VIAGGIO VERSO IL SOLE
  (Gunese Yolculik)

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REGIA:    
Yesim USTAOGLU

PRODUZIONE: Turchia/Germania/Olanda   -   1999   -   Dramm.

DURATA:  105'

INTERPRETI:
Newroz Baz, Nazmi Oirix, Mizgin Kapazan, 
Ara Guler, Lucia Marano

SCENEGGIATURA:
Yesim Ustaoglu

FOTOGRAFIA:
Jacek Petrycki

SCENOGRAFIA:
Natali Yeres

MONTAGGIO: Nicholas Gaster

MUSICHE: Vlatko Stefanovski

Trama

Mahmet, un ragazzo turco dell'ovest da poco ad Istanbul fa amicizia col venditore ambulante curdo Berzan, braccato dalle autorità perché ostinatamente alla ricerca del padre scomparso anni prima. Un giorno per errore Mahmet viene  scambiato per un terrorista curdo e arrestato. Quando verrà rilasciato (ma ben pestato) perché innocente, la gente comincerà a vederlo con sospetto specialmente a causa del suo colore scuro di carnagione: il ragazzo verrà emarginato e perderà il lavoro. In suo aiuto interverranno la sua ragazza ed il vero curdo Berzan che gli procurerà un lavoro ma durante una manifestazione di protesta...

Recensioni

 

 

 

Viaggio verso il razzismo 

Non lasciatevi ingannare dal titolo: "Viaggio verso il sole" è il provocatorio ossimoro che la regista Yesim Ustaoglu sbatte in faccia al suo paese ma anche al nostro "beato" menefreghismo occidentale nei riguardi della questione curda. In realtà il film non è una denuncia manifesta e retorica sul trattamento della popolazione curda da parte del regime turco, è un campo minato di ellissi, un susseguirsi di sequenze sistematicamente senza raccordo, dove la fluidità narrativa è continuamente spezzata, i buchi della sceneggiatura talmente evidenti da far pensare che Yesim Ustaoglu abbia volontariamente messo da parte l'omogeneità della scrittura per affidarsi esclusivamente alle immagini, ai documentaristici primi piani che riprendono i protagonisti intenti in brevi e ordinari dialoghi, in gesti di vita quotidiana in una Istanbul mai così ambigua, o immersi nella più cupa disperazione; ai campi lunghi su paesaggi straniati avvolti in un silenzio angosciante; a scatti di azione improvvisa che spezzano il clima di calma apparente, come tentativi di strappare un cappio che ci si ritrova attorno al collo senza motivo; insomma una scelta stilistica talmente estrema da inserire il film a pieno titolo nell'ambito di una radicale neo-Nouvelle-Vague, ponendosi nella cinematografia medio-orientale così come Wong-Kar-Wai (con le dovute differenze) si è inserito in quella estremo-orientale.
Si è detto delle ellissi: uno spettatore attento non potrà non aver notato come la parola "curdo" non venga mai pronunciata, eppure verrà iniziato ad una progressiva rivelazione del messaggio attraverso nascosti ma inequivocabili segnali, come quando Berzan, che vediamo braccato dall'esercito, rivelerà all'amico di essere nativo di un paese al confine con l'Iraq; o come quando il colore della pelle di Mahmet scatena la domanda (sempre la stessa, come un incubo, durante tutto il film) sulla sua origine e l'incredulità alla sua risposta: Tire (?), vicino Smirne sull'Egeo; l'ostilità della popolazione nei confronti di Mahmet, non viene dichiarata a a parole, è palpabile ma silenziosa, si avverte nell'aria e nelle facce ma non si vede finché non arriva il marchio della condanna: una grossa X rossa su tutti gli usci delle case nelle quali Mahmet cerca una via di scampo, una fuga da una situazione irrazionale, nella quale si trova improvvisamente come in un incubo, un segno che rimanda inequivocabilmente agli appestati di qualche secolo fa o agli ebrei all'inizio della persecuzione nazista.
Il messaggio a questo punto non può essere più frainteso: il risentimento dei turchi nei confronti dei curdi non è dettato né da motivi politici né economici (il petrolio del Kurdistan): è RAZZISMO allo stato puro, e la provocazione della regista è proprio quella di rappresentare il bersaglio della popolazione non attraverso un curdo ma da un turco con la pelle scura, smascherando in tal modo tutte le ipocrisie con cui la gente cerca di giustificare la propria radicata ostilità nei confronti degli scomodi vicini (anzi, nella stessa casa, ma di chi è veramente la casa?...). Mentre, di contro, l'ordinaria ma sana cultura dei ragazzi non provocherà alcun tipo si stupore nei due quando si riveleranno i luoghi di nascita: la risposta produrrà lo stesso effetto che il sapere da quanto tempo l'altro vive ad Istanbul: un colloquio emblematico nella sua banalità e che si sublima in "morale" solo in quanto rapportato ad una innaturale generalizzata mentalità retrograda e razzista.
Nonostante la seconda parte del film - il viaggio visionario-metaforico che intraprende Mahmet con la bara dell'amico morto verso il suo luogo di nascita per seppellirlo - produca qualche momento di stanca rispetto alla prima (anche se il linguaggio è ancor più esclusivamente affidato alle immagini a discapito delle parole), "Viaggio verso il sole" spicca definitivamente il volo nell'epilogo, con due sequenze memorabili dai connotati simbolici amarissimi: la bara di Berzan spinta dall'amico alla deriva lungo un lago che ricopre una città (uno stato...) che non esiste più, una terra di nessuno, una moderna Atlantide sommersa da un mare di integralismi e pregiudizi; e un sole che illumina una caserma (più probabilmente un carcere dove, forse, è rinchiuso Mahmet) immerso in un silenzio desolato e surreale, un sole che tramonta, forse il tramonto di un'illusione...

Daniele Bellucci


Storia di Amicizia e Sofferenza

Scritto e diretto da una giovane regista turca, ovviamente non ha trovato distribuzione nel suo paese , mentre è stato premiato a Berlino con un importante premio per la pace. Questo è un film di denuncia, che secondo me, non puo' non fare apprezzare le cosiddette, impropriamente, cinematografie minori.
In una Istambul con contrasti interni, divisioni sociali e razziali, si muovono i protagonisti alla ricerca continua di un lavoro onesto e di una vita dignitosa, scontrandosi quotidianamente con uno stato persecutorio solo perche' sia ha la pelle scura come i curdi o perche' ci si occupa di politica, e quindi, regolarmente emarginati, fino ad arrivare alla persecuzione vera e propria, essere arrestati senza motivi validi ed avere la porta di casa contassegnata da una X rosso sangue, ad identificare l'etnia curda e quindi la conseguente condanna. Si presenta agli occhi dello spettatore un'immagine della Turchia profondamente diversa dalle descrizioni turistiche, dove fragilissima è la giustizia e feroce la realta'.Immagini forti e realistiche ci fanno vedere orori ed ingiustizie, ma anche sequenze poetiche come alcune di quelle del viaggio intrapreso da Mehmet per riportare il suo amico morto nel Kurdistan. Suggestive e dense di significato le ultime scene che inquadrano la bara di Berzan che scivola nell'acqua, per poi galleggiare fra le rovine di un paese distrutto, emblematico ricongiungimento di un figlio alla sua terra, almeno nella morte.

Mara Taloni

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