Recensioni
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I film sono come labirinti per tenere dentro la
gente
Se
c’è un regista che con le idee chiare e con la coerenza stilistica non
va certo a nozze, quello è sicuramente Steven Soderbergh. Ripercorrendo
la sua carriera professionale, partendo dalla sua opera prima Sesso,
Bugie e Videotape passando per Delitti e Segreti, Piccolo
Grande Aaron, Torbide Ossessioni, Schizopolis, Out of
Sight, L’inglese, Erin Brockovich, Traffic sino
a giungere a quest’ultimo Ocean’s Eleven è pressoché
impossibile rintracciare un unico filo che possa cucire, o meglio,
rammendare le disparate
stoffe del suo cinema.
Soderbergh
è uno dei registi più ricercati, acclamati e premiati di Hollywood (Erin
Brockovich, Traffic), è probabilmente un intellettuale, è sicuramente un
cinefilo alla Tarantino (Out of Sight) e infine, per forza di cose, per
contaminazioni e conflitti d’interessi, è un prosseneta, un mediatore
dell’ultima ora. Sa benissimo come gestire di film in film la sua
permanenza negli studios hollywoodiani e, allo stesso tempo, come non
disdegnare certe personalizzazioni stilistiche, certi calligrafismi che lo
fanno passare per un autore, per un intellettuale che sa quando sbilencare
la macchina da presa, scolorare la pellicola e montarla come uno di quelli
che di testi teorici ne ha letti in gran quantità. Probabilmente, e
l’uso dell’avverbio è a discrezione di chi scrive, Steven Soderbergh
è una delle più riuscite operazioni finte-autoriali degli ultimi anni,
il potente e super inserito Jerry Weintraub n’è la prova. Parrebbe
un’affermazione azzardata se solo la si guardasse senza nessuna pretesa,
ma questo regista, con la sua idea di cinema, con la sua maniera di
inquadrare e con i suoi assunti boriosi (Sesso, Bugie e Videotape,
Schizopolis) e perché no con la sua bravura, non ci esorta a liquidarlo
come con più facilità faremmo di fronte a Paul Verhoeven,
Danny Boyle o Bryan Singer per fare alcuni esempi. Per elevarsi a
“cinema d’autore” quello di Soderbergh manca proprio di uno degli
elementi più importanti, la poetica, o almeno di una traccia stilistica
che sollevi il suo cinema al
di sopra dell’80% delle
produzioni americane. Con facile non curanza, infatti, tralascia spesso i
contenuti a favore di una tecnica tanto di maniera quanto sterile.
Basterebbe questo per dichiarare e confermare Steven Soderbergh come uno
dei registi migliori al servizio della nuova Hollywood, ma attenzione a
chiedergli qualcosa di più o di diverso. Non è un caso che il miglior
Soderbergh e quindi il meno pretenzioso lo si sia visto con Erin
Brockovich e con il bel Ocean’s Eleven. E’ con quest’ultimo film
infatti che il nostro, vincolato da una regia “conforme”, raggiunge il
suo maggior risultato. Non era facile lavorare con un nuovo “Rat
Pack”, con star del calibro di Gorge Clooney, Brad Pitt, Andy Garcia,
Matt Demon, Julia Roberts, e il successo dell’operazione conferma la
direzione da intraprendere e la strada che il regista dovrebbe percorrere.
Il talento c’è e si vede purché non lo si appesantisca di orpelli e
titoli inesistenti. Ocean’s Eleven, remake di Colpo Grosso di
Lewis Milestone con gli originali ratpackiani (Frank Sinatra, Dean Martin,
Sammy Davis jr., Peter Lawford e Joey Bishop), è una lezione di cinema,
un esempio per gran parte delle produzioni americane. Cinema forse
classico, lavorato sui personaggi e costruito esclusivamente per
intrattenere e divertire il pubblico (“i casinò sono come labirinti per
tenere dentro la gente”), ma allo stesso tempo è un cinema, e qui si
nota la contaminazione extra-studios, che riflette, seppur
superficialmente, sul rapporto metacinematografico che intercorre tra chi
guarda e chi è guardato, tra chi controlla e chi è controllato; viene
alla mente più volte Omicidio in Diretta di De Palma e, nella
figura di Julia Roberts, l’icona femminile da vertigine hitchcockiana.
Simone
Ciaruffoli
Colpo grosso al botteghino
Piu' che il remake di "Colpo grosso" di Lewis Milestone, sembra un'avventura di Zio Paperone contro la Banda Bassotti. Non si crede infatti nemmeno per un attimo al dettagliato e geniale piano delle undici canaglie, reclutate dal solito impeccabile e sornione George Clooney, per svaligiare un ricco caveau di Las Vegas. Ma se la commedia, perche' di commedia si tratta, funziona, il merito e' anche della non credibilita' della vicenda. All'inizio questo aspetto disorienta e irrita un po', dando l'idea di pressappochismo, poi, pero', si fa strada l'idea che l'intento sia di regalare una pausa cinematografica che faccia amoralmente sognare. In questo senso la sceneggiatura gioca un po' sporco, ma lo fa con una certa classe. Non si tratta di una normale rapina in banca, ma della rapina a un irraggiungibile caveau di Las Vegas. Il bottino non e' di qualche miliardo, ma di ben centosessanta milioni di dollari. Non si tratta di ladruncoli qualunque, ma di specialisti del settore in grado di prevedere qualsiasi mossa. Il cattivo ovviamente e' un super cattivo, avido e senza cuore, e si prova un sottile piacere nel vederlo in difficolta'. Insomma, la ricetta del successo e' l'esagerazione. Non per niente l'ambientazione e' proprio Las Vegas, il cuore del kitsch estremo. E non a caso il cast e' "all star", con una quantita' di divi impensabile (che hanno l'aria di divertirsi molto) equamente distribuita in una sola pellicola.
Cosi', tra scenografie lussuose, abiti eleganti mai sgualciti, un soundtrack tutto jazz che conferisce un ritmo brillante alle sequenze, e botta e risposta assai improbabili ma efficaci, la prevedibile vicenda scivola con leggerezza, regalando poche emozioni (la prima parte, anzi, e' un po' noiosetta) ma una buona dose di simpatia.
Anche Steven Soderbergh, dopo gli impegnati "Erin Brockovich" e "Traffic", sembra essersi voluto prendere una vacanza. In realta', pero', il suo disimpegno e' solo apparente. Oltre a dirigere con un certo brio una storia fuori dai suoi canoni, ne cura anche la fotografia, sotto l'anonimo pseudonimo Peter Andrews.
Resta un dubbio: se al posto del fascino dei divi in libera uscita ci fossero stati degli sconosciuti in un'anonima provincia, il risultato sarebbe stato lo stesso?
Ai posteri l'ardua sentenza! Intanto godiamoci una commedia senza sorprese, ma scritta, interpretata e diretta con
professionalita'.
Luca Baroncini
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