IL TEMPO RITROVATO
  (Le temps retrouvé)

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REGIA:    
Raul RUIZ

PRODUZIONE: Fra/Ita   -   1999    -   Dramm.

DURATA:  162'

INTERPRETI:
Catherine Deneuve, Emmanuelle Beart, Vincent Perez, John Malkovich, Pascal Greggory, Marie-France Pisier, Chiara Mastroianni, Arielle Dombasle

SCENEGGIATURA:
Gilles Taurand - Raul Ruiz  
(da "Il Tempo Ritrovato" di Marcel Proust)

FOTOGRAFIA: Ricardo Aronovich

SCENOGRAFIA:  Bruno Beauge

MONTAGGIO:  Denise De Casablanca

COSTUMI:  
Gabriella Pescucci - Caroline De Vivaise

MUSICHE: Jorge Arriagada

Trama

1922. Proust č morente. nel suo letto guarda le foto di famiglia e attraverso queste e la sua opera letteraria, ripercorre tutta la sua vita...

Recensioni

 

 

 

Alla ricerca del tempo...

Impresa non facile quella di Ruiz, abbandonata in passato da Losey e Visconti. La narrazione si snoda attraverso una serie di innumerevoli flashback nel tempo senza ordine cronologico nella vita dello scrittore e attraverso la sua opera letteraria, con punte visionarie, popolata da una serie infinita di personaggi con situazioni crudeli, scandalose, snobistiche. Il tutto in un'atmosfera decadente, quasi dannunziana e da un punto di vista cinematografico con echi, a mio parere, viscontiani. L'esposizione del racconto risulta pero' pesante, opprimente, a volte noiosa, anche se il lavoro del regista č lodevole, data la complessita' dell'opera proustiana. Da lodare Catherine Deneuve nel ruolo di Odette, la bellissima Emmanuelle Beart ed il protagonista, che sembra essere il sosia dello scrittore; da ammirare l'ambiguita' di John Malcovich.

Mara Taloni


Ritrovare Proust

Progetto Recherche: romanzo monumentale, sostanzialmente introspettivo, con mille sottotrame, tantissimi personaggi, azione quasi nulla. Renderne la complessita'? Impossibile. Visconti ci voleva provare (Brando/Charlus?), Pinter aveva scritto la sua sceneggiatura per Losey ma il film, troppo costoso, non fu mai realizzato. A sorpresa (trascuro volutamente il mediocre Un Amore di Swann di Schlondorff, che vantava solo un azzeccatissimo Irons nella parte del protagonista) l'impresa viene affrontata da Raoul Ruiz e il miracolo si compie. Il regista punta la sua attenzione sull'ultimo volume dell'opera non a caso. Il Tempo Ritrovato, infatti, concentra tutti i temi del romanzo, alla fine di esso il Narratore si dice pronto a scrivere la sua opera e spera di riuscire a terminarla, di non essere sopraffatto dalla malattia che lo ha perseguitato per l'intera esistenza. Ruiz comincia da li', da Proust sul letto di morte che detta il suo capolavoro: sullo schermo foto, ricordi, porzioni di un passato che il cileno sceglie di raccontare per frammenti, con rimandi e salti temporali assolutamente fluidi, mai forzati, dipingendo persone e situazioni, a volte abbozzandoli, a volte lavorando di fino. L'ossessione tutta ruiziana per le storie che si smarriscono, si sfilacciano, che posseggono gli uomini piu' che farsene possedere, diventa lo strumento perfetto per rendere la complessa, labirintica struttura dell'opera. Un distillato preziosissimo che non odora mai di sintesi ma che regala agli scampoli significato e rappresentativita'. Il collage e' suggestivo, impressionista, mai legato a una banale esigenza di appiccicare logicamente i pezzi ad ogni costo. Va avanti per accostamenti, per intuizioni, temi e suggestioni. A questo superbo lavoro di scrittura Ruiz regala il suo strepitoso, mai troppo lodato, talento visionario, gli conferisce immagini sontuose, sorrette da un'invenzione visiva costante, oggetti che ruotano, cromatismi sfrenati, galleria di figure dissanguate, statue di sabbia a un passo dal frantumarsi, luoghi e scene trasfigurati che diventano memoria, tempo perduto che viene ritrovato, come in Proust, per essere consacrato nell'arte. 
Anche di fronte a un tema (ormai) classico il Nostro (mai cosi' Nostro, lo confessiamo) non rinuncia a sperimentare, a far traboccare i suoi fotogrammi di gioielli e perle visive arrivando a un traguardo di strepitosa originalita', di eleganza inusitata. Districandosi tra le stelle di un cast perfetto (ma Malcovich/Charlus e' scelta fin troppo ovvia), restituisce il meccanismo della memoria involontaria con puro e emozionante colpo di genio (non tanto l'episodio della madeleine, che pure c'e', quanto quello del dislivello sul quale inciampa il Narratore e che accende l'ennesima mirabolante girandola di ricordi, resi con fuochi d'artificio che sono pura gioia per gli occhi). Un film che, paradossalmente, piacera' piu' agli amanti del divino Proust che allo spettatore all'oscuro della cattedrale letteraria rappresentata, a meno che quest'ultimo, facendosi forte del suo ignorarla, viva questa suprema esperienza cinematografica come davvero si dovrebbe: un fenomenale trip, un tuffo nella poesia visiva piu' pura in cui riannodare le fila del racconto e' puro accessorio, capire serve a poco, tutto e' sentire, meglio essendo viaggiare seguendo il flusso dei fotogrammi, lontani da una prosaica e nuda rappresentazione realistica. Del resto lo stesso Proust lo ha scritto che la realta' da esprimere non risiede nell'apparenza del soggetto ma "a una profondita' in cui tale apparenza conta ben poco...".

LuCa P@cilio

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