Recensioni
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Lavorare?
No Grazie!
Come
reagireste a un licenziamento in tronco, considerando la vita agiata che
conducete, la famiglia da mantenere e un certo prestigio sociale a cui non
volete rinunciare?
È quello che si chiede Vincent, il protagonista dell'interessante
"L'emploi du temps" di Laurent Cantet (già apprezzato per
l'intenso e problematico "Risorse umane"). E la scelta è di
inventarsi un nuovo impiego
all'O.N.U. per mettere a tacere amici e familiari, passando in realtà le
giornate girando in macchina senza una meta e senza sentirsi mai davvero
libero e sereno come avrebbe sperato.
Il film, dopo un avvio molto lento, permette di entrare con graduale
intensità nella psicologia del protagonista (un bravissimo Aurelien
Recoing). Tutto è più suggerito che spiegato (come la tradizione
francese impone), ma il film ha la sua forza nei dubbi che insinua e nella
pacata ma dura critica che rivolge ai pilastri di un sistema di vita che
viene spesso ritenuto come l'unico possibile.
Ma
il viaggio compiuto dal protagonista non è una semplice e sbrigativa
parabola del "lavoriamo troppo, riappropriamoci dei nostri
spazi"! Il personaggio di Vincent è infatti molto contraddittorio
nel fingere che nulla sia accaduto, vuole una vita diversa, ma vuole che
intorno a lui tutto resti immutato. È più un tentativo di evasione da un
ingranaggio di cui non si sente più parte, un vuoto interiore che non
offre alternative. E lo sguardo finale di Vincent trasmette un'amarezza,
un senso di vittoriosa sconfitta, che dice molto più di tante parole.
Luca Baroncini
Una lenta spirale che conduce al centro di un uomo,
apparentemente solo, concupito dai suoi stessi silenzi in un lento cullare
del lutto d'un esistenza che ha finalità esterne all'individuo.
Rispondere di fronte alle responsabilità ed agli uomini è un enorme
fardello, non ha inizio ed ha solo provvisorie pause, ed acuisce la
sofferenza quando il contatto con le persone si fa necessario,
obbligatorio; la fuga nella menzogna e nella vaga provvisorietà assume i
connotati d'una rocca in cui nascondere le proprie fratture morali. Il
dolore stesso, l'abiezione, il tradimento degli amici sono accidenti che
la falsità può offuscare e, vivendo in una finzione con le movenze d'un
mondo che si protende a diventare vero, quindi essere farmaci che
ottundono ed avvelenano. I legami si fanno lontani, gli obblighi del padre
di famiglia e marito scansati con mollezza, il lavoro, il lavoro come
incombenza infinita, debilitante: dopo il licenziamento nessuno stimolo
vale, si millanta, dunque, si creano mondi vorticosamente incontrollabili
e per paradosso rassicuranti, immediatamente ma nulla si sfalda.
Cantet (già autore di "Le Risorse Umane") costruisce psicologie
e personaggi di cruda e poetica possibilità esistenziale e avvolge la
vicenda in un lento progredire che toglie ogni speranza; attento ai
dettagli, abilissimo nella costruzione del (non) senso, sincero fino allo
strazio, anche grazie al suo protagonista Aurelien Recoing, magnifico, in
grado di sostenere con partecipazione primi piani d'enorme intensità.
Luigi Garella
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