Recensioni
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Plastica, ultima Dea
La
classe non è acqua: il nuovo cinema francese, che trova in Resnais un
vero padre spirituale e nella coppia Jaoui – Bacri il modello principe,
riesce a piacere anche con quest’opera minore, debitrice di tanti film
precedenti, comunque gradevole.
L’idea di fondo non è certo nuova: un problema apparentemente
insignificante, sorto quasi per caso, provoca l’incontro di personaggi
che rappresentano differenti modi, tutti ugualmente pazzerelli, di
rapportarsi al mondo, agli “altri”. Il campionario non è certo esteso
(abbiamo la giovane espansiva ed appiccicosa, quella sprezzante e altera,
un’altra che è un concentrato di naiveté e lieve idiozia, la
quarta fobica e ossessiva, il bulimico che “somatizza”, il medico che,
per citare Woody Allen, “usa il sesso come manifestazione d’ostilità”),
e appunto in questo sta la forza del film, una commedia umana di
caratteri e costumi in cui accade poco ma, in compenso, si parla
tantissimo: sempre impegnati in dialoghi appuntiti e frenetici, un po’
leziosi nella loro perfezione formale, i personaggi dichiarano guerre e
firmano tregue nell’arco di un’inquadratura, mettono a nudo tic e
manie di tutti i giorni, osano giochi metanarrativi (durante una lite con
la moglie, il dottore pronuncia una battuta buffa e insignificante, che
secondo il suo modo di vedere dovrebbe sbloccare la situazione, dato che
“a teatro si fa così”) e stranianti (i soliloqui cui si abbandonano i
protagonisti, mentre gli altri presenti si comportano come se avessero
disattivato l’audio).
Proprio il teatro sembrerebbe l’habitat naturale di questa pièce
“schizzata” in cinque atti (con tanto di cartelli alla Brecht), che si
svolge da un lunedì al venerdì successivo in un numero ridotto di
interni urbani, sostituiti solamente nella sequenza conclusiva da
un’ambientazione en plein air, ed è inevitabile che la
sceneggiatrice e regista finisca per concentrarsi su scherzi e screzi
verbali a scapito di una costruzione più personale del racconto, optando
per uno sguardo non intrusivo, lieve, quasi anonimo. “Domani andrà
meglio” è un valido esempio di teatro filmato, che non apporta grandi
novità al cinema né al palcoscenico ma possiede una qualità ormai molto
rara, quella di saper descrivere tipi umani anche sgradevoli dosando con
mano felice crudezza di analisi e delicatezza di tocco: peccato che la
cattiveria si risolva in un’enorme bolla di sapone (tutti sono
abbastanza matti, ma in fondo hanno buon cuore), mentre il diffuso senso
di disagio verso se stessi e, soprattutto, verso gli altri, coniugi ed
amici in testa, si placa in un finale amarognolo e fulmineo, quasi
un’aggiunta posticcia (anche se va detto che la frase finale potrebbe
essere più un auspicio che una convinzione).
Il principale motivo d’interesse – ça va sans dire – è
costituito dagli attori, capaci di ribaltare il patetico in ridicolo, e
viceversa, senza soluzione di continuità. Adorabili in particolare
Nathalie Baye, cappottino lampone d’ordinanza e un baule di nevrosi al
seguito, Jean – Pierre Darroussin, impassibile medico doppio,
esilarante quando gioca con i suoi animaletti meccanici, e Jeanne Balibar,
luminosa nella sua mania ossessiva per la conservazione dei mobili (e dei
corpi) nella plastica.
Stefano
Selleri
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