OMICIDIO IN PARADISO
(Un crime au Paradis)

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REGIA:    
Jean BECKER

PRODUZIONE:  Francia   -   2000   -   Commedia

DURATA:  90'

INTERPRETI:
Jacques Villeret, Josiane Balasko, André Dussolier, Suzanne Flon, Jacques Dacqmine, Dominique Lavanant, Roland Magdane, Daniel Prevost

SCENEGGIATURA: Sebastien Japrisot
(tratto da "La Poison" di Sacha Guitry)

FOTOGRAFIA: Jean-Marie Dreujou

SCENOGRAFIA: Therese Ripaud

MONTAGGIO: Jacques Witta

COSTUMI: Paul Le Marinel

MUSICHE: Pierre Bachelet

Trama

Un mite allevatore è tormentato dalla moglie, che lo disprezza e lo schernisce senza posa. La tentazione dell’omicidio è forte, ma come scampare alla ghigliottina?

Recensioni

 

 

 

Come ammazzare la propria moglie e vivere felici

Sin dai tempi di Adamo ed Eva fra uomo e donna non è mai corso buon sangue. Ne è corso tanto, troppo, ma non dei migliori.
Il film di Becker ribadisce lo stereotipo del marito pacifico e lievemente rimbambito oppresso da una moglie al cubo e, sulla carta, presenta tutti gli elementi caratteristici della commedia nera: ambientazione e personaggi estranei al glamour, scherzi atroci e un delitto. Ma “Omicidio in Paradiso” non è un divertimento macabro.
Il teatro dell’azione, la fattoria Paradiso, ha un nome che, più che ironico, è rivelatore della natura del film. Se fossero stati mossi da intenti realmente dissacranti, gli autori avrebbero dovuto descrivere l’ambiente come un Inferno, un deserto di devastazione fisica e psichica. Ora, il piccolo borgo della provincia francese in cui si svolgono gli avvenimenti è tutto, meno che un postaccio, anzi, sembra proprio l’ultimo baluardo di una convivenza dal volto umano altrove impossibile (risultano invece estremamente isterici i “cittadini”, dalla farmacista pignola alla viscida fauna giudiziaria). I paesani si scambiano gentilezze dalla mattina alla sera, non fanno che interessarsi ai problemi altrui, si ritrovano di continuo per il consiglio municipale o anche solo per festeggiare il compleanno dell’ostessa.
Eccezione alla regola è la scorbutica Lulu (un’inarrivabile Josiane Balasko), che pare sforzarsi, ogni giorno, di essere sempre più cattiva nei riguardi di chiunque entri nel suo campo visivo (la scena al negozio emana un delizioso profumo di zolfo). La vita di Lulu, segnata da un doloroso ricordo infantile e dal lento esaurirsi di ogni chance d’appagamento, ad ogni livello, trova la sua valvola di sfogo negli ininterrotti dispetti giocati all’imbelle marito Jojo (Jacques Villeret, perfetto), un omino preoccupato solo delle sue capre e del quotidiano cicchetto nella taverna del villaggio. Una goccia fa traboccare il vaso del risentimento di Lulu, che decide di eliminare il marito: ma non ha fatto i conti con la sagacia rappresentativa del consorte, che rivela di essere l’uomo che non c’era, ma ci faceva.
Strutturato come una commedia in due atti, il primo dei quali è di pura preparazione e decisamente il migliore, “Omicidio in Paradiso” fa di possibili difetti come staticità, teatralità, verbosità le proprie armi vincenti. Ogni elemento dell’intreccio e della realizzazione contribuisce a creare un clima fiabesco screziato di malinconia e, se non cattiveria, dubbio: mancano personaggi veri (o neri), ma non ci sono neppure eroi o i famigerati “santini”. In ogni figura convivono tratti patetici e sgradevolezze, e quella che dovrebbe essere la coscienza morale della storia (l’anziana maestra) presenta lati torbidi, quasi da dark lady: come un’amante vera e propria s’inserisce fra i coniugi litigiosi, funge da confidente del marito e, alla fine, si sostituisce alla moglie, se non altro in modo simbolico. Una sorta di Lady Macbeth sotto forma di suocera spuria, che fa balenare a più riprese il fantasma della gerontofilia. Per non parlare del marito, così mite e al tempo stesso timoroso delle conseguenze degli “scherzetti” che infligge a sua moglie (è probabilmente sua la responsabilità della lunga degenza in ospedale di Lulu). La morte di Lulu fa sparire la minaccia alla tranquillità del paese, “l’alieno”, e forse per questo i compaesani sono così pronti a difendere Jojo.
La seconda parte, quella più brillante dal punto di vista strettamente verbale, riprende senza troppa fantasia il tema della realtà come artefatto squisitamente insincero.
A un certo punto l’Azzeccagarbugli della difesa, alla sua ennesima assoluzione di un omicida, ricorda a Jojo, con fare moderatamente faceto, “le delizie della procedura”, le stesse che rendono piacevole un film come questo, solido, brillante e, nelle pieghe, inopinatamente acuto. Sarebbe stata gradita una maggiore cattiveria e, soprattutto, un più attento scavo psicologico, anche nelle figure di contorno.
Il doppiaggio svilisce parecchi giochi di parole, soprattutto quelli che coinvolgono il nome del protagonista, Braconnier.

Stefano Selleri

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