MOULIN ROUGE
 (Moulin Rouge!)

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REGIA:    
Baz LUHRMANN

PRODUZIONE:   U.S.A./Aus   -   2001   -   Dramm./Mus.

DURATA:  126'

INTERPRETI:
Nicole Kidman, Ewan McGregor,
John Leguizamo, Jim Broadbent, Richard Roxburgh, Kylie Minogue, Placido Domingo, Ozzy Osbourne

SCENEGGIATURA:
Baz Luhrmann - Craig Pearce

FOTOGRAFIA: 
Donald McAlpine

SCENOGRAFIA: 
Catherine Martin

MONTAGGIO: 
Jill Bilcock

COSTUMI: 
Catherine Martin - Angus Strathie

COREOGRAFIE:
John O'Connell

MUSICHE: 
Craig Armstrong - David Bowie - Elton John - Marius De Vries

Trama

La storia d'amore tra un giovane scrittore inglese e la prima ballerina del Moulin Rouge.

Recensioni

 

 

 

Un caleidoscopio di colori

"Moulin Rouge" non è un film come tanti altri. Penso proprio che sia questa la prima impressione che suscita l'ultimo lavoro di Baz Luhrmann (già autore di Romeo+Giulietta); è un'opera diversa, innanzitutto perché rispolvera un genere oramai quasi dimenticato dal cinema moderno, il musical, e soprattutto per lo stile che il regista ha deciso di donare all'opera. Che piaccia o meno, questo film si caratterizza per un gusto dell'eccesso, che si manifesta in varie forme: dall'uso esagerato nell'utilizzo della cinepresa che sembra posizionata su un ottovolante, al festival ininterrotto di luci e colori che travolgono continuamente lo spettatore, fino alla recitazione degli attori, a volte spinta fino al macchiettismo. Eppure, dopo alcuni minuti, dopo aver superato una fase di sconcerto, il divertimento prende il sopravvento, ed è difficile non rimanere coinvolti dalle canzoni e dai balletti che imperversano sullo schermo. L'uso costante, e spregiudicato, di brani famosi (si passa da Marylin Monroe ai Nirvana senza timori reverenziali) rende il tutto al di fuori del tempo, facendo sembrare il Moulin Rouge un locale situato al centro dell'universo, e tutt'intorno soltanto persone che vogliono divertirsi e fare festa. 
La storia d'amore che si dipana è semplice, e ha il proprio merito proprio in questo, nel creare un clima di dolce favola dal sapore retrò, ma allo stesso tempo universale; come universali sono i valori che i Bohemienne parigini cercavano di trasmettere in quel periodo. L'opera non cerca mai di superare se stessa, e non si perde in percorsi esistenziali e filosofici che giustamente non gli spettano, ma riesce a mantenere uno stile coerente per tutta la sua durata (a parte forse qualche passaggio a vuoto nella fase centrale). Se a tutto questo aggiungiamo degli attori all'altezza dei loro ruoli, ci rendiamo conto che questo film è all'altezza della situazione; Nicole Kidman è semplicemente divina (ma di questo potevamo avere dubbi?), ed è brava anche in alcune situazioni comiche, in cui non si era mai cimentata (ma c'è qualcosa che questa donna non sappia fare?). Ewan Mc Gregor si difende, in un ruolo non troppo facile, e nonostante non sia paragonabile alla dea che ha di fronte è onesto, e dimostra di avere ancora dei margini di miglioramento.
Il gusto dell'eccesso, di cui si parlava all'inizio, lo ritroviamo anche nelle oniriche e barocche scenografie (strepitosa la torre dell'amore a forma d'elefante!) e nei costumi sgargianti e coloratissimi.
In definitiva un'opera che sa conquistarti, ma che sono certo deluderà, e non poco, alcuni puristi.
Ma se cerchiamo nel cinema delle provocazioni che creino dei prodotti diversi, dobbiamo anche essere pronti a sopportare qualcosa che non ci piace (nello specifico la pistola che vola dalla finestra e sbatte sulla Torre Eiffel!); ma le cose che funzionano in questo film sono sicuramente superiori a quelle che non vanno, e se ci lascia trascinare da questo enorme baraccone colorato il divertimento arriverà e non poco. Da vedere.

Matteo Catoni


Sotto il lustrino niente

Buz Luhrmann si crede un genio e cerca, in ogni modo, di farlo credere anche a noi. Ma il suo gioco è facile e presto svelato: prendere un contesto ben individuato (storicamente, culturalmente, letterariamente), inserirvi una serie di fattori (post)moderni curandosi che rimangano in superficie e non intacchino l'essenza del parametro di riferimento, vedere di nascosto l'effetto che fa. Ma come non bastava una camicia hawaiana, una piscina e una folla di truzzi acchittati a creare una rilettura valida del Bardo (il pessimo ROMEO+GIULIETTA) così non basta dare una passata di pop luccicante alla Parigi della Belle Epoque per creare un'opera originale. Il poveraccio si affanna, dandoci dentro con montaggi rutilanti, zoomate vorticose, ricreando una Montmartre immaginaria, tutta grafica computerizzata, che molto deve a un certo Burton favolistico senza averne la magia, ma il risultato non va oltre la patetica operazione di facciata che non penetra nel cuore e nello spirito di ciò che si intendeva rappresentare. Di fronte a questa chiassosa giostra mi veniva da pensare al tanto denigrato Ken Russell di LISZTOMANIA, un autore che della dissacrazione ha fatto una poetica autentica e che impregnò quest'opera di una carica tanto personale di sguaiata ossessività da farla risultare davvero una gioiosa e refrigerante boccata d'aria (fritta, certo, ma da grande chef). A differenza dell'inglese, che pacchiano lo era, ma dentro e felice d'esserlo, Luhrmann scivola sulla strada del Kitch patinato, non riverberando il suo spirito neanche il più pallido dei riflessi a tutta tinta delle grandiose messinscene russelliane, e riuscendo a essere soltanto di un cattivo "cattivo gusto". Non mi scaglierò certo sulla trama, risibile e elementare, come quella di ogni musical che si rispetti (in questo MR è, anzi, quasi classico), ma appare chiaro come i brani musicali non si inseriscano in essa per arricchirla o darle ragione d'essere avvenendo, invece, l'esatto contrario (si prenda dunque un brano musicale riconoscibile - diciamo LIKE A VIRGIN di Madonna - e lo si inserisca nel film creando uno straccio di dialogo che giustifichi la tiritera). Voglio dire che manca in MOULIN ROUGE un disegno, un progetto forte che possa dargli una dignità, non dico stilistica che è troppo chiedere a un carneade qualsiasi, ma quanto meno concettuale. Il regista invece sbologna la sua carica a salve di abusatissimi stereotipi, riverniciati per l'occasione, e di facili citazionismi di ingenuità neanche tenera, solo fastidiosa: l'ideale bohemien in pillole (Toulouse-Lautrec, c'era anche lui, mettiamolo nel calderone...) condito con le musiche di Elton John, Nirvana, Queen, Bowie, U2 e via cantando. Non manca, all'inizio, qualche scampolo piacevole (molto riuscito è il momento dell'improvvisato spettacolo nell'alcova di Satine), così come innegabile è la bravura di Mc Gregor e (soprattutto) Kidman, cantanti di tutto rispetto, ma questo non cambia il sapore della zuppa. Inutile sottolineare che le (sciatte) coreografie, le coloratissime scenografie, gli studiati gigionismi attoriali e gli eccessi di tutto sono solo fumo negli occhi (il caos confonde le idee) a coprire l'endemica mancanza di idee e la radicale carenza di talento. Temiamo che quella di MOULINE ROUGE sia una
leggerezza tutta apparente, che nasconda la greve pomposità di un autore che si prende tremendamente sul serio, l'ennesimo tentativo fallito di resuscitare un genere (il film musicale) che pare condannato dalla volontà (pseudo)autoriale di farne un oggetto diverso (il tristissimo Allen di TUTTO DICONO I LOVE YOU, l'annacquato Branagh di PENE D'AMOR PERDUTE), dissacrabile e da immolare sull'ara del dilettantismo artistoide (e qui avrei un esercito di nobili defunti che stanno a ballare, essi sì davvero, nello loro tombe). L'unico ad aver compreso il vero spirito della canzonetta e ad averlo riconvertito filmicamente con la semplicità che il pop richiede è il divino Resnais di PAROLE, PAROLE, PAROLE, ultrasettantenne più giovane di tanti fighetti esaltati. Oggi ci prova Luhrmann l'uomo da 60 milioni di dollari (tanto è costato il baraccone): cosa abbia giustificato tanta stima (BALLROOM? Siamo seri...) e fiducia da parte dei produttori è mistero nel quale non mi addentrerò, lasciando la splendente pochezza del film indizi inquietanti per una possibile risposta.

Luca Pacilio


"Something to remember", but, "I still haven't found what i'm looking for"

Il gusto per l'eccesso, la commistione stilistica tra musiche, sceografie e costumi razionalmente inaccostabili, il virtuosismo tecnico, sono da sempre marchio di fabbrica del cinema secondo Baz Luhrmann. A partire dalla favola "Ballroom - Gara di Ballo", fino alla rilettura in salsa pop del testo shakesperiano di "Romeo e Giulietta". In "Moulin Rouge", il geniale regista spinge ulteriormente il pedale sull'accelleratore della fantasia e costruisce un mondo sospeso, dove il luogo del peccato della Parigi di fine ottocento, diventa un caleidoscopio di luci e colori e dove l'atteso can-can si ritrova interpretato in "Voulez vous coucher avec moi" per poi sfumare nell'hit dei Nirvana "Smells like ten spirits". Ed e' la provocatoria scelta di reinventare il musical l'idea forte del progetto di Baz Luhrmann. Non a caso i momenti piu' coinvolgenti sono proprio quelli in cui musiche lontanissime, per genere ed epoca, vengono accostate per raccontare la storia d'amore tra la cortigiana Satine e il rampollo inglese in cerca d'amore, Christian. Una rivisitazione di "Your song" di Elton John fa scoccare la scintilla tra i due, portandoli a ballare direttamente in cielo tra le stelle. "Heroes" di David Bowie, mixata a "I will always love you" di Dolly Parton, celebra il loro amore impossibile. Un po' quello che si chiede al cinema: interpretare la realta' attraverso una visione "bigger than life", dove tutto e' amplificato, esagerato, irreale, come in un sogno. A una prima parte tanto squinternata quanto affascinante e ricca di suggestioni, tenuta insieme da una certa ironia e dall'idea che in fondo si sta partecipando a un gioco, segue pero' una brusca virata narrativa. L'amore fumettistico e sopra le righe tra i due protagonisti perde in leggerezza e si trasforma in prevedibile tragedia; i personaggi cominciano a prendersi terribilmente sul serio e da pedine di un sottile gioco intellettuale tentano di diventare vivi e pulsanti. Il problema di fondo e' che non si crede neanche per un fotogramma all'amore tra Satine e Christian e la loro passione, urlata e cantata, non provoca il minimo coinvolgimento. E la colpa non e' neanche dei protagonisti (anche se Nicole Kidman in versione "pene d'amor perduto" non e' il massimo della credibilita'), quanto proprio del tentativo di imbrigliare un sogno colorato e fantasioso in una storia a misura di pubblico. Ecco quindi sopraggiungere nello spettatore un senso di saturazione visiva e di pesantezza, in cui le sfumature del sogno si perdono nei confini di una routinaria e forzata storia d'amore, che da trampolino della fantasia diventa invadente e noiosetta realta'.

Luca Baroncini

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Artisti di malaffare

Chi entra in sala per godersi una bella trama, qualche buona interpretazione e più in generale un prodotto nei canoni cinematografici medi, farà meglio a virare verso altri orizzonti. "Moulin Rouge" di Baz Luhrmann non è niente di tutto questo, ma tutto sommato è un film bello e convincente; il musical scova una nuova dimensione, snodandosi tra varie strizzatine d'occhio che vanno dalla mitica colonna sonora ("Lady Marmalade"), fino a sfiorare addirittura Madonna e i Nirvana. Soltanto un baraccone colorato, secondo alcuni; a mio parere è un esperimento pienamente riuscito, addirittura sfarzoso nei suoi ambienti e nelle sue scenografie mozzafiato. Luhrmann è uno capace e si vede; confeziona una pellicola psichedelica, più colorata di un trip, che spesso si affida a vere e proprie illuminazioni liriche. Sarebbe sciocco esaminare la pochezza della trama, che comunque non è neanche del tutto malvagia: mettendo da parte la zuppa scaldata del triangolo lui_lei_l'altro, che si affida ad una discutibile giostra di luoghi comuni, abbiamo un finale stranamente anticonsolatorio. E' come se sul Moulin Rouge, per ben due ore una festa per gli occhi, più frenetico di un carro di carnevale, alla fine calasse un sipario nero e definitivo; il nero della Morte. Nicole Kidman è bellissima ed assolutamente scatenata; oltre alle sue indiscutibili doti seduttive, nella scena della rappresentazione finale raggiunge un livello mai visto. Questa è la piena conferma di una maturità recitativa ormai indiscutibile, che in alcuni casi si può solo ammirare a bocca aperta, fulminati dalla perfezione del lineamento facciale vivificato da uno splendido sorriso, e da quegli occhi azzurri come il cielo d'Aprile; le donne piene di curve che sanno anche recitare non sono molte da quelle parti, bisogna tenerne conto. E' quasi ovvio che davanti a tanta grazia sfiguri leggermente Ewan McGregor, che rimane comunque un ottimo attore. Un film dannatamente diverso, che ti fa venire voglia di esserci, in quella Parigi del primo Novecento; bella e dannata, l'infima culla dei peccatori ma allo stesso tempo l'apoteosi dell'arte figurativa. Poi c'è la morale di tutto, asciutta e precisa, racchiusa in una frase del pittoresco direttore del Mouline Rouge: "Siamo gente di malaffare; noi non abbiamo posto per l'amore".

Emanuele Di Nicola


Fashion e sangue: la coppia scoppia

Baz Luhrmann ha l’opera nel sangue, o, almeno, nella testa: lo prova il fatto che, otto anni dopo la “Bohème” realizzata con The Australian Opera (facilmente reperibile in video e DVD, persino in Italia), il regista firma un film che è, a tutti gli effetti, un melodramma, un’azione scenica che si sviluppa attraverso il canto. La musica non è quella d’epoca (fa capolino solo lo scontato Offenbach), ma il resto rispetta in pieno le regole del gioco lirico: trama improbabile, fra “Traviata” (mondana tisica, giovane borghese che se ne innamora, padre burbero, aristocratico geloso) e la già citata opera di Puccini, personaggi stereotipati, dialoghi a base di frasi fatte.
Allora, perché “Moulin Rouge” non ha neppure gli spiccioli della carica emotiva presente in lavori ultracentenari, apparentemente tanto lontani dalla sensibilità contemporanea? Non è semplicemente una questione di note: per quanto si possa essere strenui ammiratori degli operisti italiani, sarebbe sterile snobismo disconoscere le doti di alcuni dei compositori di musica cosiddetta “leggera”, e la colonna sonora del film non annovera certo musicisti da due soldi. Il problema è nel manico, nella sceneggiatura e nella regia, che in teoria dovrebbero condurre la ridda di canzoni e coreografie, in pratica se ne fanno (s)travolgere. Tutto preso dall’esibizione, tanto rutilante da essere emetica, di scene, costumi e giravolte, il regista dimentica il cuore, o meglio, l’anima del film: se “Moulin Rouge” avesse voluto davvero trasmettere il messaggio bohémien di amore e verità, non avrebbe dovuto limitarsi alla solita love story fra la bellissima peccatrice ed il genio (?) di lei cotto e stracotto.
“Traviata” e “Bohème” sono opere classiche proprio perché al loro interno, al di là dell’ambientazione parigina di metà Ottocento, si parla di veri uomini e donne vere che amano, soffrono, muoiono, e che hanno sentimenti resi autentici dal flusso musicale: la partitura sopperisce generosamente ad ogni eventuale imperfezione del testo verbale, dato che nel melodramma la poesia deve essere “figlia obbediente della musica” (W. A. Mozart). Il film di Luhrmann non solo soffre di un copione ridicolo, ma la disinvoltura con la quale vengono accostati i diversi brani si avvicina più al kitsch modaiolo che alla provocazione finalizzata ad un’efficace progressione drammatica. Come risultato, il centone postmoderno non puntella la vicenda, ma ne svela la precaria meccanicità: non è mai elegante mostrare le giunture, specie in un genere (come il musical) costruito sulla leggerezza, sulla “trasparenza”.
Forse sarebbe stato meglio rinunciare alla pellicola e accontentarsi del CD: avremmo avuto un bel disco in più (gli attori, Kidman in testa, cantano meglio di molti cosiddetti professionisti) ed un brutto film in meno. A proposito: perché lo hanno doppiato, e male, per giunta? non si poteva distribuirlo integralmente in lingua originale? o qualcuno temeva che il pubblico non comprendesse la vicenda? nel caso, quale vicenda?

Stefano Selleri


Matteo
Catoni
7

Luca
Pacilio
4

Stefano
Selleri
4

Simone
Ciaruffoli
7
Daniele
Bellucci
Luca
Baroncini
Manuel
Billi
7
Alberto
Zambenedetti
       
 

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