VOLAVÉRUNT
(Volavérunt)
 

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REGIA:    
Juan José BIGAS LUNA

PRODUZIONE:  Spagna   -   1999   -   Dramm./Thriller

DURATA:  106'

INTERPRETI:
Aitana Sanchez-Gijon, Jorge Perugorría, Jordi Mollà, Penelope Cruz, Stefania Sandrelli, Olivier Achard

SCENEGGIATURA:
J. J. Bigas Luna - Cuca Canals
(dall'omonimo romanzo di Antonio Larreta)

FOTOGRAFIA: Paco Femenia

MONTAGGIO: Kenout Peltier

COSTUMI: Franca Squarciapino

MUSICHE: Alberto Garcia Demestres

Trama

L'azione comincia due anni prima della morte di Doña María del Pilar Teresa Cayetana de Silva y Alvarez del Toledo (Sánchez-Gijón), la donna più bella, ricca e libertina del suo tempo, meglio conosciuta come Duchessa d'Alba.
Cayetana è una nobile seduttrice, aperta a mille esperienze, che passa dall'amore per il teatro, i tori e le verbene agli intrighi politici. Cayetana cospira infatti contro i regnanti in favore dell'erede Fernando VII (Berriatúa), nemico di Godoy, ed è molto gelosa di tutte le donne che ruotano intorno al Primo Ministro. E' l'amante del primo ministro Manuel Godoy (Mollà), l'uomo più influente del regno, ma ha anche una relazione con Francisco de Goya (Peruggoría), che chiama Fancho, pittore al massimo della sua fama. E sarà proprio Goya a ritrarla, per desiderio di Godoy, in uno dei suoi "Capricci", il numero 61, con le ali di una farfalla sulla testa e un gruppo di mostri ai piedi. Da questo disegno il pittore trarrà poi due quadri: un ritratto della Duchessa vestita e uno di una donna senza veli (Maja desnuda) con il pube, per la prima volta nella storia dell'arte, in risalto. Il quadro si chiamerà "Volavérunt" e la Duchessa chiamerà il suo sesso allo stesso modo.
Godoy, uomo senza scrupoli pur di conservare la sua posizione, diventa anche l'amante di Maria Luisa di Parma (Sandrelli), la regina, e a letto i due uniscono sesso e potere.
Il 22 luglio 1802 Cayetana dà una serata di gala per inaugurare il suo nuovo palazzo. Gli ospiti sono molto importanti: Godoy, Francisco de Goya, un famoso torero, una cantante d'opera, un disegnatore francese e Pepita Tudó (Cruz), giovane pastorella gitana di cui Godoy si è invaghito e modella di Goya, oltre a molti aristocratici. Tutti hanno più di una ragione per amare o per odiare la Duchessa. Dopo cena, nel momento culminante della festa, la Duchessa si scusa con i suoi ospiti e si ritira nei suoi appartamenti a causa di un'indisposizione.
La mattina dopo è trovata morta nel suo letto. Ha solo 40 anni.
A causa della sua indiscussa fama, il Re Carlo IV apre un'inchiesta che, nonostante i numerosi sospetti di avvelenamento, si conclude con una strana risoluzione: la Duchessa è morta di "morte naturale". Ma, dati gli innumerevoli segreti di alcova, chi in realtà ha interesse ad arrivare ad una simile conclusione?
Goya è convinto di essere indirettamente responsabile del tragico evento e racconterà l'intera storia del suo amore con Cayetana a Godoy. Godoy sa perfettamente che tutto ciò non è possibile perché pensa di essere il solo ed unico responsabile della morte della Duchessa. Da parte sua, Pepita Tudò, gelosa di Cayetana e umiliata dalla Corte che la emargina per le sue umili origini, pensa che la Duchessa abbia bevuto il veleno che essa ha versato nel bicchiere davanti alla sua camera e quindi si sente responsabile della tragica morte.
Ma nessuna delle versioni corrisponderà alla verità e il film non svelerà il mistero della scomparsa prematura di Cayetana. 

Recensioni

 

 

 

Volavérunt-La Maja desnuda o delle muse goyesche

Il sogno di realizzare un film sulla relazione tra il pittore Francisco Goya e la Duchessa d'Alba accarezzò per lungo tempo il giovane Luis Buñuel, futuro regista di "Un chien Andalou" al punto che nel 1926 ne scrisse la sceneggiatura che tuttavia, per molte ragioni, non realizzò mai. Parola misteriosa e intraducibile VOLA-VE-RUNT appare per la prima su un libretto di schizzi del pintor don Francisco de Goya. Con essa egli indica il mistero della vita che risiede nel ventre femminile, dilatando lo sguardo verso le zone più nascoste del corpo così che possa stabilirsi un'identificazione tra il pittore del passato e il regista contemporaneo. Bigas Luna è dunque Francisco Goya, e al pari di lui impara a indagare sulla bellezza non ancora interamente svelata della sua Musa Aitana Sánchez-Gijón - Duchessa d'Alba. Il film si apre sul primo piano di un calice che viene riempito di un liquido, oggetto reale e simbolico, che anticipa il clima di mistero creatosi attorno alla morte della Duchessa. Il seguito è tutto un susseguirsi di campi lunghi alternati da primi piani e da controcampi sui personaggi della corte che viaggiano in carrozze verso il palazzo madrileno della Duchessa, immersi in un paesaggio andaluso arido e solenne, cui la fotografia di Paco Femenía infonde quasi un respiro epico.
Il regista catalano costruisce dunque un prologo "in movimento" con un ritmo lento e dilatato che rammenta il cinema giapponese di Akira Kurosawa, cui il regista afferma di aver pensato (con riferimento a Rashomon) anche per la stesura della parte finale in cui la verità intorno alla morte della Duchessa viene scomposta in tre differenti facce, ciascuna corrispondente alle figure che interagiscono con la sua vita. 
Nella ricerca di una verità storica, ambientale e finanche psicologica, egli riscopre l'importanza della luce naturale dell'epoca e al tempo stesso della sublime pittura goyesca.
Ai tempi lenti e dilatati del prologo corrisponde una rappresentazione dell'ambiente di Corte mediante quadri staccati secondo lo stile goyesco dei Caprichos: ciascuno di essi subisce un trattamento patetico o ironico a seconda della natura intima del rapporto stabilito tra la Duchessa e i suoi amanti. Tra essi si interpone anche la figura della principessa Maria Luisa di Parma (Stefania Sandrelli) che, concedendosi anch'essa al primo ministro Godoy, tesse intrighi ai danni della Duchessa. 
In questa prima fase di sviluppo della vicenda, la figura della Duchessa appare piuttosto come una bellissima e frivola cortigiana divisa tra tentazioni amorose e equilibri tra intimità e politica. Nella fase successiva, più prossima alla sua morte misteriosa, il ritratto che ne fa il regista cresce in intensità, venendo ad assumere contorni tragici. E il rapporto con il taciturno ed enigmatico Goya, la cui eloquenza è tutta negli sguardi, è racchiusa nell'atmosfera che contempla al suo interno il quadro più intimo e misterioso della Maja Desnuda, ovvero la rappresentazione della bellezza in una sola splendida figura che si compone in realtà di due donne diverse: l'una (la Duchessa) ha prestato al pittore la propria immagine, mentre l'altra (Pepita Tudò) la propria nudità.
Nello svelare i segreti della creazione artistica e i misteri dei colori nel cui pigmento vi sono sostanze mortali, il film costruisce una metafora sul cinema e sulle sue controfigure che prestano il proprio volto sul corpo di un altro durante la realizzazione di sequenze erotiche che il pudore e il rispetto della propria immagine pubblica, ancora impediscono di girare. Tuttavia esiste una differenza tra la realtà della Duchessa e la fiction filmica: essa consiste nel fatto che essa ignora del tutto chi sia la controfigura (<<Ma quella donna sono io....>> dirà stupefatta).
Il cinema sostituisce la pittura che a sua volta sostituisce la vita in un gioco continuo di riflessi speculari. Ma il film, rifiutando l'idea di un cinema statico, sviluppa un tipo di narrazione "in crescendo" ossia più fedele al punto di vista dei personaggi che all'oggettività del ritratto d'ambiente. Ciò appare evidente nella parte culminante nella morte della protagonista. In un clima drammaticamente cupo, reso ancor più realistico dall'uso ossessivo del primo piano e del dettaglio, ma ancor più da una fotografia capace di ridare uno spessore fisico e una propria autonomia agli oggetti, ciascun personaggio tra coloro che erano più vicini alla Duchessa Cayetana de Silva y Alvarez de Toledo, ossia Goya, Gody e Pepita Tudò, ricostruisce dal proprio punto di vista l'azione che ha preceduto la sua morte misteriosa senza movente né colpevole. Chi ha definito il film un thriller di costume dovrà certamente ricredersi davanti al sapiente gioco di specchi che riflettono la medesima immagine, la medesima azione dallo stesso punto di osservazione che in realtà muta cambiando l'attore e la sua psicologia in rapporto all'oggetto del desiderio come nel "Rashmon" di Kurosawa. La figura tragica di Cayetana esce ed entra di scena (nella continua reiterazione della sua morte fino al gesto finale della spoliazione del corpo esanime) in un susseguirsi di flash-back che interrompono la narrazione allo stesso modo in cui "l'attore" prova e riprova la medesima parte ogni volta in modo diverso frantumando l'unità spazio temporale in piccoli frammenti di verità dentro i quali la morte della protagonista viene assumendo valenze simboliche così come la sua stessa figura assume una statura tragica in senso romantico. L'urgenza della scoperta delle ragioni della morte e dei colpevoli diviene un motivo secondario rispetto alla dimensione sempre più ambigua del personaggio della Duchessa, intrigante ed emancipata cortigiana (superba nella bellissima sequenza in cui balla il fandango di Boccherini insieme a Pepita Tudò, sua preziosa rivale) o piuttosto creatura romantica desiderosa di un amore totale.
Non dobbiamo infine ritenere casuale che ad appassionarsi all'amore di Francisco Goya per la duchessa d'Alba sia stato l'altro grande spagnolo Luis Buñuel che lo stesso Bigas annovera tra i suoi maestri. Quello che avrebbe dovuto essere l'esordio cinematografico (1926) che precede dunque la realizzazione dei due capolavori surrealisti resterà per molte ragioni allo stadio di cineromanzo perduto per molti anni e ritrovato di recente tra le carte del Maestro. Ciò che maggiormente ha stimolato il suo interesse non è tanto il mistero della morte della Duchessa, quanto il clima di amour fou instauratosi tra il pittore e la cortigiana, amore che travalica le convenzioni sociali e finanche religiose. A Bigas, che riprende la storia sia attraverso ricerche dirette sia invece con la mediazione letteraria del romanzo "Volaverunt" di Antonio Larreta (Premio Planeta 1980), sembra piuttosto interessare il mistero della morte con le sue diverse verità, connesso ai segreti della creazione artistica che per la prima volta rivela il dettaglio proibito del corpo femminile. 
Queste virtù esprime "Volavérunt" unite alla ricerca, da parte del suo autore, del ritmo interiore del racconto della Duchessa, poiché appunto raccontare storie, nell'accezione più classica, sembra oggi essere l'imperativo del regista catalano.

Maurizio Fantoni Minnella

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F. Minnella

 

 

     
           
 

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