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DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE/ CURE, SPECIALISTI, CENTRI DI ECCELLENZA
E liberaci dal grasso
Ossessionati dal peso. Ma anche schiavi del cibo. O incapaci di nutrirsi. Sono sempre più numerosi i giovani che non si piacciono. E per questo rischiano la vita. Una guida per aiutarli
di Letizia Gabaglio

Si svegliano la notte con una voglia irrefrenabile di aprire il frigorifero o la dispensa, e fare incetta di cibo. Poi, presi da rimorsi, si provocano il vomito per liberarsi di quanto hanno mangiato in maniera maniacale. Oppure vivono ossessionati dal peso corporeo, dal grasso che si nasconde in ogni angolo del loro corpo e per questo digiunano o si producono in sforzi fisici prolungati nel tentativo di bruciare calorie. Ma il risultato è sempre lo stesso: delusione, insoddisfazione, depressione. Già, perché chi soffre di disturbi del comportamento alimentare non si accontenta mai del proprio aspetto fisico, non raggiunge mai la forma desiderata. Una battaglia angosciosa con la propria immagine che nei casi più gravi può portare al suicidio. Anoressia e bulimia sono i disturbi più tristemente famosi. A questi si devono aggiungere i disturbi che i clinici definiscono «non altrimenti specificati», il cui quadro clinico è meno certo delle prime due patologie, ma i cui effetti sono comunque devastanti. Insieme agli esperti della Società per lo studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare (Dca) abbiamo fatto il punto su queste malattie. Ecco cosa ci hanno raccontato.

A soffrirne di più sono le giovani donne, in genere fra i 12 e i 25 anni, incalzate da modelli di bellezza irraggiungibili, circondate da disagi affettivi all’interno del nucleo famigliare, schiacciate dal peso della propria insoddisfazione. Sensazioni diffuse di cui soffre in forma lieve l’8-10 per cento della popolazione occidentale, e quindi anche italiana, e in forma grave l’1-2 per cento. Un fenomeno che da molti è considerato in espansione, mentre altri sono convinti che l’aumento dei casi sia stretta conseguenza della maggiore capacità di diagnosticare la presenza di un disturbo psichiatrico legato all’assunzione di cibo. Per anni infatti è stato proprio questo il problema: pensare che si trattasse di depressione o di un disturbo comportamentale, o ancora di una disfunzione alimentare. Mentre l’anoressia e la bulimia nervose sono delle vere malattie psichiatriche che vanno affrontate con quello che i medici chiamano approccio multidisciplinare: terapia psicologica, psichiatrica, nutrizionale e anche farmaceutica. Per il paziente e per la sua famiglia.

Lo studio attento di queste patologie ha permesso di tracciare dei quadri clinici (vedere schede) che aiutano a diagnosticarne l’insorgenza: solo se la paziente soddisfa tutte le condizioni del quadro si può parlare di anoressia o bulimia; per i casi di mezzo è stata creata la categoria “atipici” che presenta comunque caratteristiche precise. Nei casi in cui il paziente è obeso ma presenta anche crisi bulimiche si parla di Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating Disorder).

Tra tutti questi disturbi il più diffuso e quindi maggiormente studiato è l’anoressia nervosa, malattia prettamente femminile (il 90 per cento dei pazienti) la cui prima manifestazione si registra in media verso i 17 anni. O meglio, gli esperti della Sis-Dca hanno individuato due picchi rispetto alla frequenza dell’età d’esordio, uno intorno ai 14 anni, l’altro ai 18. Più rare le anoressie prepuberali, prima che avvengano i caratteristici cambiamenti somatici della pubertà, e premenarcali, prima della comparsa delle mestruazioni. La bulimia nervosa invece è una sindrome di recente definizione, di conseguenza sono minori i dati epidemiologici a disposizione degli stessi medici. Entrambe sono patologie specifiche di alcuni paesi e di determinate culture e pressoché assenti in altre. I più colpiti sono i paesi occidentali industrializzati. Mentre i paesi in via di sviluppo ne sono immuni.

Fin qui i sintomi, ma quali possono essere la cause scatenanti? Tante. Biologiche e psicologiche, individuali, familiari e culturali. È possibile però distinguere tra fattori predisponenti a lungo termine, fattori precipitanti e fattori che favoriscono il perpetuarsi della sindrome. È frequente il caso di insorgenza della malattia dopo una dieta non necessaria. Tra le caratteristiche psicologiche, oltre a tratti ossessivi, perfezionismo mai soddisfatto, aspettative esasperate, occupa un ruolo centrale un disturbo profondo dell’immagine corporea. È proprio la relazione distorta con il proprio corpo a dover essere curata, altrimenti si rischiano guarigioni apparenti che possono portare nel tempo a ricadute. Ancora, fra gli elementi di predisposizione figurano i rapporti familiari. Infine sono elementi di rischio la competitività esasperata di alcuni contesti, la richiesta di prestazioni straordinarie, l’esaltazione della magrezza come valore ambito.

Ci sono poi eventi nella vita dei pazienti che sono facilmente individuabili come scatenanti. Evidenti soprattutto nei casi di bulimia. Sono quelle situazioni che scatenano l’abbuffata e che potranno quindi, presumibilmente, scatenarne delle altre: separazioni e perdite affettive, modificazioni degli equilibri familiari, nuove e pressanti richieste sul lavoro, esperienze sessuali, cambiamenti somatici e psicologici al momento della pubertà. Questo l’inizio, poi però il disturbo va avanti anche dopo che l’evento traumatico si è esaurito. Perché? Al primo posto fra i fattori cosiddetti perpetuanti, ci sono gli effetti del digiuno e della perdita di peso: il pensiero ossessivo del corpo e dell’alimentazione, l’aggravamento nella percezione distorta dell’immagine corporea, facilità a crisi bulimiche. Al secondo, la maggiore attenzione che il malato sente intorno a sé da parte di figure significative, come i genitori, e la possibilità di evitare, in nome della malattia, situazioni fonte di angoscia.

La complessità di sintomi e cause rende immediatamente intuibile che la cura non può essere né semplice né di breve durata. Il lungo cammino terapeutico deve avvalersi di strumenti diversificati, che tengano conto della coesistenza di problematiche psichiche e somatiche. Lo strumento d’elezione è la psicoterapia, nei suoi diversi orientamenti teorici e tecnici. Spesso, l’intervento deve prolungarsi a lungo, per ottenere risultati significativi. Al momento non è possibile, sulla base degli studi esistenti, stabilire criteri certi per stabilire a priori il tipo di intervento. Sarà cura del medico decidere di volta in volta quale strada terapeutica intraprendere. In generale maggiore è il coinvolgimento della famiglia in caso di pazienti molto giovani, del partner quando presente. Allo psicoterapeuta si affiancano altri medici che aiutano a risolvere gli aspetti somatici della malattia: l’alimentazione, la digestione, eventuali complicazioni sorte a seguito dell’errata nutrizione. Per fare tutto questo a volte è necessario un ricovero che coinvolga di nuovo, quando possibile, anche la famiglia, cercando così di assicurarsene la collaborazione.
Nel quadro della terapia a lungo termine possono essere somministrati anche degli psicofarmaci allo scopo di rendere meno ossessivi i pensieri nei confronti del peso e del corpo. Soprattutto quando il paziente è affetto anche da depressione, che rende inefficaci gli interventi terapeutici. Le molecole al momento impiegate sono gli antidepressivi triciclici e quelli atipici, in grado di agire sullo stato depressivo, sul comportamento alimentare e sul peso, e sul meccanismo di produzione della serotonina, uno dei neurotrasmittori responsabili degli stati umorali.

La somministrazione di farmaci non può e non deve esaurire però l’approccio terapeutico ai Dca: è alta infatti la percentuale di quanti ricadono nella malattia durante e dopo il trattamento. In più, l’effetto positivo del farmaco in genere si limita a specifici sintomi, e non al complesso delle manifestazioni cliniche. Un altro degli aspetti debilitanti di questo tipo di patologie psichiatriche è infatti l’estrema variabilità del decorso. Nei casi più fortunati si registra per l’anoressia nervosa un solo un singolo episodio, benigno, che si risolve in adolescenza. In quelli più recidivi, diventa una malattia cronica, con elevato rischio di mortalità. Il decorso e gli esiti della bulimia invece sono meno conosciuti. In un terzo dei casi, il disturbo si prolunga per un periodo superiore ai 6 anni. Mentre miglioramenti e guarigioni possono manifestarsi anche dopo 10-15 anni dall’esordio. Nel 10 per cento dei casi c’è una ricaduta. E nel 25-30 per cento dei casi si arriva al suicidio. Un quadro preoccupante, insomma, a cui si può fare fronte solo con una terapia multidisciplinare che tenga conto appunto della profondità del male che colpisce anoressici o bulimici. Il male di non potersi accettare, fino a morirne.

(21.12.2000)  L’espresso

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