Recensioni
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Un
matrimonio rosa slavato
Il nuovo film di Mira Nair è un
affresco che ruota attorno ad una cerimonia nuziale, ma siamo anni luce
dal rigore al cianuro di Altman. L’autrice di “Salaam Bombay!” cerca
d’infondere la brezza ilare che – si dice – spira in quel di
Bollywood ad una struttura narrativa che rimanda alla commedia classica
americana: insomma, parenti, amici e tanti guai attorno alla coppia di
fidanzati, il tutto volenterosamente condito da un’ironia bonaria e
screziata di amarezza e dall’esplicita ambizione di tracciare un
ritratto dell’India tra passato (il suggestivo cerimoniale della
tradizione) e presente (la complessa situazione sentimentale e sociale che
complica ulteriormente i rapporti tra i personaggi).
Il problema è che il film sembra preparato con la bilancia da farmacista:
un tanto di preparativi per la cerimonia, un po’ di ansie, un tocco di
speranza, gioia inaspettata q. b., un’ombra di ricordi dolorosi, qualche
sospetto e una caterva di balletti e canzoni, sceneggiare disseminando
battute e pene di cuore a piacere, et voilà, il film nuziale è pronto.
Non che la torta, alla fine, non sia gradevole, ma stomaca presto.
Soprattutto perché sono decenni che vediamo ragazze emancipate ma
timorose della famiglia, padri in ansia per fare quadrare i conti del
festino, organizzatori arruffoni e un po’ farabutti che non sanno
mettere ordine nella propria vita privata, domestiche dolci e sornione,
intellettuali tormentate, mariti infedeli che si sdilinquiscono al
telefono con le mogli, zii ambigui, fanciulle provocanti e ragazzini
maliziosi.
Interessante, e forse la cosa migliore del film, il lavoro compiuto sulla
componente linguistica: i personaggi parlano, a seconda del contesto e
persino della singola frase, inglese (modernità, ribellione alle
convenzioni) e dialetti locali, ma ad una prima visione non è facile
cogliere le sfumature di senso che regolano quest’alternanza, anche
perché si è costretti a seguire contemporaneamente lo scorrere dei
sottotitoli.
E
alla fine, tra manierismi e parentesi “liriche”, la noia ha il
sopravvento sulla buona volontà dello spettatore. Assolutamente
decorative le immagini (due o tre) di stampo documentaristico inserite
nella parte conclusiva.
Stefano
Selleri
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