Recensioni
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Il trionfo del biscuit
Il film di Clare Peploe è un ottimo esempio di come sprecare le potenzialità di un cast superbo (costretto, presumiamo sotto la minaccia delle armi, a stucchevoli sospiretti e cachinni da farsa pseudo settecentesca) e di un testo all'apparenza innocuo, colmo in realtà di crudele amarezza (l'amore come menzogna e calcolo), ridotto qui a canovaccio per improbabili bamboleggiamenti, oltre che di recitazione, di ripresa (l'uso del digitale non è una buona giustificazione per un montaggio "dogmatico" quanto cincischiato).
La regista gioca al meta-teatro (tre inquadrature tre di un ipotetico pubblico, una scena che mescola costumi settecenteschi e abiti moderni) e confeziona un'opera esagitata senza ragione, frenetica ma ben poco divertente, appesantita da siparietti comici da denuncia (specie quelli intessuti dai caricaturali Molteni e Oliva), viziata da una partitura quasi delittuosa (per intenderci, la solita musichetta "à la Purcell", tutta note ribattute, più un pizzico di Rameau ed una fastidiosa chitarra elettrica a rovinare le sonorità rococò).
Il fascino androgino di Mira Sorvino risulta sprecato; lo scenografo Ben van Os, abituale collaboratore di Greenaway, ricicla senza troppa fantasia, ammorbidendone le spettrali geometrie, le sue creazioni precedenti. Infine, una curiosità: sarebbe possibile, per una volta, ambientare questo genere di operazioni ("trascrizioni" da autori classici, Marivaux o Shakespeare che siano) in un luogo diverso dalla campagna toscana? Sarebbe già qualcosa.
(da
Venezia) Stefano Selleri
Parole, parole, parole ...
Clare Peploe, con l'assistenza produttiva e di sceneggiatura del marito Bernardo Bertolucci, mette in scena l'omonimo testo teatrale scritto dal drammaturgo francese Marivaux nel diciottesimo secolo: le trappole d'amore intessute da una giovane principessa per arrivare al cuore dell'aitante Agis. Ecco quindi travestimenti, tranelli, promesse, equivoci, ripicche, conquiste, il tutto tra bellissime ville e geometrici giardini dell'inflazionata campagna toscana.
E' interessante l'idea di rendere attuale un testo teatrale in cui le parole d'amore contano molto piu' delle azioni e sono in grado di scatenare passioni e scaldare il cuore. In realta', pero', le seduzioni ordite dalla protagonista sembrano divertire e scuotere soltanto lei e le sue vittime e non scalfiscono mai l'interesse dello spettatore, all'inizio spaesato e poi via via sempre piu' annoiato e distante. Gli attori si calano con partecipazione nel progetto, in particolare la spiritosa Mira Sorvino che sfoggia un perfetto accento inglese, ma nonostante il ritmo sostenuto, i giri vorticosi della macchina da presa e i martellanti dialoghi (o , chissa', forse proprio per questo), la girandola di parole d'amore non supera i confini dello schermo.
Simpatiche alcune trovate, come l'idea di un teatro filmato con un pubblico che ogni tanto compare per assistere alla rappresentazione, o come il saluto finale degli attori in abiti del nostro tempo, che vorrebbe rendere universale l'intima esplorazione della natura umana e i suoi trasporti irrazionali. Peccato, pero', che la forma prevalga sulla sostanza.
(da Venezia) Luca Baroncini
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