OFF KEY
(Desafinado)

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REGIA:    
Manuel Gomez PEREIRA

PRODUZIONE:  Spa/U.S.A.   -   2001   -   Commedia

DURATA:  118'

INTERPRETI:
Joe Mantegna, Danny Aiello, George Hamilton, Anna Galiena, Ariadna Gil, Claudia Gerini, Vaughan Sivell

SCENEGGIATURA: Joaquin Oristrell - 
Yolanda Garcia Serrano - Juan Luis Iborra


FOTOGRAFIA: J
uan Amoròs

SCENOGRAFIA: Alain Bainee

MONTAGGIO: José Salcedo

COSTUMI: Alberto Luna

MUSICHE: Bernardo Bonezzi

Trama

Fabrizio, Armand e Ricardo, i tre tenori idoli delle platee mondiali, si ritrovano, dieci anni dopo l’ultimo concerto insieme, al matrimonio di uno di loro…

Recensioni

 

 

 

Opera seri(os)a

Occorre una buona dose d’improntitudine per sostenere che in questo film “qualsiasi riferimento a persone o fatti reali deve considerarsi puramente casuale”: se soltanto il pubblico avesse la pazienza di attendere la fine dei titoli di coda, la sovrimpressione suddetta scatenerebbe molte risate. Più di quelle causate dal film nel suo complesso, in questo caso.
Il titolo si riferisce alla situazione dei protagonisti, uomini e artisti sfasati in ambito professionale e personale, ma può essere agevolmente esteso al film, che, dotato delle migliori intenzioni (quelle più perfide) e armato di elementi pregevoli (almeno sulla carta), non riesce mai a decollare. Perché?
Una ragione potrebbe risiedere nell’incapacità, da parte di regista e sceneggiatore, di scegliere il tipo di film da girare. Il soggetto (ansie, bizze e fobie nel gran mondo) si presterebbe alla farsaccia frenetica come alla commedia sofisticata, due generi agli antipodi, anche se, ad un’analisi superficiale, potrebbero sembrare equivalenti o quasi (si tratta sempre di “cose da ridere”). La farsa è un meccanismo a orologeria in cui, più degli ingredienti, conta la preparazione. Stereotipi e macchiette sono i benvenuti purché la successione di entrate uscite azioni reazioni sia perfetta al millimetro; non è richiesta originalità, ma tempismo, velocità, crudeltà in dosi rigorose. La commedia – per di più quella accessoriata di ambizioni di tipo elevato – offre uno spazio molto maggiore all’approfondimento dei caratteri ed all’inserimento di elementi estranei, dolorosi e anche tragici: il ritmo è comunque, nel complesso, spumeggiante, ma sono ammesse (e richieste) zone sospensive, oltre a una brillantezza meno convenzionale di caratteri e costumi.
Il film di Manuel Gomez Pereira flirta, esitante, con i lazzi da commedia dell’arte ed i fasti luccicanti del teatro serio: il risultato è che i primi sono smorti o ripetitivi (a lungo andare le due condizioni si identificano, cioè, se può essere divertente vedere un tenore con le braghe calate assalito da una muta di cani da caccia, vedere lo stesso personaggio in tale situazione per due volte a meno di un’ora di distanza risulta un po’ noioso) e i secondi suonano presuntuosi nella loro goffaggine (i conflitti genitori – figli sono i più irritantemente vacui che si siano visti su grande schermo da un bel pezzo a questa parte). Il ritmo si sfilaccia senza pietà, e gli attori (specie i giovani) ne risentono.
“Off Key” sarebbe stata una magnifica occasione per riflettere sull’ultimo baluardo esistente e persistente del grande divismo internazionale, quello dei cantanti lirici (o ex tali, e non parliamo solo di “quei tre”) che adunano a sé le folle coniugando “arte” e canzonette popolari: primedonne isteriche, televisione – dipendenti, ma dal carisma intramontabile ed inspiegabile. Il mistero racchiuso in queste voci un tempo immense ed agguerrite, ridotte all’ombra di se stesse ma ancora decise a vincere, sarebbe stato un bel soggetto tragico e insieme buffonesco, il canovaccio ideale per un Falstaff del pentagramma: le scene concertistiche (la prima e l’ultima, oltre ad un breve assaggio nel corso del party) illustrano bene queste, quasi del tutto sprecate, potenzialità.
Abbandonati a se stessi, gli attori hanno la possibilità di sbandare o rivelarsi superiori alla situazione contingente. Fra i dispersi segnaliamo Aiello, incolore oltre ogni dire, e Mantegna, tronfio nella sua mancanza d’autoironia (al punto da fare di Ricardo il “santo” della storia): se la cavano con onore Galiena (“splendida e lucente”, tanto per restare in ambito operistico) e Gerini (spiritosissima nella parte dell’accompagnatrice di lusso, che si chiama, ovvio, Violeta).

Stefano Selleri

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