THE SCORE
(The Score)

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REGIA:    
Frank OZ

PRODUZIONE:  U.S.A.   -   2001   -   Thriller

DURATA:  116'

INTERPRETI:
Robert De Niro, Edward Norton, Marlon Brando,
Angela Bassett, Gary Farmer, Jamie Harrold

SCENEGGIATURA:
Kario Salem - Lem Dobbs - Scott Marshall Smith

FOTOGRAFIA: Rob Hahn

SCENOGRAFIA: Jackson De Govia

MONTAGGIO: Richard Pearson

COSTUMI: Aude Bronson-Howard

MUSICHE: Howard Shore

Trama

Nick Wells, ladro di gioielli, sta per ritirarsi. Max, il suo socio di sempre, gli propone un ultimo colpo ideato dal giovane Jackie Teller.

Recensioni

 

 

 

Gioco da divi

Lo ammetto. Sono andato a vedere questo film per gli attori. Fedele alla concezione autoriale del cinema, l'ho tradita in nome dello star system che, una volta tanto, ha avuto ragione di me. Ero d'altra parte pronto a sorbirmi la scempiaggine di turno e mi sono ritrovato, invece, ad avere a che fare con un prodotto che, nella sua scontatezza, nel suo festival di déjà vu (et revu), ha uno straccetto di dignità. La sua attrattiva, ai miei occhi di brandiano irriducibile, è naturalmente il confronto tra tre generazioni attoriali: l'accoppiata inedita Brando - De Niro fa scintille anche per merito di Robert che, meno manierato del solito (l'ultimo De Niro guardabile è in HEAT), fa il suo sporco lavoro con concreto decoro. Non ci importa nulla di quello che i due si dicono nelle scene (neanche pochissime) in cui vengono a interagire: un sentore di eterno promana. Il confronto Norton - De Niro, per quanto meno interessante sulla carta, risulta piuttosto godibile nei fatti. Il trio, poi, assieme per una brevissima scena, suggella il tutto con discreto divertimento. Il risultato non è malvagio; per Brando, che in nome del vil danaro ha deciso scientemente di smantellare il suo monumento facendo qualsiasi orripilante cosa gli capitasse sotto mano, una botta e via (ma la sua fulminea presenza in THE BRAVE di Depp lasciava il segno), si tratta della prima cosa guardabile da anni (il che è dir tutto)... Ma, poche storie, Brando è Brando, che sia Oz o lo spot Telecom, lo si ama e non si discute, perchè la classe non è acqua e proprio il deliberato scialacquio di immenso talento che ha messo in atto in questi lustri non fa che alimentarne il mito. Chi se ne frega della pinguedine, della patetica tinta bionda dei capelli, del mento cascante: l'occhio è il suo, il carisma pure; la scena nella piscina vuota (prescidendo da tutto, dialogo e doppiaggio compresi) è da adorazione smodata, si sgranino dunque i rosari e si guardi la divinità all'opra intenta, please. E' proprio la coscienza dello sfacelo, il timbrare sfottuto del sordido cartellino che fa la differenza con De Niro, al quale non riusciamo a perdonare nulla (o molto poco) negli ultimi tempi, proprio perche' quella ennui da marchetta, dichiarata in Brando, Bob cerca di dissimularla senza riuscirvi, e in questo (e solo in questo, per carità) evidenzia un'irrimediabile mancanza di talento. Di Norton non diciamo nulla: il futuro (il presente) è suo, lo sa bene e lo dimostra: in THE SCORE, con metafilmico divertimento, è attore che fa il grande attore che fa l'handicappato. Detto questo potrei piantarla qui, ma c'e un film di Oz da valutare. THE SCORE è sagra dello stereotipo (vecchio ladro si vuol ritirare, giovane e disinvolta matricola lo trascina nell'ultima rischiosa impresa), con tre personaggi tre (abbozzati per lo più) a dividersi scampoli di dialogo (la Bassett è poco più di una comparsa), un po' di azione e qualche scena brividosa (la migliore: quella al parco); la regia è onesta (nemmeno cosi catastrofica) e il montaggio non disprezzabile (anzi). Se a questo si aggiunge un'ambientazione (Montreal) finalmente non abusata e qualche sprazzo quasi decente il risultato rischia davvero di non disturbarci. Alieno, come sto diventando, a produzioni standard come questa, ammetto che il filmetto non mi ha annoiato affatto, pur ravvisandone gli innumeri difetti; apprezzabile, soprattutto, ciò che altri vedrebbero come una pecca: il film non corre, si sofferma volentieri sui particolari, punta, indulgendovi, tutta la sua attenzione sul macchinoso furto (preparazione e attuazione) e, se non dice nulla di nuovo, dimostra quanto meno di saperlo dire. E' la solita tiritera insomma, ma intonata abbastanza da rendersi ascoltabile. La presenza dei tre divi fa sicuramente gioco, ma è il gioco che abbiamo scelto e non ce ne pentiamo.

Luca Pacilio


Il risultato è ciò che conta, purtroppo

"The Score" è tutto nel suo trailer, che non lascia molta fantasia su quello che ci dobbiamo aspettare dalla visione di questa pellicola. Ci sono tre grandi attori (uno, Marlon Brando, grande in tutti i sensi!) che vestono i panni di tre criminali che devono organizzare un colpo come al solito impossibile. Ecco allora il vecchio Brando nei panni dell'organizzatore del colpo, De Niro in quelli dello scassinatore ed il giovane Edward Norton in quelli del tutto fare.
Come si può notare, non è che la trama pecchi proprio d'originalità, ma ci si potrebbe aspettare, con un cast del genere, un buon risultato finale, cosa che puntualmente non accade. Il film scorre via senza sussulti, e la preparazione del colpo, intrecciata con la storia d'amore tra De Niro e Angela Basset entusiasma meno di una messa domenicale alla televisione, e i personaggi rimangono sospesi in un limbo che non riesce ad inquadrarli. Il confronto, che poteva risultare interessante, tra le diverse generazioni, e che andava ampliato puntando decisi sulla caratterizzazione dei personaggi di De Niro e di Norton, è ridotto a pochi dialoghi, che danno un senso di superficialità e approssimatezza che sinceramente crea disturbo allo spettatore. Al contrario sarebbe stato interessante sottolineare i diversi modi di vivere tra il ladro esperto che conosce bene i rischi del suo mestiere, e quello giovane che vuole che a poca a conoscenza del mondo in cui vive, ed agisce soltanto con l'irruenza della sua età. Probabilmente nel tentativo di sviluppare tutti i personaggi, si è giunti al risultato di lasciarli a metà, con il risultato di avvilire il film, popolandolo di strani personaggi senza spina dorsale. 
Se proprio vogliamo salvare qualcosa, si può dire che la parte finale del film funziona a sufficienza, e che il furto dello scettro ci fa ricordare che è presente anche un regista. La realizzazione della sequenza del furto, è indubbiamente girata bene, e riesce a mantenere un buon ritmo, grazie ad un riuscito montaggio alternato tra un De Niro ladro-acrobata, e un Edward Norton versione Kevin Spacey nei "Soliti Sospetti" (l'idea dell'handicap non è proprio originale!). Il duplice colpo di scena finale, che riordina le gerarchie all'interno della storia, ha il gusto del lieto fine, e tutto sommato non stona. Peccato, che a stonare sia l'intera produzione, che non si adegua a quello che normalmente ci si attende da un buon film.

Matteo Catoni


I tre tenori

I Tre Tenori. Avete mai visto i tre giganti del canto in una delle loro mega riunioni natalizie? Be’, la sensazione che restituiscono la si ritrova gustandosi questo The score. Luciano Pavarotti, José Carreras e Placido Domingo, accompagnati dall'Orchestra Sinfonica di Vienna per il Concerto di Natale: White Christmas, Tu Scendi dalle Stelle, Jingle Bells, Stille Nacht e tante altre canzoni famose. Carina come cosa, tre campioni della lirica che si mettono al servizio della “solidarietà” dimostrando tra l'altro che, quando il talento è autentico, c'è davvero spazio per tutti in scena, mettendo da parte rivalità e antagonismi per esibirsi in un mitico concerto.
Nel film di Oz, che non è Zubin Metha, i tre tenori della recitazione, Brando-De Niro-Norton, si misurano con se stessi più che con la sceneggiatura, sono loro la sceneggiautura. Sembrano veramente tre corpi della narrazione che a suon di remake ristabiliscono le coordinate di un mito, piuttosto che di un genere. Non sembra esserci in B.DN.N. il minimo sforzo per creare un personaggio che non sia schiavo del magma cellulosico che il cinema ci ha stampato nella memoria. Strasberg o Il lavoro del peronaggio sull’attore di cui parla Stanislavskij va a farsi benedire per un più semplice e definitivo lavorio del personaggio sull’attore. Dunque, una sceneggiatura al servizio degli attori. Niente di male se la cosa non fosse così sterile. Sin dalle prime battute è evidente l’intento, senza la minima soggezione, di riunire i tre corpi in un’unica inquadratura affinché i loro immaginari vadano a dar spessore e contenuto alla storia. Un impiego degli attori indiscutibilmente antitetico rispetto all’uso che Michael Mann fa di De Niro e di Al Pacino in Heat, per esempio. Un plot invero degno del suo genere ma con una costante gracilità strutturale, incarnata in una Angela Basset che di quella struttura è, ad ogni apparizione, il cameo.
Insomma i tre tenori danno il meglio, ma del loro repertorio, e il film scorre via come fosse un canto del cigno, come l’ultimo (?) colpo attinto dagli archivi del déjà-vu recitativo. Tra un White Christmas e un Jingle Bells, tra un Padrino, un  Quindici minuti e uno Schegge di follia i tre tenori fanno ancora parlare e scrivere di sé piuttosto che del loro film. Hollywood insegna.

Simone Ciaruffoli

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