VIAREGGIO. Colpisce anche in Versilia il sangue infetto. Dal 1997 a oggi all'Asl
sono arrivate 122 richieste di indennizzo per malattie o infezioni contratte
(si presume) da trasfusioni. Ma le richieste sono molte di più, visto
che l'Asl è si occupa di queste pratiche solo da cinque anni e che
non ha traccia delle richieste di danni inviate, fra il 1992 e il 1995, direttamente
al ministero della Sanita. Il quale, comunque, non riconosce molto facilmente
il danno da sangue infetto. Le cifre versiliesi lo confermano: su 92 pratiche
già concluse, solo 21 (il 22,8%, poco più di un quinto) hanno
avuto un esito positivo. Hanno, cioè, ottenuto l'indennizzo (si parte
da un minimo di un milione al mese in su) per un danno ricollegabile a una
trasfusione effettuata con sangue infetto.
Questa percentuale non proprio incoraggiante non frena le richieste di danni.
Solo nel 2000, infatti, l'Asl ha ricevuto 18 nuove richieste (il 14,7% del
totale) di indennizzi per malattie e infezioni contratte - a detta dei pazienti
- in seguito a trasfusioni. Infezioni - precisa la dottoressa Silvia Vitelli
del servizio di medicina legale - sempre «nell'ambito delle epatiti.
Non abbiamo alcuna richiesta di indennizzo di persone che sostengono di aver
contratto il virus dell'Aids con una trasfusione o emoderivati. Abbiamo, invece,
avuto tre casi di persone che hanno sostenuto di aver contratto un'infezione
da vaccino. Oggi, comunque, siamo in grado di dare risposte abbastanza rapide
alle richieste di risarcimento: da quando, a gennaio, la competenza su queste
pratiche è passata dal ministero della Sanita alle Regioni, la pratica
viene definita in 6-7 mesi». E non nei 4-5 anni impiegati fino a quando
la gestione degli indennizzi faceva capo a da Roma. Oggi le pratiche seguono
questo iter: la domanda, con la documentazione clinica, viene mandata all'Asl
che la gira alla commissione militare ospedaliera di Firenze la quale chiama
il paziente per una visita. Il parere della commissione, poi, torna all'Asl
che invia la documentazione completa a Roma. È il ministero della Sanità
che quantifica l'indennizzo da erogare in base al danno subito. «Abbiamo
ancora alcune (poche) pratiche aperte da anni - riprende la dottoressa Vitelli
- ma sono di pazienti che non hanno completato la documentazione medica richiesta».
Le domande, comunque - garantisce la dottoressa - vengono esaminate in base
al numero di protocollo. Quindi in rigoroso ordine di arrivo. «Ottenere
l'indennizzo - conclude la dottoressa - non è facile. Soprattutto per
chi sostiene di aver contratto un tipo di epatite (B o C) in seguito a una
trasfusione. Per il riconoscimento del danno è necessario che la domanda
sia presentata con tempestività, che sia evidente il nesso di causalità
fra trasfusione e patologia e che il paziente abbia subito un danno, in seguito
all'infezione (ad esempio che si ritrovi con il fegato rovinato). Talvolta
le pratiche arrivano fuori tempo massimo. O talvolta - specie quando il donatore
è ancora attivo - è stato dimostrato che il sangue utilizzato
non era infetto». Per questo in Versilia, a oggi, le domande bocciate
sono state 71. Ma i verdetti possono essere impugnati davanti al Tar, se non
sono trascorsi più di 60 giorni dal diniego.