezza (leggere l'illuminante articolo di Pier Maria Brocchi su Cineforum 396). La lamiera è stata in Robocop la corazza di protezione imperforabile che trasudava sentimenti umani e qui l'invisibilità è la negazione di un corpo che soccombe. Il corpo invisibile di Caine è presente più di ogni altra cosa, una presenza assillante, fortissima, esplosiva, carnale, basti vedere la sequenza della scomparsa (visuale) del corpo dello scienziato, la pelle che prima di scomparire oppone una resistenza dolorosissima, strenua come non mai, che cerca di imporsi e soccombe. Verhoven dimostra di essere pienamente a proprio agio nel costruire intorno al corpo umano mutazioni protettive, che lo celino e lo isolino dagli agenti esterni. In Robocop scompariva la mollezza, qui scompare l'impatto visivo e al cinema, a dire il vero, non è impresa facile. Cosa succede quando l'immagine scompare? L'invisibile al cinema e in fotografia (arti del visibile) equivale all'inesistente, ma Verhoeven riesce nell'ardua impresa di ridare una potente fisicità a un corpo che non c'è, la cui fisicità è nascosta, e lo fa attraverso le immagini, proprio quelle immagini che l'invisibilità dovrebbe aver negato. I migliori risultati li ottiene attraverso la fusione del corpo con gli elementi (l'acqua nella piscina, la terra nella solidità incerta della maschera di lattice, l'aria in forma di vapore e infine il fuoco) elementi che lo attaccano e vorrebbero intaccarlo, coprendone ogni millimetro quadrato, aderendogli furiosamente, squarciandone prepotentemente il velo d'invisibilità che lo protegge, smascherandolo in tutta la sua fragile nudità. Una nudità profondissima, feroce, assoluta e selvaggia quella che Verhoeven mette in scena, la nudità come visibilità di ogni meandro del corpo, ogni tessuto, ogni organo, ogni vaso capillare e ogni osso, sostanze molli e corruttibili che scompaiono e ricompaiono faticosamente, rischiando ogni volta di liquefarsi mollemente. Il lavoro intorno al corpo di Caine è insomma esemplare, ma sembra proprio che Verhoeven si sia preoccupato soltanto di questo, cosa peraltro lodevole, dal momento che non si può far altro che inchinarsi di fronte a un uomo che riesce a coniugare con tanta indifferenza la propria ricerca stilistica con le più becere esigenze di mercato. Le parole di Kevin Bacon (colui che interpreta Sebastian Caine) pronunciate sul terrazzo di un ristorante suonano decisamente come una dichiarazione d'intenti pura e semplice: "io amo la grandeur, lo spettacolo, non posso preoccuparmi delle inezie". E infatti come l'intera vita di Caine è stata vissuta in funzione di quelle poche, grandi scoperte scientifiche che ne attestavano la superiorità , così il film vive di quelle "scene madri" che esplodono tutto il talento visionario di Verhoeven. Il resto, ovvero tutto ciò che a Verhoeven non interessa, sembra abbozzato e lasciato al caso (una sceneggiatura incredibilmente prevedibile non aiuta di certo), come la storia d'amore tra la "ex" di Caine e un altro scienziato dal volto così fastidiosamente plasticato e soap-operistico da cadere ben presto nel ridicolo, o il crollo psicologico di Caine verso il Male, o ancora il catastrofismo inutile forse troppo marcatamente parodistico (ma non giurerei che si tratti di parodia) del finale. Le incursioni nel cinema di genere sono molto interessanti (una trovata fantastica quella di Verhoeven- anche se mal riuscita-, quella di passare in rassegna l'impatto che avrebbe la scoperta dell'invisibilità sui vari generi cinematografici, a partire dall'erotismo, passando per l'horror e lo splatter fino ad approdare al thriller) ma prive di spessore. 
Non è forse nemmeno il caso di far notare come Verhoeven possa contare su tecnologie ormai avanzatissime in fatto di effetti speciali (anche se l'invisibilità credo sia frutto del caro vecchio Chroma Key debitamente perfezionato, un procedimento elettronico che in tv vediamo ogni giorno, tanto per intenderci), una volta tanto utilissimi e sfruttati in maniera magistrale (credo che i passaggi dei corpi dal visibile al non visibile inchioderebbero alla poltrona qualsiasi spettatore).

Stefano Trinchero


Un brutto finale puo' rovinare un film?

E' curioso constatare quanto sia influente il finale di un film sulla sua valutazione complessiva. La sensazione e' che gli ultimi fotogrammi siano i primi ad essere oniricamente elaborati per produrre quel mix di istinto e ragionevolezza che si aggira per la mente con il nome di retrogusto. Tutto cio', per capire come mai l'ultima parte del nuovo film, del sempre interessante Verhoeven, sia in grado di svalutare, di colpo, l'intera pellicola. E' come se le tante ovvieta', che si succedono nel modo piu' becero nella parte finale, fossero in grado di smascherare la reale natura di blockbuster di grana grossa, piu' volte scongiurata nel corso della visione, grazie alla predilezione del regista, ormai marchio d'autore, per i lati oscuri della personalita' dell'individuo. Il fatto di essere invisibile, infatti, scatena nel protagonista molteplici opportunita' di risultare impunito nella realizzazione di desideri sopiti o capricci della mente, che la visibilita' avrebbe comodamente messo a tacere. Ed e' interessante questo aspetto, come anche l'incredibile riuscita visiva degli effetti speciali, che abbinano in modo molto naturale e fluido la maschera vuota del protagonista (l'"hollow man" del titolo originale) con il resto del set. Peccato, quindi, che gli aspetti psicologici dei personaggi, ben motivati nella prima parte, sfocino in un horror dei luoghi comuni, debitore di "Alien" e di mille altri film. L'unica consolazione, a tutela dell'autore, e' l'ipotesi di ingerenze produttive per evitare di rendere il film troppo "nero", e quindi poco adatto a una vasta audience, sottovalutando, come ormai solito, l'intelligenza e le aspettative del pubblico.

Luca Baroncini


Un tema classico per un film classico

Ritorna sullo schermo uno dei temi cari all'antica fantascienza hollywoodiana, vale a dire lo scienziato che altera il suo corpo. La sfida tra la natura umana, che può essere mutata e manipolata, e gli uomini, in questo caso uno scienziato, che vuole sfidare se stesso e il suo essere, è uno degli argomenti più utilizzati dai vecchi classici, e la lista di film che s'ispirano a questo genere di trama è sterminata. Inquadrato il genere di film, si ha ben chiaro in mente ciò che c'aspetta, anche considerando il caro vecchio Paul Verhoven, regista capace di buone prove ma anche di pessime, e sempre in bilico tra un cinema commerciale-alternativo, che la maggior parte delle volte non riesce ad essere né l'una né l'altra cosa. Ma cimentandosi in un'opera concreta e ben sceneggiata, questa volta non fallisce il colpo, anche se di certo non lascia una produzione memorabile. Un film ben congegnato, anche se un po' scontato, degli attori bravi, e soprattutto degli effetti speciali veramente coinvolgenti e convincenti. Un buon equilibrio, dato dal manierismo del regista, dona al film un ritmo ed una successione scenica del tutto equilibrate e piacevoli, evitando accuratamente inutili spiegazioni o superflui dialoghi. Da notare e sottolineare, l'ottima riuscita della sequenza della trasformazione di Kevin Bacon, veramente avvincente nel suo irreale realismo. Ma c'è una grande pecca che mina tutto l'esito del film; ci si chiede infatti per quale motivo non si sia sfruttata a pieno la capacità di creare situazioni da parte dell'uomo invisibile. Sembra poco credibile che uno scienziato, appena acquisito questo tipo di potere, si limiti a spiare o a molestare la donna che ha sempre osservato dalla finestra, ed invece non vada in giro a seminare il panico. Risulta troppo immediato e repentino il cambiamento che colpisce questa persona, e sinceramente il finale, anche se ben girato, risulta al di sotto delle aspettative. C'è una buona costruzione della tensione, ma alla fine si sciupa tutto in uno scontro all'interno del laboratorio, prevedibile a livello situazionale e troppo schiavo dei cliché di sorta.
Esistevano circa 6000 modi per terminare questo film in maniera originale, o per lo meno, più avvincente, ma si è optato per la soluzione più comoda e scontata.
In definitiva una produzione che vi farà passare due buone orette, anche se qualcosa in più era giusto aspettarsi.

Matteo Catoni


Quel che resta del corpo

Diciamolo: ci si attendeva qualcosa di piu' da Verhoeven alle prese con un soggetto che coniuga i suoi due "interessi" piu' forti, sesso e fantascienza. Ci si aspettava qualcosa che andasse oltre, volendo essere ben disposti, l'uso dello stereotipo con intenti parodistici gia' visto (ma molto piu' riuscito e beffardo) in Starship Troopers. Tralasciando lo strambo e noioso finale (pur imbellettato in qualche modo dall'ormai inevitabile citazionismo), le solite facce da soap opera dei protagonisti e la svogliata sceneggiatura, rimangono a salvare il film qualche spettacolare e succoso (!) effetto speciale, ma soprattutto l'intuizione che regge l'intera parte centrale (la migliore) del film. L'invisibilita' dello scienziato si trasforma in paranoia di tutti i suoi collaboratori. Questo e' sottolineato magistralmente da Verhoeven con un lavoro complesso di cambi di inquadrature e punti di vista, che spesso passano attraverso la soggettiva del protagonista. Non sappiamo se stiamo guardando la scena con gli occhi invisibili (senza palpebre: ossessione scopica, coazione a vedere) di Bacon o con quelli impersonali e oggettivi del film, non sappiamo dove siamo, dove sia il protagonista, anzi forse ora siamo lui: eccoci a condividere paranoia e sospetto, mentre inseguiamo sullo schermo un personaggio, un attore che non troveremo perche' spesso non c'e', realmente, nell'inquadratura. Altro che effetti speciali, la zampata di Verhoven sta proprio qui: il film e' piu' prezioso, piu' interessante dove e' piu' "semplice", dove addirittura del protagonista si puo' fare a meno, letteralmente. Si fosse pure fatto a meno del finale...

Angelo Taglietti

Commenti

 

 

L'invisibile leggerezza dell'essere

Nel passato cinematografico ci sono stati alcuni registi ,considerati minori perché solo amanti/amatori (la cinefilia  spettacolarmente/specularmente espressa, mediante la mise in abime, si scontra sempre con l’attenzione/disattenzione dei critici che cercano e trovano nel cinema una conferma del loro profilo intellettuale perché temono l’abisso, il vuoto, la vanità del segno, la sublime/subliminale inconsistenza della poesia dell’immagine che sorprende/smarrisce i codici dello sguardo “informato”) della materia (la prassi) filmica ovvero della tecnica della visione, che hanno provato a tradurre in immagini (ergo rendere visibile) l’invisibilità .Il fascino della sfida è insito nel regista/spettatore che desidera vedere senza essere visto, essere nella storia senza viverla e credere innocentemente/perversamente che una emozione vera possa nascere da una “sensazione” falsa (in questo risiede la magia del cinema e Hitchcock ha il merito di averla “svelata”). In futuro lo spettatore/regista probabilmente vorrà vivere il “suo” film senza la mediazione della pellicola (il profilattico dovrà essere sempre più sottile e sensibile) inseguendo sempre più verosimilmente il suo percorso “virtuale”. Di qui la macchina cinema rischia di divenire un video-gioco/giogo caratterizzato da una indefinita/infinita soggettiva.
Alla luce di queste considerazioni psycho-sociologiche è impossibile “vedere”un film come “L’uomo senza ombra” e non pensare all’ennesima sfida che un regista di genere (forse minore?) propone al “grande pubblico” ed a se stesso.
Che cosa significa per Sebastian (un convincente K.Bacon) essere invisibile? Paradossalmente per lui significa avere una vita sessuale che non ha (il suo desiderio alimentato dal voyeurismo sfocia nella repressione perché totalmente assorbito dal suo lavoro che lo costringe a vivere in una sorta di realtà che è una gabbia-laboratorio virtuale), avere uno sguardo che non ha (rendersi conto che l’amante della sua donna è il suo più grande amico/nemico), avere un potere che non ha (possiede il segreto dell’invisibilità che gli permette di uccidere/liberarsi dei suoi avversari); in altri termini l’invisibilità gli consente di avere una vita privata e sociale quindi una visibilità (si paragona a Dio ma la sua è una ambizione umana troppo umana che si esprime nella incredibile “carnalità” degli effetti/affetti speciali) che non ha forse mai avuto (persino la sua ex-fidanzata confessa di essersi innamorata non di lui ma del “concetto di lui”).
Tutto il film è una soggettiva del protagonista e ne afferma i suoi umori/furori e le sue visioni/riproduzioni (come egli vuole vedere gli altri e come vuole che gli altri lo vedano/non vedano).
P.V. rappresenta queste conflittualità e “lacerazioni” con due fondamentali colori spesso contrastati/contrastanti nell’arco dell’intero film (il siero blu-acqua/cielo che dona l’invisibilità quindi realizzazione compiuta/finita del desiderio/volontà di infinito; il siero rosso-fuoco/sangue che riporta l’uomo alla sua visibile condizione terrestre caratterizzata da sentimenti  ed idee forti quanto vulnerabili) e con singolari strumenti  simbolici quali le maschere “termiche”che rivelano la presenza dell’individuo in virtù della sua temperatura corporea (gradazione di visibilità legata alla gradazione del calore umano).
Questi elementi che invadono/pervadono questa pellicola cinematografica la rendono eccessiva, a tratti poco fluida e brillante (anche se la regia è sempre sostenuta e coinvolgente) a causa di una sceneggiatura non sempre all’altezza, ma sottilmente ispirata e necessaria (forse non è consapevole nemmeno di poterlo essere in quanto essa stessa rischia l’invisibilità autoriale da blockbuster) perché sa di contemporaneità e ci sprona come un vigoroso allarme a lacerare il velo/rompere l’opaco vetro (ovverosia la comunicazione mediatica che diventa iperbolica ed alienante nella “vita” virtuale) che ci impedisce di vedere e di avere una vita nostra (che sia incentrata sulle passioni intellettuali/sentimentali nel rispetto dell’alterità).
La non visibilità (reale o fittizia che sia) condanna l’essere umano a vivere con una maschera e nel buio (magari di una sala cinematografica oggi e di una estetica da videogame domani).

N.B.
L’uomo senza ombra (in originale :Hollow man)
Hollow: falso, irreale, vuoto.

Sergio Sasso


Eccoci riproposto, in salsa fantascientifica, il solito filmone americano in cui si combattono i buoni e i cattivi. Questo, ad una prima analisi, potrebbe essere il giusto commento per l'ultimo film di Verhoeven, ma, a ben guardare ci sono alcuni particolari che alzano appena il poco lusinghiero giudizio. Innanzitutto gli effetti speciali, benchè non specialissimi, sono apprezzabili, anche se, forse, se ne sarebbero visti volentieri un po' di più. Buona è anche l'idea di filmare un uomo invisibile, filmare cioè il nulla in scena e Verhoeven ci riesce bene, mettendo lo spettatore in uno stato di ansietà che, purtroppo, svanisce totalmente nel finale.
Sì, il finale è la parte più spregevole del film perchè è il solito finale che ormai ci hanno riproposto in mille modi e in mille film, vale a dire il multi-finale, quello in cui il cattivo sembra morto, ma no, eccolo di nuovo lì a caccia del buono che, convinto di essersi liberato, tira un sospiro di sollievo. Chi si spaventa più per scene simili? Chi riesce a non distrarsi e a mantenere alta la tensione? Credo che ormai tutti sappiamo già dall'inizio come finiranno certe storie, e la cosa di certo non giova al godimento del film. Quando poi tutte le nostre previsioni si avverano, allora per il film in questione non c'è scampo.
In definitiva il film raggiunge la sufficienza, ma l'unica cosa che ricorderò saranno la de/ricomposizione dei tessuti e i titoli di testa.

Giada Bernabei


Il reato del corpo

Vehroeven non nasconde il corpo. Mostrandolo senza pudori e remore ha anche dimostrato come per lui il nudo maschile, non sia un tabu': Rutger Hauer (attore feticcio del periodo olandese) adamitico in FIORE DI CARNE (e non solo), un membro eretto (in tempi difficili) in KITTY TIPPEL, una fellatio senza ombre e mediazioni e (addirittura) una misurazione di cazzi nel fondamentale SPETTERS. Trasferitosi negli USA, ammantati i suoi film di una sgargiante patina hollywoodiana, falsamente concessiva, il regista ha continuato, nel suo grezzo e disincantato cinema di ostentazioni, a lanciare l'oggetto-corpo in faccia al pubblico (da ultimo i fisici perfetti dell'intero cast nelle docce nell'imperdibile STARSHIP TROOPERS). Sorvolando sulla rutilante insulsaggine del prodotto, sulla rozzezza dei dialoghi (ma su questo varrebbe la pena dire qualcosa) e delle situazioni, ci si accorge come, nell'ultimo film, l'uomo senza ombra e' fondamentalmente un uomo senza vestiti, un attore, Kevin Bacon, mostrato (?) nella sua scoperta fisicita', attraverso il quale il regista immette, in un blockbuster da milioni di dollari, il suo inaccettabile chiodo fisso dell'uomo a nudo, facendone la sua invisibile (/invedibile) apoteosi.

LuC@ Pacilio


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