Recensioni
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Un
road-movie minato
Siamo tutti d’accordo nell’accompagnare
l’industria del cinema, intrattenerci con l’intrattenimento, affogare
le mani nell’unto cestello del pop-corn e scodinzolare a ogni battuta,
spauracchio, lacrima. Quindi cosa dire di questo film? Pieraccioni non è
un mago della macchina da presa, la sua organizzazione della messinscena
soffre di una semplicità che certamente non assurge a forma registica. Il
modo di riprendere, anche se nel suo di modo non rintracciamo una parvenza
di stile, è come lo sguardo di un bambino di fronte a un gelato, assorto
e monocorde. Il gelato sì esiste e lo si gusta ma tutto il resto, tutto
ciò che sta dietro è sfocato, pressoché inesistente. Non parliamo però
di profilmico, ma bensì di modalità grazie alle quali quest’ultimo
viene filmato. Pieraccioni alle prese con il come si racconta non
è mai stato a suo agio e sembra quasi che il suo continuum verbale (la
voce off) sia una sorta di palliativo alle lacune filmiche. Quindi la
scelta di affidare il racconto a una enunciazione extradiegetica (in
letteratura il narratore del romanzo ottocentesco) non sembra una nobile
scelta registica ma piuttosto
un tentativo di incorporare le sommarie e spesso disgiunte inquadrature,
scene, sequenze, e il continuo uso di Bennato (musica extradiegetica)
sopra Pieraccioni (voce off) confermano e amalgamano ancor più
l’intento. Niente di preoccupante a meno che non ci si risenta di fronte
a certi mutamenti della commedia italiana. Se si volesse essere precisi ci
accorgeremmo che quel toscanismo non è altro che una trovata
cinematografica ereditata dalla televisione. Un cinema “geografico”
che fa del vernacolo un veicolo propagandistico. E questo Il Principe e
il Pirata, questo road-movie pieraccionesco, taglia l’Italia da sud
a nord a suon di bischerate mettendo in scena la metafora di quella
promozione. Ma le note non sono solo dolenti, bisogna dire che un
cambiamento di registro, una ricerca di autentica umanità nei personaggi
del cinema di Pieraccioni c’è sicuramente, la famiglia e la memoria in
primis. A dire il vero e anche il suo film meno ruffiano e riconciliato. I
ripetuti attacchi alla chiesa, il confondere e come già nel titolo, il
congiungere il Bene e il Male, l’uso marginale delle belle da copertina
sono le prove che un certo impegno, una svolta nel cinema di Pieraccioni
è forse in atto. Si può discutere quanto si vuole sulle sue capacità,
ma è altresì vero che dopo il successo galattico de Il Ciclone
non era remoto il rischio di rimanere impantanati e di ripetere a
sfinimento quella formula. Detto questo, anche se la sceneggiatura di
Veronesi è come al solito una strada minata, ci pensa la coppia
Pieraccioni-Ceccherini a limitare i danni e a schivare gli ordigni
disseminati in tutto il percorso. Alcune gag sono geniali, una su tutte
quella con il cameo di Silvan. Dunque qualche volta si ride, ma il cinema,
com’è giusto che sia, è altrove.
Simone
Ciaruffoli
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