OCEAN'S ELEVEN
(Ocean's 11)

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REGIA:    
Steven SODERBERGH

PRODUZIONE:  U.S.A.   -   2001   -   Azione/Comm.

DURATA:  116'

INTERPRETI:
George Clooney, Brad Pitt, Julia Roberts,
Matt Damon, Andy Garcia, Don Cheadle, Carl Reiner, Elliott Gould, Scott Caan, Casey Affleck, Lennox Lewis, Shaobo Qin, Bernie Mac

SCENEGGIATURA:
Ted Griffin

FOTOGRAFIA:
Steven Soderbergh

SCENOGRAFIA: 
Philip Messina

MONTAGGIO: 
Stephen Mirrione

COSTUMI: 
Jeffrey Kurland

MUSICHE: 
David Holmes

Trama

Danny Ocean (George Clooney) appena uscito dal carcere recluta dieci complici per svaligiare contemporaneamente tre casinò di Las Vegas, il proprietario si chiama Terry Benedict (Andy Garcia) ed è il marito di Tess (Julia Roberts), l’ex moglie di Ocean.

Recensioni

 

 

 

I film sono come labirinti per tenere dentro la gente

Se c’è un regista che con le idee chiare e con la coerenza stilistica non va certo a nozze, quello è sicuramente Steven Soderbergh. Ripercorrendo la sua carriera professionale, partendo dalla sua opera prima Sesso, Bugie e Videotape passando per Delitti e Segreti, Piccolo Grande Aaron, Torbide Ossessioni, Schizopolis, Out of Sight, L’inglese, Erin Brockovich, Traffic sino a giungere a quest’ultimo Ocean’s Eleven è pressoché impossibile rintracciare un unico filo che possa cucire, o meglio, rammendare le  disparate stoffe del suo cinema. 
Soderbergh è uno dei registi più ricercati, acclamati e premiati di Hollywood (Erin Brockovich, Traffic), è probabilmente un intellettuale, è sicuramente un cinefilo alla Tarantino (Out of Sight) e infine, per forza di cose, per contaminazioni e conflitti d’interessi, è un prosseneta, un mediatore dell’ultima ora. Sa benissimo come gestire di film in film la sua permanenza negli studios hollywoodiani e, allo stesso tempo, come non disdegnare certe personalizzazioni stilistiche, certi calligrafismi che lo fanno passare per un autore, per un intellettuale che sa quando sbilencare la macchina da presa, scolorare la pellicola e montarla come uno di quelli che di testi teorici ne ha letti in gran quantità. Probabilmente, e l’uso dell’avverbio è a discrezione di chi scrive, Steven Soderbergh è una delle più riuscite operazioni finte-autoriali degli ultimi anni, il potente e super inserito Jerry Weintraub n’è la prova. Parrebbe un’affermazione azzardata se solo la si guardasse senza nessuna pretesa, ma questo regista, con la sua idea di cinema, con la sua maniera di inquadrare e con i suoi assunti boriosi (Sesso, Bugie e Videotape, Schizopolis) e perché no con la sua bravura, non ci esorta a liquidarlo come con più facilità faremmo di fronte a Paul Verhoeven, Danny Boyle o Bryan Singer per fare alcuni esempi. Per elevarsi a “cinema d’autore” quello di Soderbergh manca proprio di uno degli elementi più importanti, la poetica, o almeno di una traccia stilistica che sollevi il suo cinema  al di sopra  dell’80% delle produzioni americane. Con facile non curanza, infatti, tralascia spesso i contenuti a favore di una tecnica tanto di maniera quanto sterile. Basterebbe questo per dichiarare e confermare Steven Soderbergh come uno dei registi migliori al servizio della nuova Hollywood, ma attenzione a chiedergli qualcosa di più o di diverso. Non è un caso che il miglior Soderbergh e quindi il meno pretenzioso lo si sia visto con Erin Brockovich e con il bel Ocean’s Eleven. E’ con quest’ultimo film infatti che il nostro, vincolato da una regia “conforme”, raggiunge il suo maggior risultato. Non era facile lavorare con un nuovo “Rat Pack”, con star del calibro di Gorge Clooney, Brad Pitt, Andy Garcia, Matt Demon, Julia Roberts, e il successo dell’operazione conferma la direzione da intraprendere e la strada che il regista dovrebbe percorrere. Il talento c’è e si vede purché non lo si appesantisca di orpelli e titoli inesistenti. Ocean’s Eleven, remake di Colpo Grosso di Lewis Milestone con gli originali ratpackiani (Frank Sinatra, Dean Martin, Sammy Davis jr., Peter Lawford e Joey Bishop), è una lezione di cinema, un esempio per gran parte delle produzioni americane. Cinema forse classico, lavorato sui personaggi e costruito esclusivamente per intrattenere e divertire il pubblico (“i casinò sono come labirinti per tenere dentro la gente”), ma allo stesso tempo è un cinema, e qui si nota la contaminazione extra-studios, che riflette, seppur superficialmente, sul rapporto metacinematografico che intercorre tra chi guarda e chi è guardato, tra chi controlla e chi è controllato; viene alla mente più volte Omicidio in Diretta di De Palma e, nella figura di Julia Roberts, l’icona femminile da vertigine hitchcockiana.

Simone Ciaruffoli


Colpo grosso al botteghino

Piu' che il remake di "Colpo grosso" di Lewis Milestone, sembra un'avventura di Zio Paperone contro la Banda Bassotti. Non si crede infatti nemmeno per un attimo al dettagliato e geniale piano delle undici canaglie, reclutate dal solito impeccabile e sornione George Clooney, per svaligiare un ricco caveau di Las Vegas. Ma se la commedia, perche' di commedia si tratta, funziona, il merito e' anche della non credibilita' della vicenda. All'inizio questo aspetto disorienta e irrita un po', dando l'idea di pressappochismo, poi, pero', si fa strada l'idea che l'intento sia di regalare una pausa cinematografica che faccia amoralmente sognare. In questo senso la sceneggiatura gioca un po' sporco, ma lo fa con una certa classe. Non si tratta di una normale rapina in banca, ma della rapina a un irraggiungibile caveau di Las Vegas. Il bottino non e' di qualche miliardo, ma di ben centosessanta milioni di dollari. Non si tratta di ladruncoli qualunque, ma di specialisti del settore in grado di prevedere qualsiasi mossa. Il cattivo ovviamente e' un super cattivo, avido e senza cuore, e si prova un sottile piacere nel vederlo in difficolta'. Insomma, la ricetta del successo e' l'esagerazione. Non per niente l'ambientazione e' proprio Las Vegas, il cuore del kitsch estremo. E non a caso il cast e' "all star", con una quantita' di divi impensabile (che hanno l'aria di divertirsi molto) equamente distribuita in una sola pellicola.
Cosi', tra scenografie lussuose, abiti eleganti mai sgualciti, un soundtrack tutto jazz che conferisce un ritmo brillante alle sequenze, e botta e risposta assai improbabili ma efficaci, la prevedibile vicenda scivola con leggerezza, regalando poche emozioni (la prima parte, anzi, e' un po' noiosetta) ma una buona dose di simpatia.
Anche Steven Soderbergh, dopo gli impegnati "Erin Brockovich" e "Traffic", sembra essersi voluto prendere una vacanza. In realta', pero', il suo disimpegno e' solo apparente. Oltre a dirigere con un certo brio una storia fuori dai suoi canoni, ne cura anche la fotografia, sotto l'anonimo pseudonimo Peter Andrews.
Resta un dubbio: se al posto del fascino dei divi in libera uscita ci fossero stati degli sconosciuti in un'anonima provincia, il risultato sarebbe stato lo stesso?
Ai posteri l'ardua sentenza! Intanto godiamoci una commedia senza sorprese, ma scritta, interpretata e diretta con professionalita'.

Luca Baroncini

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Opera corale

Soderbergh ha una grande padronanza della telecamera; mentre filma si diverte, tra dissolvenze, stacchi, schermi geometricamente divisi ed altre soluzioni più o meno originali. Esaminando questo film, ogni singolo cambio di scena è introdotto nella maniera migliore possibile, le mani che animano la regia non hanno praticamente sbagliato un colpo; già questo basterebbe per assegnare un giudizio positivo ad "Ocean's Eleven", la nuova uscita del regista dopo la doppia pioggia di Oscar per "Traffic" ed "Erin Brockovich". 
Qui si riuniscono Clooney, Pitt, Damon, Garcia e la Roberts, ma non per un cenone tra mostri del cinema, bensì per orchestrare il remake di "Colpo Grosso"... di conseguenza, lo svolgimento della trama è palpitante come una messa domenicale. Con l'originalità del plot ridotta al lumicino, anche la sceneggiatura non si mostra particolarmente illuminata; ma Soderbergh è principalmente un regista, e sono infatti le soluzioni registiche la parte più accattivante di quest'opera. Come sempre, bisogna prendere la parte migliore di tutti gli artisti che fanno del cinema: in questo caso, è assolutamente chiaro verso quale lato devi rivolgere gli occhi. L'altro merito fondamentale dell'autore è stata la dote dell'equilibrio: con tanti mostri sacri a disposizione, c'era il serio rischio che si pestassero i piedi a vicenda. Al contrario, invece, nelle loro figure manicheiste e sottilmente stereotipate, ognuno occupa con eleganza il suo angolo; un George Clooney combattutto, in bilico fra Amore e Danaro, un Brad Pitt meno estremo ed incisivo di altri ruoli, ma comunque scaltro ed eternamente "tamarro", Matt Damon simpatico e misurato, Andy Garcia perfido in ogni sua singola smorfia, Julia Roberts che incorona con gli splendidi sorrisi il suo fascino iconico. E, se in questo desco George Clooney sembra servirsi più degli altri, è semplicemente per il suo personale ed indiscutibile carisma.
Un Soderbergh valido come sempre, ma stavolta da prendere come preziosistico intrattenimento per le menti cinefile rivolte alle feste; l'impatto sociale delle sue precedenti opere qui svanisce come una bolla di 
sapone. Lo aspettiamo presto.

Emanuele Di Nicola


Simone
Ciaruffoli

Daniele
Bellucci
7

Oboo
 

Luca
Baroncini
   
           
 

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