LUNA ROSSA
 

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REGIA:    
Antonio CAPUANO

PRODUZIONE:  Italia   -   2001   -   Drammatico

DURATA:  116'

INTERPRETI:
Licia Maglietta, Carlo Cecchi, Toni Servillo,
Antonio Iuorio, Domenico Balsamo, Italo Celoro, Antonio Pennarella, Enzo Romano, Susy del Giudice

SCENEGGIATURA: Antonio Capuano

FOTOGRAFIA: Tommaso Borgstrom

SCENOGRAFIA: Paolo Petti

MONTAGGIO: Luciana Pandolfelli

COSTUMI: Metella Raboni

MUSICHE: Lelio De Tullio

Trama

Ascesa e caduta (più la seconda che la prima) dei Cammarano, vanto della malavita partenopea.

Recensioni

 

 

 

Ridateci Cacoyannis!

Quanti modi ci sono per affrontare il tema della “famiglia” mafiosa? Infiniti, o meglio, tanti quanti ne dettano le differenti sensibilità dei registi, o le loro lacune in proposito. Per limitarci agli ultimi anni, abbiamo ad esempio la mafia come specchio, non deformante, della società civile (Scorsese, che non vede differenze tra la malavita di oggi e l’alta borghesia di fine Ottocento), la mafia come “follia organizzata” alla Stendhal, tra humour nero e grumi di sangue (Tarantino), la mafia come situazione estrema, in grado di rendere ancora più  viscerali le pulsioni umane (Abel Ferrara). Quest’ultima è la strada scelta anche da Capuano, ma il suo viaggio fra il potere, le passioni e la morte finisce ancora prima di cominciare, arenandosi per colpa del narcisismo, davvero imbarazzante, dell’Autore. Alla ricerca di un espediente in grado di conferire “dignità” e “tragicità” alla materia (come se non ne avesse abbastanza in sé, per chi sa come affrontarla), il regista si balocca con i tragici greci, arrabattando scolasticamente, senza troppa inventiva, un parallelo tra i boss di camorra e gli Atridi, ed infarcendo il tutto con prevedibili “guizzi” visivi da spot. Risultato finale, una messinscena “maledetta”(mente comica) dell’Orestea (e non solo), afflitta da una recitazione catatonica, dialoghi terrificanti (La Piovra, in confronto, sembra sceneggiata da Oscar Wilde), trovate da boato a scena aperta (la pantera in gabbia) e un disprezzo per la logica narrativa che non proviene da un intento iconoclasta nei confronti dell’istituzione – cinema, ma da dilettantesca incompetenza [vedi i grossolani errori di montaggio, come il fulmineo cambio di parrucche della sventurata Licia Maglietta, bionda o blu (sic!) a seconda delle inquadrature in una scena che non prevede stacchi].
La cosa peggiore è che “Luna Rossa” non ha un attimo in cui i suoi personaggi siano credibili, ed è quindi impossibile seguire le loro “tragedie” con un interesse superiore a quello destinato a, peraltro modeste, figurine. Ad ogni modo, l’epilogo, col figliol prodigo capellone che fa strage dei parenti in sette secondi netti, fredda la mamma e si va a costituire, sarà subito cult per ogni amante del trash.

Stefano Selleri


Il lutto si addice a tutto

LUNA ROSSA non concedendo nulla al gusto corrente, si propone come film difficile e sgradevole, non solo adattamento del modello tragico greco a una realtà similmente tribale ma anche ritratto dell'ambiente camorristico singolare e antinaturalistico, antidoto necessario a tanta (telefilmica) qualunquità sull'argomento che, come già sottolineato, a proposito dell'apprezzabile PLACIDO RIZZOTTO, sembra andare a costituire un (tristo) genere filmico a se stante. Capuano percorre la strada di una rappresentazione straniata e frammentaria, piena di lampi intuitivi e soluzioni originali, non ha paura di fare avanguardia povera con questo suo film nudo e imperfetto, ballo letale ipnotizzante che ottunde i sensi e appanna la ragione. C'è molto del nuovo teatro napoletano in quest'opera disperante e crudele, nell'artificio esasperato della messinscena, nel tono smaccatamente letterario e improbabile dei dialoghi, c'è quella studiata sciatteria che si ritrova in certi laboratori teatrali (realmente) alternativi in cui a pronunciare la parola "arte" non ci si riempie la bocca nè lo stomaco. LUNA ROSSA procede per sipari estetizzanti, è un film meticcio, figlio di quella cultura ibrida e indisciplinata che dopo tanto oscurantismo lancia, in questi anni, alto il proprio grido. Se il nucleo è l'Orestea e la tragedia classica, il fitto groviglio di uccisioni, tradimenti incrociati, incesti, omosessualità e morbose relazioni è filtrato secondo un registro in cui tradizione e sperimentalismo si coniugano e si respingono. Senza paura di essere volgare o pesantemente simbolico, Capuano firma il suo
film migliore, miscelando la sperimentazioni della videoarte alla triviale cascata di immagini delle tv locali, Eschilo a Mario Merola, inserendo una base house sullo scorrere delle immagini di un funerale, azzardando senza pudore alcuno con immagini fulminanti e dure come roccia, lasciando dominare tutto da un'atmosfera pesantemente mortifera, spezzettando la narrazione, alter(n)ando i toni. LUNA ROSSA è cinema vivo che trasuda morte, cinema contaminato che in Italia non fa (quasi) nessuno, coraggioso e perdente. Pasoliniano. E' la conferma che la scena napoletana costituisce l'unica proposta autorevole che il panorama nostrano possa vantare contro il cinema piacione e banalmente populista che la fa da padrone in questo periodo: proposta oltre le mode, oltre il botteghino, oltre tutto. Servito da attori magnifici (Toni Servillo su tutti) che agiscono in scene quasi vuote, con pochi scarni arredi, affidandosi all'eccesso delle tinte, eliminando sfumature e chiaroscuri, LUNA ROSSA, pur nei suoi difetti [la seconda parte appare più meccanica, (de)generata com' è dal rigoroso schema di partenza], rimane memorabile, scomoda e spiacente incisione su pellicola di un ancestrale livore, la rabbia epica di un'umanità abbandonata a se stessa in certe violente terre di nessuno. Vedi il Mezzogiorno. Vedi la Campania. Vedi Napoli (e poi muori).

Luca Pacilio

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