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Quei preti in cattedra
Lora di religione nei ricordi dello scrittore
siciliano
di ANDREA CAMILLERI
Il cardinale Martini ha recentemente affermato che linsegnamento della
religione nelle scuole pubbliche con una sola ora settimanale in orario è assolutamente
insufficiente, data la vastità e la complessità dei problemi che in quellesigua
ora andrebbero affrontati. Il cardinale ha perfettamente ragione: destinare
unora (che poi tra ritardi e adempimenti vari si riduce a tre quarti dora)
allinsegnamento della religione, più che ridicolo è offensivo per la religione
stessa. Il cardinale propone che il tempo destinato allo studio della religione
sia elevato a due ore settimanali. E qui il cardinale ha torto. Perché, sia
che si tratti di unora o di due, il problema non cambia. E poi, questa
ora in più, a scapito di quale altra materia andrebbe? Poiché la giornata scolastica
ha una sua precisa durata e non si può allungarla a piacimento è chiaro che
lampliamento del tempo destinato a una particolare materia sottrarrebbe
parte del tempo a disposizione delle altre.
Io, anni settantacinque compiuti, ho precisa memoria delle ore di religione
patite in qualità di scolaro e di studente. Siccome però il periodo dei miei
studi ginnasiali e liceali risale allE.F. (Era Fascista, per chi è troppo
giovane e per chi se ne è dimenticato), ho cominciato a domandare in giro ad
amici e parenti, che in comune avevano lavere studiato in tempi di democrazia
e di libertà, quale memoria, quale ricordo avessero, o quale fosse la loro esperienza
attuale, dellora di religione.
Il campione, come direbbe unagenzia di sondaggi, era tuttaltro che
omogeneo per età (dai diciotto ai sessanta anni), per cultura, per idee politiche
(da Alleanza nazionale a Rifondazione), per fede (cattolici praticanti e atei)
e tuttavia ottenni due soli tipi di risposte: «Mai mi sono annoiato tanto» e
«Mai mi sono divertito tanto». Le due risposte sono ugualmente spiazzanti, perché
è chiara la loro non pertinenza rispetto a una materia tanto, almeno sulla carta,
impegnativa. Ma rispecchiano la verità, la quale verità, se non è più sempre
rivoluzionaria, assai spesso continua a essere perlomeno spiazzante. Un ulteriore
approfondimento sulle ragioni per le quali alcuni si divertivano e altri invece
piombavano nella noia, ha dato un risultato previsto: si annoiavano coloro che
seguivano lora di religione perché timorosi non di Dio, ma del signor
preside e se la scialavano invece quelli che, pur presenti col corpo, in realtà
occupavano quellora in tuttaltre faccende affaccendati: stesura
di bigliettini amorosi, battaglie navali, letture di romanzi e fumetti spinti
eccetera.
Ho provato un leggero senso di vertigine. Il tempo, per me, si era fermato.
Ero tornato ai tempi del ginnasio e del liceo, a quasi sessantacinque anni addietro
e niente era cambiato. Io mi sono ora annoiato e ora divertito. Mi sono annoiato
con padre Lamatina il quale pretendeva che stessimo in perfetto silenzio e assolutamente
immobili mentre lui, per tutta lora, leggeva il giornale. Se qualcuno
si muoveva o parlava, ripiegava il giornale, scendeva dalla cattedra e cominciava
a dare botte da orbi al malcapitato. Dava macari dei calci da cavallo con le
sue scarpe chiodate da contadino. Le sue lezioni invariabilmente terminavano
con due secchi ordini: «Saluto al Duce!» e «Segno di Croce!».
Mi sono divertito con padre Bondi. Trentacinquenne, tonaca impeccabilmente tagliata,
sempre pulitissima e stirata, occhiali doro, orologio idem, capelli pettinati
accuratamente, insomma una specie di Clark Kent, quel giornalista che poi si
trasforma in Superman. La sua ora la passavamo così: «Camilleri, alla cattedra».
Ci andavo, mi taliava per un cinque minuti senza aprire bocca, dalla testa ai
piedi.
«Girati!».
Mi voltavo. Sentivo il suo sguardo percorrere il mio corpo.
«Puoi tornare al posto».
Appena seduto, comunicava alla classe il risultato del suo controllo.
«Come tutti avete visto, Camilleri si ostina a portare scarpe gialle con pantaloni
grigio scuro. Questo è intollerabile. Per quanto riguarda il taglio dei capelli,
vedo invece con piacere che ha seguito i miei consigli».
Qualche anno appresso seppi che si era spretato.
Per un semestre ho avuto monsignor Trapani che è rimasto nella mia memoria pur
avendolo visto poco. Con lui non mi sono né annoiato né divertito, ero totalmente
pigliato dalla curiosità nei riguardi di questo parrino dai capelli grigi tagliati
a spazzola, occhi azzurri, alto, distinto. Il primo giorno che fece lezione,
ci disse questa frase: «Ogni tanto, quando potete, pensate a Gesù».
Poi cominciò a informarsi su chi eravamo, qual era il mestiere o la professione
del padre, quanti eravamo in famiglia, se ce la facevamo a campare coi soldi
che entravano in casa. Un giorno arrivò il preside che non perdeva occasione
per presentarsi in divisa (era squadrista e Marcia su Roma) e padre Trapani
lo ignorò, manco si alzò. Poi, sei mesi appresso, il preside ci venne ad annunziare
che avremmo avuto un «più degno insegnante». E arrivò il già citato padre Lamatina.
In famiglia appresi che la sostituzione di monsignor Trapani era dovuta al fatto
che era stato un fervente sturziano e che continuava ad esserlo. Sturziano?
Non ci capii niente e lasciai perdere. Un giorno padre Lamatina diede un ordine
secco e inatteso: «Sabato prossimo venite tutti a confessarvi. Vi aspetto in
chiesa. E la domenica mattina, in divisa, tutti a fare la Comunione!». Questo
succedeva un martedì. Io cominciai a parlarne coi compagni (eravamo al ginnasio),
dicendo che personalmente avrei disubbidito, non mi pareva giusto che ci si
dovesse confessare e comunicare per ordine superiore. Qualcuno cominciò ad essere
daccordo. Il venerdì venni chiamato nellufficio del preside. Lui
non cera, cera padre Lamatina che massalì subito (non a botte):
«Cosè questa storia che non ti vuoi confessare?».
Qualcuno aveva fatto la spia. Gli dissi come la pensavo. Sorrise e io veramente
mi spaventai a vederlo sorridere in quel modo: «Ti confessi lo stesso, anche
se non credi in Dio. Ho ordinato così e così deve essere. Se disobbedisci, ti
faccio perdere lanno. E tu sai che sono in grado di farlo».
Il sabato andai a confessarmi, la domenica feci la Comunione. Con qualche dubbio
sul modo dinsegnare la religione e il modo di praticarla. Lultimo
che ricordo è padre Angelo. Eravamo al terzo liceo, tutti avevamo la convinzione
che la guerra era persa. Padre Angelo commentava il bollettino di guerra. La
sera ci ritrovavamo in sacrestia: spiegava a pochi di noi, con molto anticipo
sulla par condicio, tanto Il Capitale quanto la Rerum novarum.
E qui finisce la mia esperienza con lora di religione. A conti fatti,
di religione nellora di religione non si parlò mai. È fuor di dubbio che
adesso è cambiata la qualità dei docenti.
Non si tratta solamente di preti, ma anche di suore e di laici. Fino a qualche
anno fa, non sapevo che i laici potessero insegnare religione, lo appresi in
modo, come dire, traumatico. Un mio amico mi telefonò per domandarmi se una
ragazza, figlia di un suo cugino, poteva assistere a qualche prova di una commedia
che stavo in quei giorni mettendo in scena. Il giorno appresso arrivò, alta,
nigra et formosa, capelli corvini lunghissimi, grandi cerchietti doro
alle orecchie, minigonna ascellare.
Mi feci subito persuaso che si trattava di unattricetta in cerca di scrittura.
In un intervallo delle prove, mi spiegò che non intendeva recitare, che era
solo mossa dalla curiosità e che il suo lavoro era quello di insegnante di religione.
Per poco non ebbi un mancamento. Di fronte al mio evidente stupore, si sentì
in dovere di aggiungere che i ragazzi facevano a cazzotti per assistere alle
sue lezioni. Quando raccontai a casa di questo incontro, mia moglie commentò:
«Quella appartiene alla quinta colonna del Vaticano».
Mi dicono che esiste un libro sulla materia che o non viene comprato o se comprato
non viene usato. Daltra parte, molti sono gli esonerati, sia perché non
cattolici sia perché hanno fatto richiesta di esenzione. Quindi, in altri termini,
è una materia facoltativa. Ma è facoltativa senza alternativa.
Linsegnamento della religione nelle scuole andrebbe più propriamente definito
come insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Sicché i ragazzi cattolici,
teoricamente, hanno la possibilità di approfondire la loro fede, mentre agli
altri questa possibilità non è data.
Ed è stata salutata come una conquista il fatto che i ragazzi di altre fedi
non fossero costretti a seguire lora di religione (cattolica). Pare che
tutto ciò sia il risultato di trattati, accordi, concordati et similia, tra
il nostro Stato e la Santa Sede, di cui io non ho (felicemente) competenza.
Allora, di che cosa si parla durante lora di religione? Si continua, come
ai miei bei tempi, a non parlare di religione. Gli insegnanti più avvertiti
parlano ai ragazzi dei loro problemi, dalla droga al sesso, dalle stragi del
sabato sera alla violenza sportiva. Molto lodevole, ma non è un insegnamento
di religione.
E poi, come ne parlano? Può un insegnante cattolico illustrare ai giovani limportanza
del preservativo nei rapporti sessuali? E gli insegnanti più ossequienti, come
si comportano? Spiegano che, come dice Ratzinger, non cè salvezza al di
fuori del cattolicesimo? Spiegano che, come dicono Biffi e pari suoi, gli extracomunitari
islamici non devono essere ammessi in Italia perché rappresentano un pericolo
per i nostri valori? Cioè a dire: nella scuola italiana esiste unora nella
quale qualcuno potrebbe ex cathedra diffondere idee di razzismo. Ne avrebbe,
come si usa dire, facoltà.
No, con tutto il rispetto per il cardinale Martini (e non adopero una frase
fatta: per lui ho veramente rispetto), sarebbe forse il caso di cominciare a
prendere in considerazione labolizione dellora di religione così
comè concepita ora.
Se invece qualcuno riuscisse a inventarsi unora di religione alla quale
potessero insieme partecipare cattolici, ebrei, ortodossi, protestanti, valdesi,
buddisti, maomettani eccetera (e ovviamente i miscredenti) allora sarei daccordo
a trasformare quellora settimanale in unora quotidiana