LA NOBILDONNA E IL DUCA
 (L'Anglaise et Le Duc)

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REGIA:    
Eric ROHMER

PRODUZIONE:   Francia   -   2001   -   Drammatico

DURATA:  125'

INTERPRETI:
Lucy Russel, Jean-Claude Dreyfus, Francois Marthouret, Leonard Cobiant, Caroline Morin, Alain Libolt, Marie Riviere, Helena Dubiel

SCENEGGIATURA: Eric Rohmer
(dal romanzo Ma Vie sous la revolution di Grace Elliott)

FOTOGRAFIA: Diane Baratier

SCENOGRAFIA: Antoine Fontaine

MONTAGGIO: Mary Stephen

COSTUMI: Pierre-Jean Larroque

Trama

Parigi, fine Settecento. Grace Elliott è una giovane aristocratica scozzese, ex amante di Philippe, duca d’Orléans, del quale è rimasta amica e confidente. Li divide però la politica: la donna è fervente sostenitrice della monarchia, l’uomo, benché cugino di Luigi XVI, non esita a…

Recensioni

 

 

 

Racconto del Terrore (ma non solo)

Irreprensibile. Non c’è aggettivo che possa meglio descrivere l’ultimo lavoro di Eric Rohmer, nel quale ogni elemento, dal testo alla recitazione, dalla scelta di scenografie e musiche a quella delle inquadrature, ricrea con scrupolo documentario il crepuscolo dell’Ancien Régime. Ma se lo script proviene da un libro di memorie di lady Elliott, Diario della mia vita durante la Rivoluzione (da poco pubblicato anche in Italia con l’anacronistico titolo “La nobildonna e il duca”), la messinscena si basa, con scrupolo filologico, sui quadri dei maggiori pittori del periodo, particolarmente su quelli di J. L. David, ed è intessuta delle arie all’epoca più note (tra cui la proverbiale “ça ira!”).
L’influenza pittorica non è limitata alla parte scenografico – luministica: i campi lunghi sono veri e propri quadri che, a volte, si animano, quelli americani (i prediletti per le scene di dialogo, cioè per la maggior parte del film) si rifanno direttamente alle scene di conversazione realizzate dai grandi artisti settecenteschi. Il digitale è piegato a risultati eccellenti: la definizione un po’ grezza delle immagini, mentre conferisce agli esterni un tono autentico, ammorbidendone le prospettive, infonde agli interni un respiro caldo, avvolgente, capace di immergere lo spettatore nel clima della vicenda e negli avvenimenti che interessano i singoli personaggi.
Se l’arte generalmente considerata permette di ricostruire una realtà ormai scomparsa (o almeno così pare), è il teatro che riesce ad inquadrarla. I dialoghi, concettualmente densi ed estremamente minuziosi, ci guidano al centro di un dramma di passioni ed idee sorto in un particolare contesto storico e personale, ma significativo anche al di là della situazione che lo ha generato. I temi (l’amore e l’amicizia, la fedeltà ed il tradimento) sono quelli da sempre cari al cineasta dei Racconti Morali, che analizza con l’abituale acume caratteri e situazioni, ricavando dalle sue squisite miniature sorprendenti effetti di tensione drammatica (la fuga verso Meudon, la perquisizione notturna). Lo sdegnoso rifiuto opposto al film dall’intellighenzia francese, e non solo, non ha ragione di esistere: prima di tutto perché Eric Rohmer non è “reazionario” né rivoluzionario, ma segue semplicemente il punto di vista di lady Elliott, cioè quello espresso nel testo letterario che ha fornito al film intreccio e battute (costante fedeltà alle fonti!), in secondo luogo perché, anche se Rohmer fosse il più bieco reazionario di questo mondo, il suo film è perfetto, come la prova dei nemici/amici/(ex)amanti Lucy Russell e Jean – Claude Dreyfus.

(da Venezia)  Stefano Selleri


Storia cinematografica delle teorie rivoluzionarie

Se il nostro impegno, in questa sede, fosse quello di cimentarci in una "piccola ermeneutica" sull'ultima pellicola del francese Rohmer, un solo titolo, seppur multiplanare, reclamerebbe la paternità dell'analisi: Storia cinematografica delle teorie rivoluzionarie. Rivoluzionarie in senso tecnico cinematografico naturalmente e, non meno importante, rivoluzionario distintamente alla Rivoluzione Francese. La Nobildonna e il Duca, infatti, si presenta come uno dei film più teorici e  sperimentali dell'intera cinematografia rohmeriana. Tratto da "Journey of my life during the French Revolution", il diario ritrovato della britannica Grace Elliott, vissuta in Francia negli anni della Rivoluzione, il film si concentra narrativamente su cinque avvenimenti didascalicamente sottolineati: il primo anniversario della Rivoluzione, l'assalto alle Tuileries e caduta di Luigi XVI, le stragi di settembre, l'esecuzione di Luigi XVI, ed infine, il tradimento del generale Dumouriez. Mentre, spazialmente, il film si divide su due fronti. L'interno: vero e metaforico cervello-contenitore di decisioni, sentimenti, ire e incomprensioni borghesi. L'esterno: l'ulteriore spazio aperto, deputato alla plebaglia, alla sua fisicità ma emblematicamente costretta dentro un digitale trompe-l'oeil. La Nobildonna e il Duca è un film spudoratamente e intelligentemente claustrofobico. Un film sugli spazi racchiusi. Un film di scatole cinesi, di quadro nel quadro. E' proprio Jean-Marie Maurice Schérer, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Eric Rohmer, il complice assieme a Truffaut, Rivet, Godard, Chabrol di fare la rivoluzione del cinema ma, a differenza dei suoi colleghi, di distinguersi e specializzarsi sull'organizzazione dello spazio, sul linguaggio della pittura e dell'architettura. E' proprio Rohmer infatti, che per il suo "dottorato di terzo ciclo" scrive quell'illuminante tesi intitolata L'organizzazione dello spazio nel Faust di Murnau. "Ancor più della pittura  -  scrive Rohmer  -  il cinema ci aiuta a scoprire il legame profondo che esiste tra una forma visibile e il sentimento che la sua visione comunica. E nessun cineasta, prima o dopo Murnau, è mai riuscito a dipingere in maniera così diretta e intensa, l'emozione, attraverso il puro gioco delle forme nello spazio". Usando una sorta di tableaux vivants, Rohmer sembra volutamente distaccarsi dal genio pittorico di Murnau, non potendo, come quest'ultimo, fare dello spazio filmico un vero e proprio capolavoro pittorico, si rimette all'artificio tecnologico per sondare attraverso l'irrealismo naif, la veridicità dei suoi personaggi. E' oltremodo interessante notare come la plasticità, la drammaticità ed il realismo tradotti attraverso le inquadrature a mezzo busto e alle intense luci adottate negli interni, alternate agli inserti digitali degli esterni, producano quello squilibrio estetico che sta alla base teorica ed etica di questo film. L'onirica sensazione che restituisce è quella di una visione al microscopio o al cannocchiale. Attraverso la superficie falsa (?) del digitale Rohmer ci immerge nel reale (?) interno ove le decisioni vengono contemplate. Come se gli arcani storici possano essere contenuti dentro la pittura, "giacché  -  scrive Rohmer - è attraverso la pittura che la verità e la bellezza del mondo visibile ci sono state rivelate nel corso degli anni". E' attraverso l'istanza scopica Grace Elliott che il regista esplora visivamente le contraddizioni della Rivoluzione Francese e del Terrore che ne seguì. Splendida è infatti la scena ritraente la Nobildonna Grace che da una terrazza dà le spalle alla decapitazione del re vista attraverso un monocolo. Negandosi la visione si nega la partecipazione e conseguentemente la responsabilità dell'uccisione.
Uscire dal cinema e riflettere sul fatto che ciò a cui abbiamo assistito è stata la messa in scena filmica di un evento storico attraverso l'intimo di una "composizione pittorica", ci restituisce immediatamente quell'emozione della quale, causa l'impianto teorico, eravamo stati privati durante la proiezione.

Simone Ciaruffoli

Commenti

 

 

Nascita di una nazione e rinascita di un genere

Prendendo spunto dalle memorie dell'aristocratica Grace Elliot, inglese colta adottata dalla "ville Lumière", Rohmer affronta, con voltairriana lucidità, una delle fasi più rimosse della Rivoluzione (quella del "Terrore"), senza di fatto esprimere una posizione personale ("faccio film, non politica") e restando interamente fedele alle parole e ai timori espressi dalla nobildonna inglese nei suoi scritti. Tutto è infatti raccontato, "mostrato", dal punto di vista della dama e per questo la folla viene rappresentata come massa vociante e irruente, le vittime del "Terrore" come martiri senza colpa, la Rivoluzione nel suo complesso come il barbaro atto di una violenta ed ignorante plebaglia. E' l'inedita scelta di questo pdv ad aver suscitato le maggiori (ed ingiuste) critiche. Ma la grandezza del film sta altrove e l'esito in sé annulla ogni sterile polemica ideologica. Utilizzando il digitale per costruire la cornice scenografica dell'epoca (pochi magnifici tableaux, fissi, iterati), Rohmer rinnova il cinema storico riconducendolo alle sue origini griffittiane. Gli straordinari attori (L. Russel e J.C.Dreyfus) si (com)muovono in un "altrove" che non è "reale" ma "storico"; gli esterni, gli interni delimitano uno spazio ove ogni istanza individuale è come soffocata dalle ragioni della Storia. Un tale utilizzo "umanistico" delle nuove tecnologie ben si sposa con quella passione teorica per un cinema limpido, lineare, cristallino, fatto di dialoghi elaborati ma essenziali, che è propria del regista francese fin dai tempi de "La marchesa von...", suo primo film in costume. Nell'uso di piani quasi sempre fissi, di immagini frontali, Rohmer sembra ricondurre lo spettatore non solo alle origini della Francia moderna, ma anche a quelle del cinema storico, a Griffith. Del resto, anche in questo caso, come nel film del regista americano, siamo di fronte ad una sanguinosa "nascita di una nazione".
Un grande film sulla memoria storica e cinematografica.

Manuel Billi


Stefano
Selleri

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8

Luca
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9

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Bellucci
7
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Garella
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Manuel
Billi
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