Recensioni
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Half
Monty
Ovvero: quando una troupe lavora a mezzo servizio. Dopo
l’enorme successo degli “squattrinati organizzati” dediti allo
striptease, Peter Cattaneo, per non correre rischi, torna con un film
uguale al precedente. Lo schema è lo stesso (tipi simpatici riescono ad
uscire dai guai grazie allo showbiz), le caratterizzazioni identiche (un
antieroe canaglia e a suo modo fascinoso, il suo collega nero e un po’
“suonato”, il ciccione, l’effeminato intelligentissimo eccetera), la
comicità la medesima, in astuto equilibrio tra malinconia e verve
“scatenata” (è il caso di dirlo).
Il
risultato è gradevole, ma non certo memorabile, anche perché la storia
d’amore tra il galeotto e la psicologa del carcere è appiccicata senza
troppa convinzione, e ci sono troppe forzature idilliache (più che in un
carcere, sembra di essere in un hotel corredato di porte girevoli). Se si
accettano i limiti della favoletta, ci si può anche divertire. Alla fine,
la cosa migliore è l’allestimento dello spettacolo su Nelson,
soprattutto per merito delle meravigliose musiche di Anne Dudley, tra
Gilbert – Sullivan e Cole Porter. Tra gli attori vanno segnalati almeno
Christopher Plummer e Timothy Spall, nuovamente alle prese con
l’operetta dopo “Topsy – Turvy” di Mike Leigh.
Stefano
Selleri
C'è posto in prigione? Vengo anch'io!
Sembra
scritta da un elaborato software la sceneggiatura dell'ultimo film di
Peter Cattaneo, che ha impiegato quattro anni per riprendersi
dall'inaspettato successo mondiale di "Full Monty". Ha infatti
tutti gli elementi messi al posto giusto per coinvolgere il pubblico e
divertirlo, mantenendo inalterato lo stesso mix di "vita dura &
tenerezza" che ha fatto la fortuna di "Full Monty".
In realtà il ripetersi della stessa formula non garantisce per forza il
medesimo risultato. Il soggetto infatti (identico a quello dello svedese
"Breaking out" di qualche anno fa) sconta luoghi comuni e
buonismo in dosi davvero eccessive: la prigione in cui è ambientata la
vicenda sembra Disneyland tante sono le opportunità che offre, i
caratteri dei personaggi sono calibrati al millesimo (tutti, tranne il
"cattivone" di turno, sono in fondo "buoni", ma nelle
varianti duro, intellettuale, aggressivo, finto-cattivo, fragile, ecc.),
c'è pure la possibilità di innamorarsi (e di organizzare una spartana ma
romantica cena a lume di candela), il direttore è un caricaturale patito
di musical, e non manca il momento tragico che in una commedia a remoto
sfondo sociale serve comunque a ricordare al pubblico che la vita, eh sì!,
mica è tutta rosa e fiori.
L'insieme
è piacevolmente innocuo, ma il difetto principale è quello di dare
un'ambientazione realistica (il carcere) per poi costruirvi sopra una
favoletta senza nerbo con il fine di accontentare (e soprattutto non
scontentare) un po' tutti.
Luca
Baroncini
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