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LA PAURA DELL' ISLLAM
L'ultima Crociata
Sono 560 mila gli immigrati islamici in Italia. In maggioranza integralisti. Che
vogliono anteporre le loro leggi a quelle dello Stato. Nell'educazione e nel diritto di
famiglia. La reazione è inevitabile. E il cardinale Biffi non è il solo a tuonare
di Dina Nascetti
Il cardinale Biffi, l'ultimo dei crociati agli inizi del terzo millennio? Biffi,
seguace di Luigi IX, re di Francia che
in due anni (1248-1250) perse una dopo l'altra le roccaforti dei cavalieri franchi in
Terra Santa? O ancora Biffi come quel re Ferdinando d'Aragona che nel 1492 cacciò i
musulmani e gli ebrei dall'Andalusia? È certo che con la sua pastorale il cardinale di
Bologna è riuscito a mettere sotto i riflettori un tema scottante e controverso. Che
riguarda non solo l'Italia ma l'Europa intera. Tanto scottante che i quindici paesi membri
dell'Unione europea, su iniziativa italiana, hanno deciso che il 2001 sarà l'anno
dedicato ad affrontare insieme, una volta per tutte, quel cocktail esplosivo rappresentato
dall'immigrazione islamica. E proprio Bologna è la sede deputata al convegno.
Un'ondata migratoria quella islamica, piuttosto recente, che per la prima volta nella
storia ha condotto i seguaci di Maometto in Stati laici, moderni, complessi. Un'ondata
priva di tradizioni e regole. Che trova gli Stati impreparati di fronte
all'"altro", al "diverso". Un'assenza delle istituzioni che alimenta
spesso razzismo, xenofobia e nuove crociate. Non solo quelle di buona parte delle
gerarchie cattoliche nei confronti degli immigrati musulmani, ma anche quella ultima di
Umberto Bossi contro gli omosessuali in difesa della cosiddetta «famiglia naturale» e i
«banchieri».
I seguaci di Maometto sono 22 milioni in Europa. Una cifra che comunque fa paura:
l'irruzione dell'"altro" si porta dietro non solo curiosità ma anche
preoccupazioni, timori, incertezze e contraddittorie chiavi di interpretazione. C'è la
visione di un islam che si allarga e che va avanti come uno schiacciasassi senza curarsi
troppo di chi deve calpestare. Che ritiene di essere nel giusto, l'eletto detentore del
messaggio che purifica un mondo corrotto. Quell'islam che dal Marocco al Pakistan ai
Caraibi continua a fare proseliti. Una bomba umana di un miliardo e duecento milioni di
persone, variegata, sconosciuta. Che adesso mette radici anche da noi.
C'è poi l'islam catapultato nelle nostre case dai fatti di cronaca che certo non aiutano:
quello fanatico dei talebani in Afghanistan e quello che impone il chador alle donne in
Iran e in Arabia Saudita. C'è l'islam dei massacri in Algeria, quello del terrorista
saudita Bin Laden che semina morte. C'è poi quello del Sudan che, proprio poche
settimane, fa ha deciso di rintanare in casa le donne, licenziandole dagli uffici
pubblici. O che schiavizza i bambini cristiani del Sud.
E, infine, l'islam arrivato in Italia insieme agli immigrati musulmani, chiuso nelle loro
valigie. Diventato la seconda religione, come nel resto dell'occidente europeo, e negli
ultimi dieci anni resosi più visibile con le sue regole che imbarazzano e spaventano. La
presenza non si manifesta solo con moschee vere e proprie con minareti e mezza luna (ne
esistono solo tre: a Roma, Milano e Catania), ma con una miriade di luoghi di culto: 100
ufficiali, oltre 200 non dichiarati, spesso ricavati in appartamenti, magazzini,
scantinati, garage. Il loro numero è in costante aumento per appagare il bisogno di una
comunità che cresce al ritmo di 3,8 figli per donna contro una media italiana dell'1,2. E
che, in base a proiezioni recenti, entro una decina di anni sarà il 15/18 per cento della
nostra popolazione.
Le moschee non sono solo luoghi di preghiera, ma anche di insegnamento coranico, centro di
attività di assistenza sociale e politica. In questi luoghi, in gran parte controllati da
esponenti affiliati all'organizzazione integralista dei Fratelli musulmani, è stata presa
la decisione da almeno una decina di anni di rendere "visibile" l'islam. Come?
Con stili di vita da contrapporre ai modelli della cultura ospitante considerata empia: il
velo alle donne per distinguersi dalle italiane "impure", la barba e la stessa
gallabiya (la lunga veste bianca) indossata dagli uomini, a imitazione del Profeta.
L'islam vissuto di nascosto era accettato, quello visibile con le sue tradizioni, le sue
leggi comincia invece a inquietare. Come, ad esempio, la poligamia che in molti paesi di
origine degli immigrati è stata abolita e in altri è in via di estinzione. Ma in Italia
vogliono applicarla. Come? Al di là delle affermazioni di rito di rispetto per la legge
italiana, si sta diffondendo negli ambienti più tradizionalisti, una "poligamia di
fatto". Matrimoni religiosi tra musulmani già coniugati civilmente e convertite
italiane vengono celebrati nelle moschee. Coloro che si sposano civilmente in un comune
italiano e successivamente contraggono matrimonio secondo il rito islamico «non sono
poligami, semmai adulteri e perciò giuridicamente non punibili», sostiene Mohamed Nour
Dachan, siriano naturalizzato italiano, fondatore e presidente dell'Ucoii (Unione delle
comunità islamiche in Italia), l'organizzazione che più di ogni altra propaganda il
verbo dei Fratelli musulmani. «Con 300 luoghi di culto e 70 centri l'Ucoii rappresenta
l'85 per cento dei musulmani nella penisola», dice Dachan.
Altro problema che insieme alla poligamia preoccupa i vertici cattolici e non solo è
quello legato ai figli, nati da matrimoni misti. Nella religione di Maometto, in caso di
divorzio o ripudio, i figli vengono affidati al padre e alla sua famiglia. Una legge in
contrasto con quella italiana e che crea spesso forti incomprensioni. Come ha dimostrato
il caso ultimo di Erica, la bambina rifugiatasi nell'ambasciata italiana in Kuwait per
evitare di vivere col padre in Egitto. Il caso si è risolto dopo sette mesi di estenuanti
azioni diplomatiche e legali.
A rappresentare i fedeli musulmani c'è anche il Centro islamico culturale d'Italia,
l'organismo cui appartiene la Moschea di Roma, gestito da un consiglio composto da
ambasciatori dei paesi islamici. Sostenuto politicamente e economicamente dall'Arabia
Saudita attraverso la Lega del mondo islamico, con la quale esiste una tacita alleanza con
i Fratelli musulmani. A dirigere la sezione italiana è un convertito italiano, l'ex
ambasciatore Mario Scialoja.
Sono circa 70 mila i convertiti italiani. Sono loro ad occupare lo spazio della produzione
intellettuale con case editrici islamiche. Sono definiti "imprenditori della
visibilità dell'Islam", e giocano un ruolo per la conquista dello spazio pubblico
italiano di cui conoscono perfettamente i codici di accesso. Sono state, per esempio, le
donne convertite ad ottenere la foto con il velo in testa sui documenti di riconoscimento,
adducendo che alle suore è permesso. Contro i convertiti si scaglia però Mahmud Salem El
Sheikh, egiziano naturalizzato italiano, dirigente del Cnr e membro della commissione
della presidenza del Consiglio per la politica dell'immigrazione. «Provengono soprattutto
dall'estrema sinistra o estrema destra. Cercano di strumentalizzare l'islam in base al
loro bagaglio e alle loro frustrazioni politiche. La loro idea di chiedere assistenza
religiosa nelle carceri per i detenuti musulmani o negli ospedali, consuetudini
inesistenti nei paesi islamici, significa cristianizzare l'islam».
Sono solo alcuni degli esempi che dividono la comunità eternamente litigiosa. E sono
queste divisioni e la difficile individuazione di un interlocutore a fornire l'alibi ai
politici italiani per rimandare quell'intesa, sulla base di quelle stipulate con le altre
rappresentanze di comunità religiose, che da tempo i musulmani chiedono. Il problema non
è solo italiano. In Europa solo due paesi hanno firmato un accordo: la Spagna e il
Belgio. Quest'ultimo, di fronte alle perenni divisioni dei musulmani, ha imposto
l'elezione di rappresentanti in seno a un Consiglio, divenuto poi l'interlocutore
ufficiale dello Stato belga per tutte le questioni riguardanti la religione islamica.
Potrebbe essere una via.
(28.09.2000)