Recensioni
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L'America con gli occhi della vecchiaia
Diverso e unico rispetto ai precedenti film di Lynch,
questo narra una storia vera, e come recita il titolo originale
"dritta". Potrebbe considerarsi un film "on the road",
ma i suoi ritmi sono, al contrario, molto lenti, misurati, voluti, con un
linguaggio stringato e mai sopra le righe. Si attraversa un'america
rurale, fatta di campi di mais, di colture, di cieli tersi, lontana dalla
solita immagine stereotipata e frenetica che ne abbiamo, le cui
inquadrature danno un senso di pace. Anche gli incontri che il protagonista fa durante il suo
viaggio sono pacati, tranne quello con una automobilista che con
disperazione gli racconta di aver ucciso, giudando, tredici cervi. Con un
coetaneo rievoca racconti di guerra ormai lontani, ma sempre vivamente
presenti; ad un giovane che gli chiede quale è la cosa peggiore della
vecchiaia risponde "il ricordo di quando eri giovane", a due
gemelli litigiosi ricorda con saggezza quanto sia importante il rapporto
tra fratelli. Traspare da tutto il percorso narrativo una riflessione,
quasi un'elegia alla vecchiaia (ed anche alla morte) , ma con dignita',
non celandone, pero' la sofferenza, la tristezza, le limitazioni fisiche,
l'accettazione di tutto cio' da parte del protagonista, che spera solo di
arrivare in tempo per trovare il fratello ancora vivo, riverberando
l'immagine di loro due bambini , intenti a rimirare le stelle nel cielo.
Bravissimo Richard Farnsworth nei panni del protagonista e credibile
l'impaccio e la tristezza di Sissy Spacek , che interpreta il ruolo della
figlia.
Mara Taloni
Lynch. Il cinema è lo sguardo
Vediamo per la prima volta Alvin Straight sul pavimento della casa che divide con la figlia Rose, in posizione orizzontale, quasi paralizzato al suolo e incapace di alzarsi. Poco prima abbiamo sentito un tonfo, inatteso e assordante. S'insinua in noi il presagio della morte, un presagio che ci accompagnerà inesorabile per tutto il film , anche nei suoi momenti più solari e bucolici.
Ha la consistenza lieve ma inattaccabile della deriva l'ultimo film di David Lynch, la deriva di un corpo abbandonato al compiersi di un'azione definitiva, forse l'ultima della propria vita. La caparbietà di Straight, la forza morale sospinta dal peso della memoria, porta l'anziano protagonista a intraprendere un cammino gravoso ma inarrestabile, forte della propria lentezza e della propria metodicità attraverso solari pitture di paesaggio e cupi notturni momenti temporaleschi. C'è una forza motrice che sospinge lentamente questo viaggio nel suo delicatissimo compiersi, una forza che sovviene ancora più forte nel momento in cui il viaggio s'interrompe dopo poche centinaia di metri provocando la reazione pacatamente violenta di Straight che culmina con l'omicidio a fucilate del suo vecchio tagliaerba, operazione di rottura "forte" che assume i toni scaramantici e pagani del sacrificio, trasportando il viaggio in una dimensione temporale lontanissima, del tutto estranea al concetto di spostamento istantaneo, violento e indolore caratteristico della società contemporanea, spostamento che nella sua incontrollata velocità ignora la terra su cui avviene. Il viaggio di Straight nella sua infinita lentezza recupera antichi legami col mondo circostante, con la terra e con i suoi sterminati campi dorati che sfuggono dai bordi delle splendide panoramiche aeree, con il cielo e con i suoi violenti temporali che riversano al suolo piogge torrenziali, luci di lampi e tuoni assordanti. Il cammino del protagonista si trova ad essere intarsiato di cupe notti cimiteriali che si dissolvono dentro albe rossastre e luminose; sono infatti spesso splendide dissolvenze incrociate a decretare fine o principio di molte sequenze, conferendo così all'incedere del film un carattere di fluidità e dolcezza.
The straight story si rivela essere un'opera magistrale sulla memoria di un'esistenza rivissuta all'ombra dell'incombere della morte e conferma David Lynch come una delle realtà più geniali del panorama cinematografico internazionale odierno; insomma un capolavoro e un saggio splendido sulla purezza dello sguardo cinematografico sul mondo.
Stefano Trinchero |