APOCALYPSE NOW - Redux
(Apocalypse Now Redux)

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REGIA:    
Francis Ford COPPOLA

PRODUZIONE:  U.S.A.   -   1979   -   Drammatico

DURATA:  197'

INTERPRETI:
Marlon Brando, Robert Duvall, Martin Sheen,
Dennis Hopper, Harrison Ford, Laurence Fishburne, Sam Bottoms, Albert Hall, Coleen Camp, Christian Marquand, Aurore Clement

SCENEGGIATURA:
John Milius - Francis Ford Coppola
(da Cuore di Tenebra di Joseph Conrad)

FOTOGRAFIA:
Vittorio Storaro

SCENOGRAFIA: 
Dean Tavoularis

MONTAGGIO: 
Walter Murch

COSTUMI: 
Charles E. James

MUSICHE: 
Carmine Coppola - Francis Ford Coppola - Mickey Hart - TheDoors - Richard Wagner

Trama

Guerra del Vietnam. Il capitano Willard è investito di una missione segreta: recarsi in Cambogia e porre fine al comando del colonnello Kurtz che nella giungla ha creato un vero e proprio regno nel quale è venerato come un dio.

Recensioni

 

 

 

L'Orrore Magnifico

L'uscita di APOCALYPSE NOW REDUX, al di là degli inevitabili paralleli che ci induce a fare con la versione uscita nel 1979, è l'occasione imperdibile di vedere il colosso di Coppola al cinema. Il film recupera alcune scene che erano state eliminate dallo stesso regista nella prima edizione (che era dunque un director's cut, a differenza di quanto scritto da alcune testate) e si allunga di una cinquantina di minuti. Mi toglierò il dente e, rispondendo alla domanda che sorge spontanea dopo la visione, esprimo subito la mia preferenza per la prima versione perchè giocava (per volontà o per caso, non importa) su un tono più astratto, meno circostanziato e cronologicamente definito. Questa caratteristica aumentava il carattere visionario dell'opera, decontestualizzandola alquanto, rendendo sicuramente più accettabili i suoi molti difetti. Il primo A.N. (mi affido alla memoria, non lo vedo da anni, non posseggo più di una trentina di feticci in VHS e questo film non rientra nella rosa) sembrava un grandioso vascello sempre sul punto di naufragare e che, nonostante questo, si manteneva miracolosamente a galla. Sia ben chiaro: andava benissimo così, sono convinto che proprio il gigantismo autoriale, i suoi eccessi, molti semplicismi, una narrazione traballante, la frammentarietà, un facile simbolismo etc. fossero parte integrante del fascino di una pellicola che altrimenti, più misurata e coerente, non avrebbe bucato lo schermo come di fatto fa. I nuovi inserti non giovano molto a un equilibrio già precario ma, dato che questo REDUX non esclude l'altro, ben venga: vediamolo, giudichiamolo, il peggio che può capitare è di passare tre ore e venti minuti guardando cinema di serie A. Le scene aggiunte nella prima parte non danneggiano granchè, anzi permettono di approfondire il personaggio del colonnello Kilgore (un inarrestabile Robert Duvall, al massimo della follia), aggiungendo anche un risvolto divertente (la caccia al surf). Certo è che, riguardandolo, proprio il primo tronco si conferma come quello più compatto e convincente, con la bellissima sequenza di Sheen ubriaco e culminando nelle strepitose scene dell'attacco con gli elicotteri al suono di Wagner e in quella della spiaggia nella quale, mentre gli attendenti cercano di far desistere Kilgore dall'assurdo intento di una gara di surf sul Mekong, facendo notare che Charlie (ovvero i vietcong) è ancora in agguato, si sentono rispondere dall'ufficiale che: "Charlie non fa surf" ("Charlie dont surf for his hamburger mama\ Charlie gonna be a napalm star" canteranno un anno dopo i  Clash di SANDINISTA!). Il prosieguo del viaggio paradantesco tra i gironi dell'assurdo inferno bellico altalena pericolosamente ma (quel che più conta) riesce a imbrigliare l'occhio con una serie di meraviglie visive, tra sovrimpressioni e dissolvenze incrociate, di classe sopraffina. L'inedita sequenza dell'elicottero nel quale i soldati della squadra consumano sesso con le conigliette di Playboy è di per sé apprezzabile ma rallenta non poco il corso del film che si arena del tutto nello spezzone ambientato nella piantagione dei coloni francesi. Se da un lato la sequenza risulta significativa perché rende più chiara e intellegibile la teoria dell'autore (che intendeva fare un film contro la menzogna, "perchè quello che a me fa orrore è che una cultura riesca a mentire su ciò che accade realmente in guerra" ha detto Coppola), essendo la prima versione di ideologia piuttosto evasiva, dall'altro però risulta, nella sua marchiana concretezza, nel suo spudorato mettere le carte in tavola, un elemento stonato del film ("Noi abbiamo fatto la guerra del Vietnam per proteggere i nostri possedimenti e tenere insieme le nostre famiglie ma voi americani state facendo questa guerra per il più grande nulla della storia!" dice l'ufficiale francese). E' decisamente giustificata, insomma, la sua assenza nella versione del 1979 rivelandosi oggi come il momento più debole e didascalico della pellicola. Egualmente superfluo, per quanto visivamente attraente, lo strascico erotico\oppiaceo che restituisce alla luce la partecipazione al film di Aurore Clement. Il resto è cosa (quasi) tutta nota: l'arrivo nel regno di Kurtz  e la decisa virata su un registro vaneggiante e epico. In essa l'inserto più significativo è la lettura che Kurtz fa a Willard di un articolo del TIME che, annunciando la vittoria americana, perpetuava l'inganno sull'opinione pubblica condannato dall'autore. Tale sezione ha di fatto due protagonisti assoluti: il primo è naturalmente Brando. La sua comparsa, tutta giocata su un contrasto luci\ombre da brivido in cui il cranio lucido pare quasi una luna calante, mostra intatta la sua forza ed è venerabile al punto da far sembrare tutto il film fino a quel punto (mi si prenda con le pinze) come una sorta di lunghissimo e macchinoso prologo all'apparizione della Madonna Marlon. Favoloso idolo umano, mussoliniano e maestoso, l'attore è puro magnete. Il secondo è Vittorio Storaro che si concede nell'ultima parte un'orgia di colori e chiaroscuri di fascino indiscutibile che se contrasta (non poco) con il carattere realista fino a quel momento sfoderato, costituisce l'ulteriore, ammaliante frattura di un film discontinuo e grandioso che celebra, come pochi, le possibilità del cinema.

Luca Pacilio

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L’orrore del Reno

Una delle sequenze di maggiore impatto, visivo e sonoro, di “Apocalypse Now” (prima o seconda versione poco importa) è quella dell’attacco aereo, che sfocia nella delirante, irresistibile scena del surf. Il colonnello Kilgore vuole che il fuoco dal cielo sia accompagnato da una musica in grado di terrorizzare “Charlie”: l’incipit del terzo atto della “Valchiria”, la proverbiale Cavalcata. Ma perché Wagner?
Non crediamo che Coppola abbia optato per questa musica in nome delle consuete, anacronistiche non-ragioni (delirio di potenza, furore superomistico, nazismo). Questi potrebbero essere i motivi per cui il colonnello sceglie un simile brano: ma il regista? Occorre considerare quello che dicono, da un punto di vista drammatico, le note.
Nell’opera, la Cavalcata risuona nel momento in cui entrano in scena le Valchirie, le figlie di Wotan che attraverso l’aria, in sella ai loro destrieri, conducono al Walhalla, soggiorno degli Dei, i valorosi morti in battaglia. La musica crea un contrappunto amaramente beffardo alle immagini, del tutto prive di eroica trascendenza. I guerrieri che vengono dall’alto non portano beatitudine, ma morte: un deus ex machina non particolarmente benigno.
La Cavalcata, inoltre, apre l’ultimo atto della “Valchiria”, quello in cui Brünnhilde, per aver voluto difendere Siegmund e salvare Sieglinde (colei che porta in grembo il futuro Siegfried), affronta il castigo decretato dal padre degli Dei e di parecchi esseri umani (fra cui i suddetti amanti infelici, Siegmund e Sieglinde). Brünnhilde accetta di addormentarsi nel cerchio di fuoco, spinta dalla stessa febbre d’autodistruzione di cui sono prede, più o meno consapevoli, Wotan (persecutore dei suoi stessi figli) e Kurtz, che si “suicida” attraverso Willard. [E a proposito di punitori occulti di se stessi: in Cuore di tenebra il personaggio che corrisponde a Willard si chiama Charlie Marlow. Solo una coincidenza?]
“Apocalypse Now” contiene suggestioni edipiche (l’uccisione del Padre) e rimandi alla leggenda del Gral, ma si propone anche come tentativo di rilettura del mito dei Nibelunghi, di cui viene sottolineato l’aspetto “oscuro”. In una terra primordiale, la ricerca delle origini dell’uomo approda al Nulla, al fuoco che purifica distruggendo, sulle rive di un fiume maledetto. È il crepuscolo degli Dei, e, più ancora, degli idoli. È la ricerca dell’inizio che si risolve, implacabile, nella fine. This is the end...

Stefano Selleri

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