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LUOGHI PERDUTI / IL TRAMONTO
DELLA TERZA VIA
Il purgatorio può attendere
Le indulgenze del Giubileo servivano ad accorciare l'attesa del cielo.
Ma ormai quel punto di mezzo tra Inferno e Paradiso è svanito. Per i teologi
e per i fedeli. Vi raccontiamo l'ultima rivoluzione dell'aldilà
di Sandro Magister
Perfino Giovanni Paolo II ne parla sottovoce. Del purgatorio. L'ultima volta che l'ha
fatto in pubblico, lo scorso 4 agosto, non l'ha quasi chiamato per nome: «Non è un
luogo», ha detto, ma «uno stato di purificazione dopo la morte». Fine. Impossibile
saperne di più, nonostante la rivoluzione che provoca questa messa in soffitta della
seconda cantica della "Divina Commedia". Basta vedere cos'è successo al
Giubileo, campato per secoli proprio sul condono delle pene del purgatorio. Ieri i fedeli
correvano a Roma a chiedere al papa perdono e indulgenza; oggi è il papa a chiedere lui
perdono per le colpe passate dei figli della Chiesa. Ieri i fedeli imploravano la
remissione dei debiti contratti nell'aldilà coi propri peccati; oggi la Chiesa fa
campagna perché siano rimessi nell'aldiquà i debiti esteri dei paesi poveri. E poi
dicono che questo è un papa all'antica. Sbagliato. Il suo Anno Santo del 2000, che
inaugura in pompa magna la notte di Natale, è di modello nuovissimo.
E tra le cose vecchie messe da parte, il purgatorio è la più stupefacente. In un celebre
libro pubblicato in Italia da Einaudi, il medievalista Jacques Le Goff ne ha raccontata la
nascita, sul finire del secolo XII. E il folgorante trionfo. E l'immediata fortuna poetica
che con Dante toccò lo zenith, di pari passo con l'invenzione nel 1300 del Giubileo, ad
opera di Bonifacio VIII. Ma oggi? La scomparsa del purgatorio sta avvenendo a una
velocità doppia. Pareva ancora vivo e vegeto alla metà del Novecento, ma nel giro di
pochi decenni, gli ultimi, eccolo già sparito dalla geografia cattolica dell'altro mondo.
In un monumentale sondaggio commissionato dai vescovi nel 1995 sulla religiosità degli
italiani, sul purgatorio non hanno nemmeno inserito la domanda. Così che adesso è
scientificamente accertato che il paradiso resiste nelle credenze diffuse, l'inferno un
po' meno, ma il terzo luogo proprio non si sa che fine abbia fatto.
Ha vita grama anche come pezzo da museo. A Roma, sul Tevere, dalle parti di Castel
Sant'Angelo, è stata costruita nel 1917 una chiesa di pretenziose forme neogotiche. È
intitolata al Sacro Cuore del Suffragio e ospita dal suo nascere una confraternita che ha
come scopo proprio quello di pregare per le anime del purgatorio, con tanto di pala
dipinta che lo raffigura, sopra l'altare maggiore. In un corridoio della sacrestia c'è un
"Museo del purgatorio". E che cosa contiene? Un berretto da notte con una
bruciatura a forma di cinque dita: impronta lasciata da una moglie defunta apparsa al
marito per sollecitarlo a pregare per lei. La camicia di una badessa di Todi, anch'essa
con una bruciatura a forma di mano, stampatale da un fu abate di Mantova anche lui in
cerca di suffragi. Un libro con le pagine bruciacchiate da una suocera defunta, riapparsa
minacciosa alla nuora in cima alle scale del suo granaio. Una banconota da 10 lire
depositata presso un convento di Montefalco da un sacerdote morto nel 1919, per far
celebrare messe a suo pro. E un'altra dozzina di cimeli del genere. Tutti raccolti in una
vetrina polverosa, con un foglietto di presentazione zeppo di scuse, tese a spiegare che
il valore delle suddette prove è modesto, anzi, «soltanto relativo e puramente umano»,
anzi, ininfluente per la fede. E questo sarebbe il bastione dei cultori del purgatorio.
Del tramonto del purgatorio la Chiesa appare non solo consapevole, ma consenziente. Lo
scorso 13 dicembre il comitato vaticano ufficiale per l'Anno Santo ha inaugurato la sua
nuova sede di via della Conciliazione presentando un libro intitolato "Il
Giubileo" scritto da Lucetta Scaraffia, docente di storia moderna all'università di
Roma "La Sapienza", e stampato dal Mulino. E il libro proprio questo sostiene:
che la recente «spiritualizzazione» del Giubileo, a partire dal Concilio Vaticano II e
da Paolo VI, fa tutt'uno con l'accantonamento del purgatorio. «La celebrazione giubilare,
infatti», scrive Scaraffia, «era nata dalla certezza del purgatorio e dalla possibilità
di intervenire, con l'aiuto delle indulgenze, per modificare le pene destinate ai
peccatori nell'aldilà. Si giustificava solo in funzione di un'aldilà molto concreto,
descritto e raffigurato con ricchezza di dettagli, e con la fiducia di poter intervenire
nel regno immateriale con strumenti materiali: le offerte, le penitenze, il
pellegrinaggio». Giovanni Paolo II ha sì interrotto questa deriva spiritualizzante e
«rimaterializzato» il Giubileo, ma in forme del tutto diverse: lasciando in ombra
purgatorio e indulgenze, e dando forte enfasi alla cancellazione del debito in danaro dei
paesi poveri. Piuttosto un ripristino dell'Antico Testamento e dei suoi periodici «anni
di grazia del Signore».
Anche i Giubilei rinascimentali ave-vano la loro materialità fatta di danari. Ma invece
che alle nazioni povere, questi affluivano alla Roma dei papi. E da lì, ma solo in
spirito, trasmigravano nell'aldilà, con gran condono dei beneficiati. «Non appena la
moneta tintinna nella cassa, l'anima balza fuori dal fuoco del purgatorio», predicava il
frate domenicano tedesco Johann Tetzel, facendo infuriare Martin Lutero. Ma anche il prode
Manfredi, nel purgatorio dantesco di due secoli prima, aveva attestato «che qui per quei
di là molto s'avanza»: ossia che preghiere, messe e oboli potevano far salire in
paradiso anche uno scomunicato pentito come lui. Nel purgatorio di Dante c'è gran
movimento d'anime, grazie al Giubileo. L'Anno Santo indetto da Bonifacio VIII nel 1300,
spiega al poeta l'amico Casella, aveva svuotato d'un sol colpo quel luogo di ressa alle
foci del Tevere, una sorta di molo d'imbarco per il purgatorio, dove le anime
s'accalcavano in attesa di traghettare verso la montagna di purificazione. E se ogni anima
purgata che vola in paradiso fa «tremar lo monte» di felicità, col Giubileo un
autentico terremoto liberatorio lo scuote, grazie al diluvio di indulgenze plenarie
applicate ai morti in grazia di Dio.
Tra paradiso e inferno, il purgatorio di Dante è tutto gravitante sul primo, come il
ladrone pentito al quale Gesù dice dalla croce: «Oggi sarai con me in paradiso». Ma
nelle credenze diffuse? Pietro Prini, filosofo cattolico, nel suo polemico libro "Lo
scisma sommerso" pubblicato quest'anno da Garzanti, addebita l'odierno rifiuto del
purgatorio proprio al fatto che lo si sia troppo pensato (e predicato) come un «inferno
temporaneo». Il cardinale Giacomo Biffi, ferratissimo in teologia, giudica anche lui
questo modo di pensare «un'aberrazione». Ma l'immaginario popolare se ne è nutrito per
secoli. Uno dei più fortunati best seller del Medioevo, "Il purgatorio di san
Patrizio", l'ha raccontato come un luogo di tormenti infernali nelle viscere della
terra, con la precisione descrittiva di un reportage dall'aldilà datato 1153 e firmato da
un cavaliere di nome Owein miracolosamente riuscito a tornare vivo in superficie. E ha
fornito le coordinate geografiche della cavità nella quale poteva avventurarsi chi voleva
ripetere l'esplorazione: Irlanda, contea di Donegal, lago Derg, isola di Station. Attorno
alla cavità, protetta da un muro con una porta chiusa a chiave, c'è ancor oggi una
chiesa, meta di turisti ma anche di pellegrini. Una volta l'audace esploratore
dell'aldilà doveva prepararsi al passo con quindici giorni di preghiera. Accompagnato al
pertugio, gli si apriva e richiudeva la porta alle spalle. Tempo 24 ore. E se risaliva
sano e salvo passava altri 15 giorni in preghiera, per l'ordalìa andata a buon fine. Oggi
i pellegrini si limitano a 24 ore di veglia e digiuno, ma senza più scendere per la
cavità.
Inventato nel Medioevo dei mercanti, il purgatorio ne assunse anche la scansione del
tempo. Giorni, mesi e anni varcarono la soglia della morte e penetrarono in quell'aldilà
speciale che invece d'essere eterno come l'inferno e il paradiso è, appunto, temporale.
Il francescano Alessandro di Hales, dottissimo teologo con cattedra a Parigi, consultava
gli "Elementi" di Euclide per computare con rigore geometrico le pene delle
anime purganti. Una strepitosa contabilità cronologica irruppe di conseguenza anche nelle
indulgenze «lucrate» per alleviare quelle pene. Nel Medioevo dei liberi comuni e del
protocapitalismo, scrive Le Goff, «nacque col purgatorio anche il cittadino dell'aldilà,
tra la morte individuale e l'ultimo giudizio».
E la Chiesa ne amministrava il «tesoro», alimentato dalle opere buone quaggiù e
dall'intercessione dei santi lassù. Senza però mai dogmatizzare le credenze e le
pratiche che essa stessa fomentava. È sorprendente, ma i tre concili che hanno fissato la
dottrina cattolica sul purgatorio, quello di Lione nel 1274, di Firenze nel 1439 e di
Trento nel 1563, mai lo definiscono come luogo, né come fuoco, ma solo come imprecisato
«processo purificatore», che può essere alleviato dalla «comunione dei santi». Il
catechismo della Chiesa cattolica promulgato da Giovanni Paolo II si attiene anch'esso a
questa preveggente sobrietà definitoria. Ma se del purgatorio la stessa Chiesa sa così
poco, la novità d'oggi è che questo poco ha deciso che basta, a dispetto di otto secoli
di sua amplificazione massiccia. E di tutto il sovrappiù può spogliarsi silenziosa.
(06.01.2000) |