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REGIA:    
Amos GITAI

PRODUZIONE:   Fra/Ita/Isr   -   2001   -   Dramm.

DURATA:  91'

INTERPRETI:
Samantha Morton, Thomas Jane, Luke Holland,
Danny Huston, Daphna Kastner, Arthur Miller

SCENEGGIATURA:
Amos Gitai - Marie-José Sanselme - Nick Villiers

FOTOGRAFIA: 
Renato Berta

SCENOGRAFIA: 
Thierry François - Eytan Levy

MONTAGGIO: Kobi Netanel - Monica Coleman

COSTUMI: Laura Di Nulesco

Trama

Palestina, primi anni Quaranta. Le esistenze di Samantha, di suo marito Dov, del fratello della donna, Kalman, e di altri sionisti nei tragici mesi della seconda guerra mondiale.

Recensioni

 

 

 

Il Paradiso inesistente

Il più grande conflitto del XX secolo, anzi, ogni conflitto, specie quello, eterno ed atemporale, fra Israeliani e Palestinesi (vedi l'ultima inquadratura, che mescola in sordina passato e presente), trova cittadinanza nel nuovo film di Amos Gitai, descrizione di un mondo di rapporti sociali e politici sempre sull'orlo dell'esplosione, in cui uomini e cose sono separati da un rancore ben poco occulto e si ritrovano immobili, sterili, inutili di fronte alla Storia ed alla morte. La connotazione dei personaggi, delle loro non-azioni e dei loro non-sentimenti (tutti, tranne il vecchio genitore interpretato da Arthur Miller, sono congelati in un'indifferenza assoluta verso se stessi e gli altri) è toccante, il racconto scarno ed ellittico come si conviene ad ogni viaggio nel dolore della memoria che voglia distanziarsi dal passato per non snaturarne, attraverso la "drammatizzazione", le tracce. Ma questo, che è il punto di forza del film, finisce per essere anche la causa della sua debolezza. Il dramma dei protagonisti è tanto universale (e vagamente delineato) che potrebbe tranquillamente avere luogo in qualunque altro luogo e tempo, lo sfondo storico risulta evanescente fino alla noia (la trama è quasi incomprensibile, a meno che non si abbia una conoscenza pressoché perfetta della storia d'Israele). Insomma, c'è il testo, manca il contesto. In un cast di attori sotto le righe si distingue, per fredda intensità, Samantha Morton. Colonna musicale da coma profondo.

(da Venezia)  Stefano Selleri


Incomunicabilità d'artista

Il titolo si riferisce all'utopistica idea di far convivere pacificamente, in una sorta di paradiso immaginario, Arabi e Israeliani. Il film di Amos Gitai trae ispirazione da un testo di Arthur Miller (qui presente anche nell'inconsueta veste di attore) e lo riadatta ambientandolo nella Palestina del 1940 e ponendo l'accento sull'intimita' dei personaggi, in qualche modo vittime e artefici del periodo storico che stanno vivendo. Tuttavia non e' la storia ad occupare la parte del centrale del racconto, ma diventa un riflesso delle scelte dei personaggi, divisi tra le proprie ambizioni personali e la realta' politica e sociale della terra in cui vivono.
Il progetto e' sicuramente interessante, ma la maggior parte di cio' che accade sullo schermo risulta poco chiaro e non trova appigli a cui aggrapparsi. Probabilmente e' la poca conoscenza dei fatti (leggasi ignoranza!) a rendere gli avvenimenti enigmatici e per nulla comprensibili le motivazioni dei personaggi, ma sicuramente uno strumento universale come il cinema poteva permettere a un cineasta di comunicare la sua idea in modo meno criptico. Ecco quindi persa nel vuoto l'intensa e spaesata Samantha Morton, il conflitto dei personaggi tra ideali e passioni, i lunghi e noiosi piani-sequenza. Strana anche la sensazione evocata dalla fotografia: forse l'effetto e' voluto per dare un'idea di contemporaneita' a contrasti mai effettivamente risolti, ma il taglio visivo scelto non aiuta ad entrare nella Palestina del 1940. Fuori luogo anche la colonna sonora che scomoda la sinfonia nr. 1 di Gustav Mahler per produrre un afflato epico ulteriormente straniante.

(da Venezia)  Luca Baroncini

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