BLOW
(Blow)
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REGIA:
Ted DEMMEPRODUZIONE: U.S.A.
- 2001 - Drammatico
DURATA: 124'
INTERPRETI:
Johnny Depp, Penelope Cruz,
Jordi Molla, Franka Potente, Rachel Griffiths,
Ray Liotta, Ethan Suplee, Paul Reubens
SCENEGGIATURA:
David McKenna - Nick Cassavetes
FOTOGRAFIA: Ellen Kuras
SCENOGRAFIA: Michael Hanan
MONTAGGIO: Kevin Tent
COSTUMI: Mark Bridges
MUSICHE: Graeme Revell
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Trama
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Storia (vera) del narcotrafficante americano che per primo importò grandi quantità di cocaina negli Stati Uniti, contribuendo in maniera sostanziale al boom della polvere bianca in America. |
Recensioni
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Crimini inguardabili
Il problema è che molti
di noi pensavano che fosse stato sufficiente quel “Traffic” di Steven
Soderbergh a gettare uno sguardo colmo di sciatteria/superficialità sul
magico mondo del narcotraffico. Sui viavai attraverso i confini tra paesi
produttori/paesi consumatori, soldi a palate e decadenza improvvisa, vite
risucchiate (“blowned”) dentro a un vortice di arricchimento feroce,
di quella avidità che si impossessa presto di ogni parvenu che si
rispetti (e il mondo del cinema non fa eccezione). Tutti concetti questi
che alquanto paradossalmente Ted Demme non riesce a esprimere senza cadere
prontamente nel ridicolo, ma che riemergono nella memoria cinefila di
ognuno una volta consolidato (dopo 10 minuti circa) il fastidiosissimo
sentore di deja vu imperante nel film. Eppure la banalità non è che un
peccato veniale all’interno di un film talmente puerile e insignificante
da riuscire a ergere semi-nullità del calibro di “Traffic” allo
status di capolavori. Individuarne i difetti è terribilmente semplice,
essendo “Blow” un film che si discosta dagli standard Hollywoodiani
per la manifesta incapacità di riuscire a raggiungerli. Fallisce in
partenza perché vorrebbe palesemente rientrare dentro agli schemi di un
genere che esige per lo meno una buona scrittura, ritmo e una regia
solida. Sostanzialmente quello che si richiede a un prodotto di
intrattenimento puro. Ma “Blow” non può nemmeno aspirare al rango di
film medio, non può rivolgersi al grande pubblico di Hollywood perché
non regge il confronto con gli standard attuali. Ted Demme non è
chiaramente in grado di dirigere un buon film, e qui ne da’ ampia
dimostrazione, arraffando bassamente vecchi luoghi comuni e incollandoli
l’uno all’altro in un patetico mix di tristi macchiette che
vorrebbero, si presume, arrivare a delineare un ritratto di un personaggio
che dovrebbe in qualche modo risultare interessante. Una sceneggiatura tra
le più insulse, superficiali, deboli e puerili degli ultimi anni non
risolleva le sorti del film.
Il trailer mandato in onda per pubblicizzare il film piuttosto riusciva a
dare molto meglio l’impressione dei concetti che avrebbero voluto
emergere nel film. Apparivano stralci delle sequenza di Johnny Depp
tronfio e sicuro di sé camminare spedito in un aeroporto, con tanto di
basettoni incolti e colonna sonora adeguata, elementi che in verità
riuscivano a far affiorare una certa atmosfera tipicamente “seventies”
e para-tarantiniana. Tutto svanisce all’interno del film, quando ci si
accorge che Johnny Depp sta in realtà cercando di passare la dogana
dell’aereoporto con due valigie piene di cocaina, ma che Ted Demme non
è nemmeno in grado di creare uno straccio di suspance. Il film prevede
tra l’altro una sorta di excursus all’interno di diversi decenni, ma
le varie ricostruzioni “storiche”, oltre a lasciare molto a
desiderare, si susseguono pedestremente senza mai riuscire veramente ad
assicurare una vaga idea dello scorrere del tempo. Concetto questo che
Demme preferisce esprimere (come già nel precedente “Life”, che
comunque meritava senz’altro più attenzione di “Blow”) stupendo con
effetti speciali, cospargendo di rughe i volti degli incolpevoli attori
protagonisti (non è forse criminoso raggiungere tali insulsi risultati
avendo a disposizione Johnny Depp e Ray Liotta?). Pare che Penelope Cruz
riesca nell’intento di trascinare al cinema schiere di adoranti.
Rimarrebbero comunque delusi, visto che la sua prima apparizione arriva
dopo un’ora e un quarto di film (un’infinità di tempo, nel caso di un
film tanto mal diretto), non offre certo un’interpretazione memorabile e
il suo grazioso volto viene presto sfigurato da una pesante colata di
trucco…
“Blow” risulta semplicemente offensivo, film immondo sotto l’aspetto
puramente estetico, prodotto basso, inutile e mal confezionato sotto
quello commerciale.
Stefano
Trinchero
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Commenti
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Polvere negli occhi
Fin dai suoi albori il cinema saccheggia gli archivi della Bianca Signora, all'affannosa ricerca di qualcosa che stupisca la platea. In questo caso Ted Demme (che non è il regista de "Il silenzio degli innocenti") si legge la scheda sulla vita di George Jung, primo grande spacciatore di cocaina negli Usa, e pretende di tirarci fuori un film. La tematica della droga è ormai ampiamente abusata sul grande schermo; tuttavia, quando ne esce fuori qualcosa di buono, il valore dell'opera non manca di essere riconosciuto. Appena poco tempo fa, tra la mediocrità degli Oscar, spiccava l'unico film realmente valido: "Traffic". Purtroppo per lui, Demme non è Sordebergh; di conseguenza, fallisce su tutta la linea. Rintracciare i difetti di "Blow" sarebbe come sganciare una mina in territorio bosniaco: ormai non c'è più nulla da distruggere. Nel marasma generale, si segnala un Johnny Deep dalle egregie qualità recitative: in questo caso, però, è fortemente limitato dal fatto che il suo personaggio è una macchietta che cammina, una minestra di luoghi comuni scritta con disarmante banalità ed esteriorizzata ancora peggio, con quella pettinatura improponibile. L'uso fatto di Penelope Cruz è addirittura fastidioso; la campagna pubblicitaria ce la presentava come coprotagonista di questo filmaccio, mentre lei compare soltanto nel secondo tempo. Non che sia una gran perdita: è grintosa, scatenata, feroce e perennemente "umida"... ma quel ruolo non è per lei, perché i classici lineamenti da brava ragazza non si oscurano neanche con una tonnellata di fondotinta. Il suo fascino non viene messo in discussione, ma i dodici mesi di un calendario la asseconderebbero decisamente meglio di un set cinematografico. Nel finale Demme tocca il fondo: al termine di un film fondamentalmente "tamarro", decide di cambiare rotta e lanciare il suo messaggio. Purtroppo, è una morale così diretta e retorica che non suscita assolutamente alcun sentimento nello spettatore; sarebbe stato decisamente meglio se la pellicola si fosse chiusa sull'immagine della figlia di Jung, che aspetta invano la partenza per la California. Invece Demme ci infila un monologo finale troppo esplicito, che spiega alla platea pure le virgole; il messaggio è tale solo quando traspare tra le righe. In questo caso invece è retorica. Non venitemi a dire che Demme è un regista coraggioso, esclusivamente perché ha costruito un film biografico sulla vita di un criminale; piuttosto, è un incapace in disarmante crisi di idee. Con il sincero augurio di migliorare. Nel naufragio si salva Ray Liotta, che il truccatore tenta di sfigurare con un triste labirinto di rughe; ma lui resiste, eroico e cristallizzato nella sua rassegnata condizione paterna, nonché citazione vivente di "Quei bravi ragazzi" di
Scorsese.
Emanuele Di Nicola
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Stefano
Trinchero
1 |
Matteo
Catoni
5
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Simone
Ciaruffoli
6
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