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Quanta etica in quei dieci
comandamenti

silvia giacomoni


André Chouraqui appare nella hall dell’Hotel Rosa sulla sedia a rotelle spinta dalla moglie Annette; si sposta sulla poltroncina quindi tende la mano con un sorriso che la dice lunga sulla sua capacità di vivere con il proprio mito. Perché è un mito, André Chouraqui, l’ebreo algerino addottorato alla Sorbona che, vivendo a Gerusalemme, ha tradotto meravigliosamente in francese la Bibbia ebraica, il Nuovo Testamento e il Corano. E anche perché le faticate carte non gli hanno impedito una vita ricca di amori e di impegni politici: resistente in Francia, giudice di pace in Algeria, consigliere di Ben Gurion in Israele.
Adesso poi, a 83 anni, può dire senza complessi che il suo libro sui dieci comandamenti, uscito l’anno scorso in Francia, è un bestseller. Gli auguriamo lo stesso successo per l’edizione italiana promessa per il 6 febbraio da Mondadori.
Chouraqui viene da Gerusalemme per una conferenza all’interno di un importante ciclo di incontri sulla Bibbia tenuti da studiosi ebrei, cristiani e musulmani, promosso dalla Banca Popolare. Ma non è nuovo a Milano. Racconta: «La prima volta ci sono arrivato in bicicletta. Ho fatto un piccolo détour, per venirci, nella corsa da Parigi a Marsiglia dove mi imbarcavo per l’Algeria. Era subito dopo la guerra, studiavo legge alla Sorbona, e mi sono fatto dei buoni amici.»
Chi sono i suoi amici italiani ?
«Il papa, naturalmente, che ho incontrato a lungo quattro volte, nei cui confronti i cattolici spesso sono ingiusti. E il cardinale Martini, che è biblista e conosce bene le mie traduzioni. Gli ho anche fatto la prefazione a un libro. Pensa sempre di andare a Gerusalemme, quando è l’ora della pensione? Sì? Domani gli telefono. Ora mi faccia le sue domande. Questa è la prima intervista della mia vita».
Allora le faccio una domanda facile. Perché ha scelto di scrivere sui dieci comandamenti ?
«Perché è il solo testo unanimemente accettato da ebrei, cristiani e musulmani. Nel mio lavoro di traduttore ho maturato la convinzione profonda che le tre religioni hanno lo stesso Dio, lo stesso messaggio, gli stessi profeti, le stesse finalità. E da quand’ero bambino in Algeria sono costantemente stupito e scandalizzato che nessuna lo dica, e che tutte vivano le altre come nemiche. E’ una cosa che ha fatto scorrere molto sangue».
Dalla sua autobiografia — Forte come l’amore è la morte (San Paolo, pagg. 540, lire 40.000) — si capisce che lei ha dei debiti verso i cristiani. Dopo l’infanzia in un mondo ebraico fuori dal tempo e le scuole francesi dove si è convinto di discendere da Vercingetorige, è stato introdotto al rapporto con Dio dalle donne di cui si è innamorato. Tutt’e due erano cristiane, per sposare lei nel 1940 una si è convertita all’ebraismo, ed entrambe hanno poi terminato la loro vita in convento.
«Straordinarie. Ho pubblicato sia le lettere di Yvonne che quelle di Colette, la mia prima moglie, una magnifica pianista. Mi hanno nutrito e orientato. Mi hanno fatto conoscere il cristianesimo. Non sono cose da commentare, ma poi ho commentato il Nuovo Testamento e il Corano, oltreché la Bibbia. Avevo gli strumenti per tradurre dall’ebraico, dal greco e dall’arabo. Sono andato a Gerusalemme, lì ho piantato la mia tenda e ho prodotto anche gli altri libri, e cinque figli, e nove nipotini. Il decimo nasce la settimana prossima».
Nel suo libro, di ogni comandamento lei spiega come va inteso nell’ambito biblico, poi dice come lo hanno interpretato le tre religioni, come il problema posto viene affrontato negli altri contesti culturali e come lo si dovrebbe risolvere entro un’etica globale. Ne risulta un testo molto articolato, con digressioni storiche e sull’attualità. Ma che cosa ha portato le tre religioni a divaricare tanto il modo di interpretare i comandi e i divieti dati da Dio a Mosè sul Sinai ?
«E’ il tema della mia conferenza. Per gli ebrei il dramma è l’Impero romano che nel 63 a.C. si installa in Giudea, nel 70 d.C. distrugge il tempio di Gerusalemme e nel 135 spegne ogni speranza di recupero. Sa quante sono state le vittime dei romani? Da cinquecentomila a un milione e mezzo. E i sopravvissuti furono cacciati dalla Giudea con la proibizione di tornarci, pena la morte. Heine ha detto che il giudaismo non è una religione ma una disgrazia. Comincia con la shoah dei romani e termina con la shoah dei tedeschi».
Ma Heine, nell’Ottocento, non intendeva «disgrazia» nel senso in cui l’intende lei !
«Il giudaismo è stato anche la più grande avventura umana. Nella diaspora, per non perdere la Bibbia e i profeti, gli ebrei hanno subito molte persecuzioni. I cristiani, che volevano fare una religione universale, non hanno capito che gli ebrei non si sarebbero mai convertiti. Fino al ventesimo secolo i cristiani non hanno capito che quanto avevano considerato durezza del cuore negli ebrei era una superiore fedeltà al tesoro della loro tradizione; fedeltà che li ha fatti resuscitare come popolo, e gli ha fatto resuscitare l’ebraico».
Lei sta dicendo che a divaricare l’interpretazione dei comandamenti è stata la storia.
«Io dico che se i rabbini, i preti e gli imam lasciassero le loro diatribe teologiche e si mettessero a ordinare di non assassinare, di non dare falsa testimonianza eccetera, il mondo sarebbe un paradiso».
Ma lei mi insegna che se non la si interpreta, la Bibbia, se ne fa una cosa morta, buona solo per i fondamentalisti.
«Hanno interpretato i comandamenti, benissimo. Ma poi non li hanno seguiti. Ha letto il catechismo di Giovanni Paolo II, quello del 1993? E’ un capolavoro, è molto coraggioso, e contiene un bellissimo capitolo sui dieci comandamenti. Lo legga».
L’eccellenza dell’interpretazione non conta se non segue la pratica? D’accordo. Nella sua interpretazione, lei è molto attento ai problemi attuali della società. Faccia un esempio : come dovremmo leggere oggi quello che per i cristiani è il sesto comandamento: «Non commettere atti impuri» ?
«I cristiani interpretano in questo modo il comandamento che nella Bibbia è il settimo perché, in linea di principio, sono monogami. Ma quel comandamento fu dato a un popolo poligamico, e io lo traduco con: «Non adulterare». La proibizione non riguarda solo l’adulterio ma ogni manipolazione e falsificazione. Questo lo rende molto più attuale. Io penso che la più grave adulterazione sia quella del Nome di Dio. Il nome del Dio di Mosè, JHWH, costruito sulla radice ebraica del verbo essere, che io rendo con "l’Essere che era, è, sarà e che fa essere", l’impronunciabile tetragramma è stato tradotto con "Dio", che viene da Zeus, è stato tradotto con "God", che viene da Wotan».
Lei ha trovato un modo ingegnoso per non adulterare l’impronunciabile nome di Dio. Scrive JHWH in corpo piccolo e sopra, altrettanto piccolo scrive Adonai, in ebraico Signore, che gli ebrei pronunciano invece del Nome. E Allah ?

«Allah è lo stesso che Elohim, il creatore, che ricorre nella Bibbia. Questa della pronuncia o meno del Nome non è cosa da poco. Si proibisce di pronunciare il Nome di Dio per impedire di farne un idolo, in nome del quale poter anche ammazzare. Bisogna abbattere le frontiere, unire gli esseri umani, e non vedo ricetta migliore del rispetto dei dieci comandamenti. Auspico un soprassalto di energia che ci porti alla trasformazione dell’inferno in un paradiso».
Che mi dice di Gerusalemme ?
«A Gerusalemme vivono ebrei, cristiani, musulmani, questo lo sanno tutti. Ma non tutti sanno che gli ebrei di Gerusalemme vengono da centodue paesi del mondo, che in Israele sono rappresentate 45 confessioni cristiane e che anche i musulmani sono di tutti i riti, le origini, le culture. L’umanità intera è là, Gerusalemme è un microcosmo, il punto di congiunzione tra Est e Ovest, tra Nord e Sud. "Pregate per la pace di Gerusalemme" dice il salmista, e non: per la pace di Roma o di Babilonia».
Il cardinale Martini dice che Gerusalemme è il luogo dove si concentra tutto il dolore del mondo.
«Ma la pace verrà, ne sono sicuro, tanto più in fretta quando più lo vorrete».
Come il Messia.

 

http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20010121/cultura/34elenar.html 

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