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La strana coppia di beati

IL 3 SETTEMBRE PIO IX E GIOVANNI XXIII SARANNO
BEATIFICATI. PERCHE' LA CHIESA HA SCELTO LORO?

di MARCO POLITI


PIO IX e Giovanni XXIII saranno proclamati beati domenica da Giovanni Paolo II. Sono i pontefici dei due ultimi Concili ecumenici celebrati dalla Chiesa cattolica: il Vaticano I (1869-1870) e il Vaticano II (1962-1965). Giovanni XXIII non riuscì peraltro a portare a compimento il suo progetto, perchè morì nel 1963, e così toccò al suo successore Paolo VI guidare a conclusione la grande assemblea dei vescovi. Per Pio IX l'iter preparatorio della beatificazione è stato assai lungo: novantatré anni. Per lungo tempo hanno pesato sulla sua causa le polemiche legate al suo ruolo durante il Risorgimento. Ma alle obiezioni dei critici il prefetto della congregazione vaticana per le Cause dei santi, monsignor Saraiva Martins, ha sempre risposto che ciò che conta sono le virtù personali di santità.
Per Giovanni XXIII ci sono voluti, invece, trentacinque anni. Per decretare le sue "eroiche virtù", la sua vita è stata passata al setaccio. Chi lo accusava di golosità, chi di essere stato imprudente nelle sue aperture al comunismo internazionale (ricevette in Vaticano il genero di Kruscev Adjubei), chi di essere stato troppo ben disposto verso gli Ortodossi. Sono le minuziose procedure della Chiesa, che prevedono appunto domande da "avvocato del diavolo", anche se questo ruolo è stato abolito. Nello stesso anno in cui Paolo VI istituì la causa di beatificazione di Giovanni XXIII, nel 1965, partì anche la procedura per la beatificazione di Pio XII. Anche la sua causa è quasi in dirittura d'arrivo. "Procede molto bene", ha detto pochi mesi fa il postulatore padre Peter Gumpel.

Roma
La strana coppia, che domenica 3 settembre sarà elevata alla gloria degli altari, inizialmente non era prevista. Accanto a Giovanni XXIII doveva stare Pio XII. Peso e contrappeso. L'ultimo ieratico autocrate del cattolicesimo affiancato all'uomo che con il concilio Vaticano II aveva fatto aprire le finestre della Chiesa al mondo.
Ma le polemiche mai sopite sul "silenzio" di Pio XII durante la seconda guerra mondiale rischiavano di rovinare la festa. Le comunità ebraiche avevano espresso il loro malumore. Valeva la pena nell'anno del giubileo, del pellegrinaggio di Giovanni Paolo II a Gerusalemme, del solenne mea culpa per i peccati di antisemitismo suscitare uno sgradevole coro di proteste? Così la pratica di papa Pacelli è stata messa (provvisoriamente) su un binario di parcheggio e nella casella improvvisamente vuota è stato inserito Pio IX, il papa del concilio Vaticano I.
Strana storia anche questa del tandem in cui si è voluto forzare Giovanni XXIII. Papa Roncalli avrebbe potuto essere beatificato già nel 1965 alla fine del concilio, per acclamazione, così come avviene nei grandi tornanti della storia. La proposta la lanciò all'epoca un giovane vescovo ausiliare del cardinal Lercaro di Bologna, Luigi Bettazzi, ma la Curia si oppose insabbiando il progetto.
La memoria di Giovanni XXIII faceva paura, dava fastidio. Il Papa da poco defunto aveva rotto pacatamente gli equilibri di potere della macchina curiale, aveva concesso una libertà inaudita ai vescovi riuniti in Concilio, aveva condotto la Chiesa fuori dagli schemi obbligati della guerra fredda, aveva lasciato libera la Democrazia Cristiana di avviare il centro-sinistra tentando di chiudere la pagina delle sistematiche ingerenze vaticane nella politica italiana. C'è una lettera illuminante dello stesso Giovanni XXIII al suo segretario Capovilla nel quarto anno del suo pontificato: "In quattro anni (il Papa) non ha mai avuta né colta né approfittato di una sola occasione di un qualunque incontro con persone di governo o di organizzazioni sindacali... per uscire dal suo riserbo".
Negli anni Sessanta quest'uomo non doveva diventare esempio e modello dirompente, meglio lasciare che si posasse sulla sua figura la polvere dorata e dolciastra del "Papa buono", meglio "sopire" manzonianamente. E così è accaduto.
Pio IX, la cui beatificazione giunge al traguardo dopo un iter tormentato iniziato nel 1907 (e ancora due anni fa un autorevole storico gesuita, Giacomo Martina, la giudicava "non conveniente" in sede di votazione dei consulenti in Vaticano) è esattamente l'opposto. Sullo stesso altare staranno il pontefice della pace e quello che faceva funzionare la ghigliottina, il Roncalli che tolse dai libri liturgici l'ingiuria rivolta ai "perfidi ebrei" e il Mastai che li apostrofava come "cani (che) sentiamo latrare per tutte le vie" e che autorizzò il sequestro del bimbo ebreo Mortara battezzato all'insaputa della famiglia, il Papa del concilio Vaticano II che fece intravedere una Chiesa che imparava anche dal mondo e dalla storia (i famosi "segni dei tempi") e un Papa che con il Concilio Vaticano I e il dogma dell'infallibilità portò la Chiesa ad una visione suprema di assolutismo.
Non è il suo rapporto con il Risorgimento a creare difficoltà al rito solenne del prossimo 3 settembre. Un secolo e mezzo dopo le vicende del "cittadino Mastai", con cui il Carducci voleva alzare i bicchieri, si possono vedere con un approccio più calmo.
Il Papa delle prime riforme rimase terrorizzato dalle sommosse, il papa che amava l'Italia non poteva scendere in guerra contro l'Austria (nel 1848) come un qualsiasi pontefice medievale, il papa che sognava un'unità nazionale in senso più culturale che geopolitico non poteva plaudire alla cancellazione dello stato pontificio.
E' piuttosto il suo modo di essere pontefice ad aver suscitato alla vigilia della beatificazione proteste, perplessità e imbarazzi all'interno del mondo cattolico. La Chiesa può fare i suoi santi come crede, è naturale, ma se i santi devono essere "modelli" esposti al mondo, deve pur fare i conti con la società. Dal Concilio Vaticano II ad oggi la forza della Chiesa si è misurata proprio sulla sua capacità di entrare in comunicazione con la cultura moderna e i fenomeni sociali emergenti.
Pio IX rappresenta l'opposto. L'arroccamento, la divisione ossessiva del mondo in sudditi fedeli e diabolici nemici, un fremito di totalitarismo ecclesiale esaltato dal dogma dell'infallibilità ("un incidente di percorso", lo definì il teologo Urs von Balthasar, tanto stimato da Karol Wojtyla) in un'epoca che si apriva al liberalismo e alla democrazia. Il Sillabo e il dogma dell'infallibilità, frutto maturo di un pontificato durato trentadue anni, restano pagine poco gloriose della storia del papato. Preparazione e svolgimento del concilio Vaticano I (1870) testimoniano di una volontà implacabile del pontefice di raggiungere con ogni mezzo la proclamazione dell'infallibilità, esercitando le più forti pressioni sugli oppositori e negando da subito all'assemblea conciliare il diritto di determinare liberamente il proprio regolamento dei lavori. Nel Sillabo (1864) e nell'enciclica Quanta cura vengono violentemente ripudiati principi basilari della società moderna con cui la Chiesa si riconcilierà nel Novecento. Unitamente alla dogmatizzazione del potere papale, la condanna recisa del principio che "la libertà di coscienza e dei culti è diritto proprio di ciascun uomo" e che è diritto d'ogni cittadino la totale libertà di manifestare il proprio pensiero lascerà un scia dolorosa nei decenni a seguire: la persecuzione di Rosmini, la caccia alle streghe contro il modernismo, la repressione della nuova teologia durante il pontificato pacelliano.
Giovanni XXIII, tuttavia, non si sarebbe lamentato di questo compagno d'altare. La fede incrollabile e l'amore per la Chiesa di Pio IX ne facevano un "Papa santo", che lui stesso avrebbe voluto beatificare. E' il bello della storia.

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