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La Bibbia questa sconosciuta

Alberto Sordi, in "Fumo
di Londra", agli amici
che lo invitano a leggere
un passo del Vecchio
Testamento, risponde
"No, sono cattolico, io"

di BENIAMINO PLACIDO


Qualche giorno fa, sorprendendo un po' tutti, il ministro della Pubblica Istruzione Tullio De Mauro ha espresso il proposito di introdurre lo studio della sacra Bibbia nelle scuole. Qualche giorno dopo un cardinale autorevolissimo ci invitava a preferire nelle nostre scelte uomini e donne di fede cattolica: fra gli emigranti, fra gli immigranti, fors'anche fra i compagni di gioco.
Si ha l'impressione che tra queste due dichiarazioni ci sia una qualche contraddizione: non esplicita, ma nemmeno piccola. Cercheremo di metterla in chiaro, questa contraddizione ricorrendo anche (e soprattutto) ad un vecchio film diretto ed interpretato da Alberto Sordi (Fumo di Londra, 1966).
Si dirà: ma è serio affidare una discussione così seria alle battute e alle mosse del nostro Albertone nazionale? Forse sì. Disse una volta lo scrittore americano Saul Bellow, da tutti noi letto ed apprezzato, che ogni uomo ha una sua intensa vita spirituale.
La quale consiste nelle sei, otto (o dieci o dodici) battute di spirito che ha a disposizione. Che gelosamente custodisce. E che porta sempre con sé, sperando di piazzarle con gli amici, con i compagni di scuola, o di viaggio.
In quel film, in quell'anno Alberto Sordi si trova a Londra per affari. È ospite in una casa di conoscenti inglesi. I quali - devoti come sono, protestanti come sono - gli chiedono la sera, al ritorno a casa, accingendosi a leggere qualche pagina della Bibbia: non vuol leggere anche lei qualche cosa con noi?
Va qui aggiunto che non in tutte le case di Londra si legge ancora oggi doverosamente, devotamente, la sacra Bibbia. Forse lo si faceva una volta: così ci raccontano. Laddove nel nostro Paese, che si proclama cattolico, la familiarità con il Vecchio e con il Nuovo Testamento è rara e scarsa.
Come dimostra quella dichiarazione, ricca di buoni propositi, del Ministro De Mauro. Magari del Nuovo Testamento sentiamo leggere qualche paginetta, la domenica mattina in Chiesa. Ma del Vecchio Testamento, con le sue meravigliose storie di diluvi e alluvioni, di creazione del mondo e di esodo dal Mar Rosso, con le sue storie di Giona e di Giobbe, con i libri esaltanti dell'Ecclesiaste, e con il Cantico dei Cantici, quanto ne sappiamo?
Quando mai ne abbiamo sentito parlare? Eppure tutti sono d'accordo (noi anche, naturalmente) che la nostra tradizione culturale non può fare a meno di nutrirsi di quelle fonti, invece di star sempre solo su Omero o su Saffo, di studiare sempre (e soltanto) il latino e il greco. Con la conseguenza di conoscere queste due antiche, rispettabilissime lingue sin troppo bene. Continuando a svantaggio di tutte quelle altre culture - a cominciare da quella stessa ebraica - che fiorivano anch'esse da quelle parti.
Si dà il caso poi che si stia assistendo, negli ultimi anni ad una straordinaria rifioritura di studi in Italia ed altrove, (forse di più altrove) sulla Bibbia in generale, sul Vecchio Testamento in particolare.
Ecco adesso uno studio recente - e complesso e intelligente - di una studiosa femminista americana che si chiama Adele Reinhartz. Si intitola: Perché chiedere il mio nome? (Why Ask My Name?). L'ha pubblicato la Oxford University Press. Già, come mai nel Vecchio Testamento, che pure è così risuonante di nomi, gli angeli non hanno un nome? Sono creature sorprendentemente anonime. Come faremo allora a cercare l'angelo di nostra competenza? Come faremo a ritrovarlo?
A questa domanda la studiosa americana risponde in un modo talmente particolare, così irto di difficoltà teologiche, che mi sento inadeguato a riferirlo. E come mai (altra domanda) così spesso accade che le donne siano anonime, dentro la narrazione biblica, che pure conosce il fascino e l'importanza del nome proprio (altroché se lo conosce)?
Le figlie di Lot non sappiamo come si chiamassero per nome, e la Regina di Saba, nemmeno. Qui l'autrice si avventura in una lunga persuasiva argomentazione, per dimostrare che le donne di quel tempo (quel tempo del Vecchio Testamento) non erano vincolate ad una sola funzione, quindi ad un solo nome, ad un solo destino, ma ad una molteplicità di funzioni (familiari e personali) fra loro strettamente connesse.
Non perché fossero socialmente considerate poco, dice Reinhartz. O comunque, non solo. Ecco come la Bibbia, ma soprattutto il Vecchio Testamento, può sempre offrirsi ad una lettura "attuale" (per usare una brutta parola): tanto miracolosamente attuali ci sembrano sempre i fatti che essa racconta.
Ed ecco la risposta di Alberto Sordi quella sera a Londra, in casa di quegli amici che lo invitavano a leggere con loro un po' di Bibbia: "Grazie no, sono cattolico, io".

http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20000917/cultura/34placi.html

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