Recensioni
|
Ridateci
Cacoyannis!
Quanti modi ci sono per
affrontare il tema della “famiglia” mafiosa? Infiniti, o meglio, tanti
quanti ne dettano le differenti sensibilità dei registi, o le loro lacune
in proposito. Per limitarci agli ultimi anni, abbiamo ad esempio la mafia
come specchio, non deformante, della società civile (Scorsese, che non
vede differenze tra la malavita di oggi e l’alta borghesia di fine
Ottocento), la mafia come “follia organizzata” alla Stendhal, tra
humour nero e grumi di sangue (Tarantino), la mafia come situazione
estrema, in grado di rendere ancora più viscerali le pulsioni umane
(Abel Ferrara). Quest’ultima è la strada scelta anche da Capuano, ma il
suo viaggio fra il potere, le passioni e la morte finisce ancora prima di
cominciare, arenandosi per colpa del narcisismo, davvero imbarazzante,
dell’Autore. Alla ricerca di un espediente in grado di conferire
“dignità” e “tragicità” alla materia (come se non ne avesse
abbastanza in sé, per chi sa come affrontarla), il regista si balocca con
i tragici greci, arrabattando scolasticamente, senza troppa inventiva, un
parallelo tra i boss di camorra e gli Atridi, ed infarcendo il tutto con
prevedibili “guizzi” visivi da spot. Risultato finale, una messinscena
“maledetta”(mente comica) dell’Orestea (e non solo), afflitta
da una recitazione catatonica, dialoghi terrificanti (La Piovra, in
confronto, sembra sceneggiata da Oscar Wilde), trovate da boato a scena
aperta (la pantera in gabbia) e un disprezzo per la logica narrativa che
non proviene da un intento iconoclasta nei confronti dell’istituzione
– cinema, ma da dilettantesca incompetenza [vedi i grossolani errori di
montaggio, come il fulmineo cambio di parrucche della sventurata Licia
Maglietta, bionda o blu (sic!) a seconda delle inquadrature in una scena
che non prevede stacchi].
La
cosa peggiore è che “Luna Rossa” non ha un attimo in cui i suoi
personaggi siano credibili, ed è quindi impossibile seguire le loro
“tragedie” con un interesse superiore a quello destinato a, peraltro
modeste, figurine. Ad ogni modo, l’epilogo, col figliol prodigo
capellone che fa strage dei parenti in sette secondi netti, fredda la
mamma e si va a costituire, sarà subito cult per ogni amante del
trash.
Stefano
Selleri
Il lutto si addice a tutto
LUNA ROSSA non concedendo nulla al gusto corrente, si propone come film difficile e
sgradevole, non solo adattamento del modello tragico greco a una realtà similmente tribale ma anche ritratto dell'ambiente camorristico singolare e antinaturalistico, antidoto necessario a tanta (telefilmica) qualunquità sull'argomento che, come già sottolineato, a proposito dell'apprezzabile PLACIDO RIZZOTTO, sembra andare a costituire un (tristo) genere filmico a se stante.
Capuano percorre la strada di una rappresentazione straniata e frammentaria, piena di lampi intuitivi e soluzioni originali, non ha paura di fare avanguardia povera con questo suo film nudo e imperfetto, ballo letale ipnotizzante che ottunde i sensi e appanna la ragione.
C'è molto del nuovo teatro napoletano in quest'opera disperante e crudele, nell'artificio esasperato della messinscena, nel tono smaccatamente letterario e improbabile dei dialoghi, c'è quella studiata
sciatteria che si ritrova in certi laboratori teatrali (realmente) alternativi in cui a pronunciare la parola "arte" non ci si riempie la bocca nè lo stomaco. LUNA ROSSA procede per sipari estetizzanti, è un film meticcio, figlio di quella cultura ibrida e indisciplinata che dopo tanto oscurantismo lancia, in questi anni, alto il proprio grido. Se il nucleo è l'Orestea e la tragedia classica, il fitto groviglio di uccisioni, tradimenti incrociati, incesti, omosessualità e morbose relazioni è filtrato secondo un registro in cui tradizione e sperimentalismo si coniugano e si respingono. Senza paura di essere volgare o pesantemente simbolico, Capuano firma il suo
film migliore, miscelando la sperimentazioni della videoarte alla triviale cascata di immagini delle tv locali, Eschilo a Mario Merola, inserendo una base house sullo scorrere delle immagini di un funerale, azzardando senza pudore alcuno con immagini fulminanti e dure come roccia, lasciando dominare tutto da un'atmosfera pesantemente mortifera, spezzettando la narrazione, alter(n)ando i toni. LUNA ROSSA è cinema vivo che trasuda morte, cinema contaminato che in Italia non fa (quasi) nessuno, coraggioso e perdente. Pasoliniano. E' la conferma che la scena napoletana costituisce l'unica proposta autorevole che il panorama nostrano possa vantare contro il cinema piacione e banalmente populista che la fa da padrone in questo periodo: proposta oltre le mode, oltre il botteghino, oltre tutto. Servito da attori magnifici (Toni Servillo su tutti) che agiscono in scene quasi vuote, con pochi scarni arredi, affidandosi all'eccesso delle tinte, eliminando sfumature e chiaroscuri, LUNA ROSSA, pur nei suoi difetti [la seconda parte appare più meccanica, (de)generata com' è dal rigoroso schema di partenza], rimane memorabile, scomoda e spiacente incisione su pellicola di un ancestrale livore, la rabbia epica di un'umanità abbandonata a se stessa in certe violente terre di nessuno. Vedi il Mezzogiorno. Vedi la Campania. Vedi Napoli (e poi muori).
Luca Pacilio
|