Domande&Commenti:
Arianna
Betti
Vienna, Europa!
- 0. Il ragno di Bacone
-
- L'immagine che per molto tempo la critica
è andata restituendo del Circolo
di Vienna e dei suoi esponenti consiste di un complesso dogmatico
di affermazioni indistinte e decontestualizzate sulla filosofia
proposta dai viennesi, come se Carnap o Neurath o Schlick, per
citare alcuni importanti esponenti del Circolo, non fossero che
nomi alternativi per indicare il Circolo stesso. E come se il
Circolo si fosse autogenerato, e si nutrisse davvero di null'altro
che di "vino nuovo in botti nuove", secondo il provocatorio
motto di Philip Frank, così da trarre la tela dalla sua
sostanza cerebrale come un ragno baconiano. Questa visione è
ormai stata superata a favore di una lettura che metta in chiara
luce le caratteristiche individuali dei suoi esponenti e il contesto
in cui il Circolo di Vienna operò. La lettura "contestuale",
pur essendo un passo avanti rispetto alla precedente, è
risultata a sua volta a tratti eccessiva, bisognosa di precisazioni
e distinguo, tuttavia qui non sarà possibile presentare
una discussione di quest'ultimo punto adeguata al dibattito contemporaneo,
per diverse ragioni. In linea con la tendenza "contestuale"
bisognerà fare un passo indietro, e risalire prima alle
origini di quella che è detta nella letteratura specializzata
filosofia austriaca, o più propriamente e meno
comodamente filosofia analitica continentale. E questa
si puo` far iniziare nel 1837 con la pubblicazione della Wissenschaftslehre
del filosofo boemo Bernard Bolzano e finire nel 1939, con lo
scoppio della guerra in Polonia. I pensatori che ne fanno parte
sono innegabilmente "continentali" per nascita, ma
non per questo privi della chiarezza e del rigore che ne connota
l'incontestabile orientamento analitico. Questa tradizione è
lo sfondo generale importante per capire Carnap e il Circolo
di Vienna. Ne fanno parte austriaci, boemi, moravi, tedeschi,
svizzeri, polacchi e ungheresi: Bolzano, Lotze, Frege, Brentano
e i brentaniani (Husserl, Meinong, Marty, Stumpf etc.), infine
la scuola polacca di Leopoli-Varsavia fondata da un altro brentaniano,
Kazimierz Twardowski.
-
- i. Nomi e domande I: Filosofia Analitica/Filosofia
Continentale
Cosa intendi dire con i tuoi
asserti?
H. Hahn, R. Carnap, O. Neurath,
La concezione scientifica del mondo, tr. it., p. 76
Prendiamo la tabella qui sotto.
- [1]
- Fichte
- Schelling
- Schopenhauer
- Hegel
- Stirner
- Nietzsche
- Bergson
- Heidegger
- Adorno
- Horkheimer
- Derrida
- Deleuze
- Foucault
- Sartre
|
- [2]
- Bolzano
- Brentano
- Mach
- Marty
- Meinong
- Twardowski
|
- Neurath
- Popper
- Schlick
- Wittgenstein
- Carnap
|
- Russell
- Quine
- Davidson
- Putnam
- Kripke
|
- Supponiamo di mostrare il riquadro [1] e
soltanto il riquadro bianco di [2] a un gruppo di persone
con cultura filosofica media, ossia non necessariamente esperti
del pensiero di qualcuno dei nomi citati, e di chiedere loro
quale sia il criterio per cui questi siano stati così
ripartiti. Probabilmente non otterremo risposte molto definite.
Se aggiungiamo il riquadro marrone, forse già andrà
meglio; ma avremo probabilmente la risposta, del tutto in linea
con la vulgata dei manuali e delle caratterizzazioni spicciole,
che i primi sono filosofi continentali e i secondi filosofi
analitici quando avremo mostratto anche il riquadro blu.
I filosofi delle due liste propongono concezioni metafilosofiche
diverse; hanno radici diverse; linguaggi diversi; nemici diversi;
temi diversi; interessi diversi. Hanno anche avuto fortuna molto
diversa (nel senso latino).Quando qui parliamo di "filosofia
analitica continentale" (vedi sopra),però, non intendiamo
ossimoricamente sia l'una che l'altra tradizione, o una fascia
di pensatori che siano caratterizzati dall'una e dell'altra etichetta.
Infatti l'opposizione tra filosofia analitica e filosofia cosiddetta
"continentale" esiste, ed è radicale, ma la
terminologia è davvero mal scelta, dato che i termini
sono pensati per esprimere due indirizzi e atteggiamenti filosofici
drammaticamente diversi. Pare dunque quantomeno curioso che a
uno stile filosofico, quello analitico, si opponga una
connotazione geografica, "filosofia continentale".
Nell'ambito del panorama filosofico del Novecento, per "filosofia
analitica" si intende - con buona approssimazione - un atteggiamento
che tende a sottoporre i problemi filosofici alla preliminare
analisi del linguaggio in cui questi problemi vengono
posti. Ne è caratteristica saliente la chiarezza espositiva
e il rigore argomentativo, oltre a una spiccata attenzione e
apprezzamento per il lavoro degli scienziati, e ciò spiega
perché il ragionamento deduttivo, e, da un certo punto
in poi, la logica formale in particolare, siano stati considerata
tra gli studiosi di quest'orientamento uno strumento indispensabile
per l'analisi filosofica. Con "filosofia continentale",
che Barry Smith ha definito "peculiare creatura dell'Università
nordamericana", non solo non ci si riferisce, malgrado le
apparenze, alla filosofia fatta da Lisbona a Calcutta, Canton
o Phuket, che certo si trovano nel continente più di Oxford,
ma non ci riferisce neanche alla filosofia europea nel suo complesso.
Si intende invece una molto limitata parte di essa, francese
e tedesca, e magari relative appendici italiane, che coincide
con uno stile filosofico piuttosto specifico, oracolare,
del tutto opposto alla chiarezza che gli analitici tendono a
perseguire, che, limitatamente ai contemporanei, ha Heidegger
come suo modello e ispiratore, e che è contraddistinto,
al contrario, da una spiccata antipatia per la scienza e i suoi
metodi.
Ora, il privilegio dato in ambito analitico angloamericano alla
propria tradizione filosofica e il disinteresse (e conseguente
larga nonché programmatica ignoranza della) per la storia
della filosofia spiega l'uso di questa terminologia bizzarra:
tutto ciò che non è Gran Bretagna e USA è
"continentale", dominato da idealismo tedesco, heideggerismo
e esistenzialismo. Ha provocato, inoltre, il mancato sfruttamento
di indagini e soluzioni di gran lunga precedenti a molte delle
attuali speculazioni, e il cui contributo allo sviluppo del dibattito
è davvero essenziale. Così in tempi di annunciata
(da decenni) fine della filosofia analitica, da tempo è
ancora il ravvicinamento all'heideggerismo che viene auspicato,
e non già lo studio delle proprie origini, che si collocano,
a veder bene, proprio nel Vecchio Continente, accanto e in opposizione
a tendenze "continentali" certo ben presenti. Questo
atteggiamento astorico ha portato dunque alla fioritura di indirizzi
di ricerca che ambiscono a fondere le due - inconciliabili -
tradizioni: spesso si tratta semplicemente di lavori che identificano
la filosofia analitica come quella un gruppo molto ristretto
di autori , limitato cioè ai nomi del nostri riquadri
marrone e blu, e addirittura a volte solo a quest'ultimo, o semplicemente
di trattazioni che fanno un uso impreciso e vago dei termini
della questione.[1]
-
- ii. Nomi e domande II: Filosofia Austriaca.
Dall' Austria Felix alla Finis Austriae. Stazione
di Vienna Sud
-
- In riferimento a un certa tradizione analitica
europea post-kantiana da un certo di tempo si parla dunque di
filosofia austriaca, grazie ad alcuni pioneristici studi
di Rudolf Haller, in relazione alla quale la filosofia nata,
fatta e diffusa a e da Vienna è considerata un evidente
sottosettore. Ma l'oggetto che con il termine "Filosofia
austriaca" si vuole denotare, in realtà, ha caratteristiche
non immediatamente evidenti. Vediamo dunque di individuarlo meglio.
Carnap arriva a Vienna, come vedremo, dopo il 1920, per cui la
sua Austria era già la nostra. A noi interessa, però,
quel che accadeva prima, quando l'Austria aveva una forma assai
diversa, ai tempi dell'Impero Austro-Ungarico. Supponiamo che
la filosofia nata, fatta e diffusa nelle istituzioni dell'Impero
Austro-Ungarico dal 1837 al 1939 sia un oggetto sufficientemente
unitario, e conveniamo per ora di chiamare con "filosofia
austriaca" quest'oggetto.
-
- Friedrich
Stadler fa cominciare il suo panorama
sulla filosofia austriaca, del tutto a ragione, con il teologo,
filosofo, matematico, "educatore popolare" boemo, di
idee liberali - era considerato un proto-socialista - Bernard
Bolzano, l'anti-Kant (dal titolo di un importante
libro di Melchior Palágyi), la cui monumentale Wissenschaftslehre
viene pubblicata nel 1837. Le sue idee si ripercossero tramite
i suoi allievi, in particolare Robert Zimmermann, nella vita
culturale austriaca, nella riforma scolastica, con la ricezione
indiretta attraverso Gottlob Frege, Kazimierz
Twardowski (e Edmund Husserl,
si può aggiungere). Tra parentesi, Hans Hahn, il matematico
del Circolo di Vienna, lesse i "Paradossi dell'infinito"
(come Russell, tra l'altro) e fece l'edizione nel 1913 insieme
a Alois Höfler di alcuni scritti bolzaniani, e anche Walter
Dubislav a Berlino agì come diffusore delle idee bolzaniane.
Stadler sostiene però, con largo appoggio
di critica, del resto, che il vero mentore della filosofia scientifica
austriaca fu però Franz
Brentano. Nonostante Bolzano fosse stato una mente filosofica
di grande e ancora sottovalutato peso, che pure - si pensi al
suo allievo prediletto Robert Zimmermann - ebbe anche una specie
di "scuola" e una rilevantissima influenza indiretta,
anche grazie a Zimmermann, autore di una "Propedeutica Filosofica"
(1860) di grande successo, su tutta la tradizione austriaca,
la sua attività, di fatto, non fu paragonabile come influenza
diretta a quella di Brentano. Quest'ultimo fu il fondatore
di una filosofia empirica su una base di tipo oggettivistico-fenomenologico
(Stadler), opposto a Kant e all'idealismo tedesco. Brentano fu,
dando grande rilievo alle idee di David Hume e John Stuart Mill.
l'iniziatore di quello che Peter
Simons chiama "l'asse analitico austrobritannico"
- largamente estraneo a Bolzano. Nella scuola i temi chiave furono
l'intenzionalità, il concetto di (verità come)
evidenza, la critica della lingua, la metafisica analitica. Giustamente
famosa è rimasta una delle tesi centrali dell'abilitazione
brentaniana "il vero metodo della filosofia non è
altro che quello delle scienze naturali". Queste posizioni
furono diffuse dai suoi allievi, che in particolare si dedicarono
(o diedero i natali) alla fenomenologia (Husserl, poi migrato
verso altri più oscuri lidi) alla psicologia della Gestalt
(o "della forma") (Christian
von Ehrenfels (che poi creò la Scuola di Berlino,
di cui fecero parte Wolfgang Köhler, Max Wertheimer e Kurt
Koffka), all'analisi del linguaggio (Anton
Marty) e alla metafisica analitica (Alexius
Meinong, Twardowski). Molto interessante è anche prendere
in considerazione la generazione degli allievi di Twardowski,
ossia la Scuola di Leopoli-Varsavia
(Jan Lukasiewicz, Stanislaw Lesniewski, Kazimierz Ajdukiewicz,
Tadeusz Kotarbinski,
la generazione successiva di Alfred
Tarski) che qualcuno è tentato di descrivere come
la terza e quarta generazione di brentaniani. Ripercussioni di
quest'ultima si fecero sentire su Roman
Ingarden (da alcuni non inserito nella Scuola) e sul Circolo di Cracovia (Jozef
Bochenski, Jan Salamucha). Per motivi clerico-politici simili
a quelli che costarono a Bolzano la cattedra, Brentano lasciò
l'incarico di Vienna nel 1895. In qualche modo il vuoto a Vienna
fu riempito da un'altra figura centrale, il fisico-filosofo Ernst Mach. Dopo aver insegnato
a Graz e Praga, tornò di nuovo a Vienna dal 1895 sulla
cattedra di "Filosofia, in particolare storia e teoria delle
scienze induttive" creata apposta per lui. Il suo tentativo
di una fondazione storico-sociale ed evoluzionista della scienza
era in stretto legame con la sua attività politica sulla
scia dell'illuminismo inglese e francese. Mach propagandava un'immagine
del mondo monistica, aspirando alla sostituzione del materialismo
meccanicista in un'unità di fisica, fisiologia e psicologia.
Le sue idee ebbero effetti considerevoli, in bene e male, sulla
filosofia, le scienze naturali, la politica e l'arte: la sua
visione della scienza e della conoscenza, cui parte integrante
facevano, tra l'altro, il famoso principio di economia e
il metodo storico-critico, rese attuale una concezione scientifica
del mondo interdisciplinare caratterizzata anche dall'aspirazione
all'umanizzazione e la democratizzazione della scienza e della
società. Indipendentemente dall'aspetto specifico del
fenomenismo di Mach - per inciso così come la scuola
brentaniana fu indipendente da alcune posizioni del maestro -
questi furono anche gli elementi comuni
agli autori del Circolo di Vienna, il cui "organo di popolarizzazione"
(1929-1934) si chiamò proprio "Società Ernst
Mach". Dopo il 1902 e fino al 1906 il suo posto fu preso
da Ludwig Boltzmann.
Dopo il 1907 il fisico Philipp
Frank, il sociologo ed economista Otto
Neurath, Hans Hahn e Richard von Mises formarono
un circolo di discussione, un "proto-circolo di Vienna",
legato a Mach, sulla scientificità della filosofia, in
particolare riguardo a una sintesi di empirismo e convenzionalismo.
In particolare Frank e von Mises erano interessati all'impiego
della nuova logica di Frege e Bertrand
Russell. Neurath fu l'ispiratore di tendenze olistiche, come
si ritroveranno poi in Quine (in connessione con l'opera di P.
Duhem). Risale al 1922 l'evento, decisivo per la formazione del
Circolo di Vienna, dell'avvicendarsi
sulla cattedra di Mach e Boltzmann a Moritz
Schlick. Con "Circolo di Vienna" (Wiener Kreis)
si intende il gruppo di studiosi costituitosi intorno a Schlick
e al seminario che egli teneva, a partire dal 1923. Il circolo
cominciò nel 1925 a riunirsi il giovedì sera, continuando
così la tradizione di Hahn, Frank e Neurath. Nel 1926
si aggiunge Carnap, invitato da Schlick come assistente. Con
il manifesto La
concezione scientifica del mondo , a firma di Neurath,
Carnap, e Hahn, il Circolo di Vienna si presentava
al pubblico nel 1929. Il circolo di Vienna ebbe quattro fasi.
1. Il circolo del 1907-1914; 2. (1918-1924) in cui Hans Hahn,
che Frank considerava il vero fondatore, giocò un ruolo
significativo; 3. (1924-1928) fase non pubblica, caratterizzata
dal contatto con Ludwig
Wittgenstein; il Tractatus logico-philosophicus era
letto attentamente durante le sedute; 4. fondazione della Società
"Erst Mach" e fase pubblica: "manifesto"
e partecipazione al primo convegno sulla teoria della conoscenza
e le scienze esatte di Praga. Questa è la fase dei contatti
frequenti con Karl R. Popper.
Facevano parte del circolo - oltre ai filosofi già citati
- Herbert Feigl, Friedrich Waismann, Béla Juhos, Heinrich
Neider, Josef Schächter, Edgar Zilsel, Felix Kaufmann, Karl
Menger, il grande logico Kurt
Gödel, Gustav Bergmann, Heinrich Löwy, Theodor
Radakovic, e la generazione più giovane di Walter Hollitscher,
Rose Rand, Marcel Natkin, Josef Frank.
- Nel 1930 Reichenbach e Carnap fondano
Erkenntnis, la rivista ufficiale del movimento, che si
pubblica ancor oggi. A questi anni risale il contatto con i polacchi
di Varsavia Tarski, Lesniewski, Ajdukiewicz e Kotarbinski.
- Gli anni 1933/34 segnano l'inizio dell'ondata
emigratoria in USA, Irlanda, Gran Bretagna; l'omicidio di Schlick
nel 1936, a suggello della fine del Circolo di Vienna, è
seguito in Polonia dalla morte di Twardowski (1938) e Lesniewski
(1939), e dalle uccisioni di Mordechaj
Wajsberg e Adolf Lindenbaum,
tra gli altri, ad opera del regime nazista. Scegliamo il 1939,
l'anno dell'invasione della Polonia da parte di Germania e Russia
come fine di questa tradizione.
-
- iii. Criteri e definizioni
-
- Torniamo alle nostre liste di nomi. Tutti
i filosofi della lista analitica contenuti nei riquadri bianco
e marrone sono pensatori analitici austriaci nel senso
descritto sopra. Per lunghi anni altri filosofi analitici questo
non lo hanno saputo loro stessi, e spesso non si fa attenzione
a quanto Quine, Russell etc. devono a quei loro "precursori".
Un piccolo libro, Alle origini della filosofia analitica,
scritto da un autorevole studioso del filosofo e logico Gottlob
Frege, Michael Dummett,
ha contribuito a mettere in luce come in una certa tradizione
dell'Europa continentale andavano ricercate le radici della filosofia
analitica, cosa del resto da molto tempo nota a chi di queste
radici si era sempre occupato. Sono i secondi, gli austriaci,
che hanno influito - come è evidente - sulla filosofia
anglo-americana. Nessuna meraviglia: di fatto per ragioni politiche
o razziali gli esponenti austriaci che sopravvissero si videro
costretti a lasciare l'Europa (Carnap, Tarski). Ma la tradizione
della "filosofia analitica continentale", o "filosofia
austriaca", ad esempio, come si caratterizza esattamente,
ma, soprattutto, esiste davvero come fenomeno unitario? La tesi
dell'esistenza di una filosofia austriaca con caratteri unitari
è un passo in avanti rispetto all'immagine stereotipata
del Circolo di Vienna e dintorni, abbiamo visto. Noi vogliamo
ora guardare da vicino questi caratteri unitari, e vedere che
tipo di criterio è applicabile, e, in relazione, a questo,
se la "filosofia austriaca" esiste. Per quanto non
si voglia sostenere che il solo fatto di essere nati a Vienna,
Graz e Innsbruck, Praga, Cracovia o Leopoli sia bastato a fare
di Gödel o Meinong quello che sono stati, non sembra del
tutto folle sostenere che qui un elemento storico-geografico
sia rilevante. Esso si basa su una considerazione di tipo politico-sociale,
che è alla base della cosiddetta "tesi Neurath-Haller"
: l'Austria ha avuto tradizioni liberali e illuministe tali da
consentire lo sviluppo di istituzioni che permettessero l'impiantarsi
di questo tipo di filosofia. Tuttavia sembra approrpiato chiedersi
che senso abbia inserire Carnap, tedesco di nascita e formazione
in questa tradizione. Approfondiamo la questione e aggiungiamo
altre osservazioni. Se noi dovessimo riassumere le caratteristiche
delle opere degli esponenti della "filosofia austriaca",
otteniamo il seguente (molto rozzo) riassunto:
-
- 1. Metafilosofia:Minimalismo filosofico e conseguente pluralismo
- 2. Radici e fonti ispiratrici:
filosofia empirista britannica
- 3. Mezzo: linguaggio logico
ideale
- 4. Nemici: relativismo e storicismo
- 5. Temi: a priori, verità,
interrelazioni fra i macrofenomeni (scienze sociali, etica) e
i microfenomeni, o le esperienza mentali
- 6. Atteggiamenti: Ontologismo
e mereologia, riduzionismo
-
- Non tutti gli autori austriaci hanno
1-6 in comune, o hanno mantenuto ferme le loro posizioni. Si
noti che, ad esempio, l'elemente di maggior varietà in
questa tradizione è la differenziazione delle Weltanschauungen
individuali - ovvero orientamenti di visione globale del
mondo e della realtà. Questo, però, deriva da 1.,
ossia dal carattere fondamentale del minimalismo filosofico
che li contraddistingue. Un altro elemento di differenziazione
è l'atteggiamento verso la metafisica; un altro
ancora la diversa valutazione del kantismo; un altro ancora
è l'interesse vivo o scarso per i risultati di alcune
scienze empiriche come la fisica. E' vero anche che altri
autori pur non essendo per niente "austriaci" hanno
avuto tutto questo in comune, specialmente se si guarda al mondo
britannico di Russell e Moore. E' vero anche che il Circolo di
Vienna ha caratteristiche molto diverse dalla scuola di Brentano,
e che la tradizione brentaniana fu molto meglio conservata in
Polonia che trasmessa direttamente ai Neurath&Co.. La tesi
che Brentano fu il vero padre della filosofia austriaca è
fortemente sostenuta da Barry
Smith, che la propone come rinforzo, ma forse sarebbe meglio
dire "focalizzazione", alla cosiddetta "tesi Neurath-Haller".
Smith si ispira a un dualismo Austria/Germania, secondo la quale,
a grandi linee, l'Austria rappresentò un luogo filosofico
analitico e la Germania uno continentale; e propone una definizione
in negativo come rovescio delle tendenze unificatrici, livellanti
e nazionaliste imperanti nella vicina Germania e ispirate all'idealismo.
iv. Risposte
Da una parte, la tradizione analitica da Bolzano
a Popper di cui sopra ha sufficienti caratteristiche per essere
considerata unitaria, ma sempre e solo in un 'accezione molto
debole. Una possibile formulazione potrebbe essere: filosofia
nata, fatta, diffusa o sviluppata in connessione con alcune specifiche
attività di ricerca dalla spiccata connotazione analitica,
originatesi nelle istituzioni dell'Impero Austro-Ungarico dal
1837 fino all'invasione russa e nazista della Polonia (1939),
i cui tratti distintivi siano
-
- l'attenzione
per gli usi e gli abusi del linguaggio,
- l'aspirazione
alla chiarezza concettuale e espositiva legata alla convinzione
che il linguaggio filosofico debba essere un mezzo, non già
un mezzo che si faccia contenuto iniziatico,
- il
rispetto per il lavoro e il metodo degli scienziati.
-
- La definizione qui proposta riesce a catturare,
mi sembra, Bolzano, Brentano e i brentaniani, il Circolo di Vienna,
la Scuola di Leopoli-Varsavia, Wittgenstein, Reichenbach e il
circolo di Berlino, e qualche caso isolato con rapporti sufficientemente
stretti con qualcuno di questi - tra parentesi esclude sicuramente
Frege, troppo isolato, conosciuto relativamente tardi via Russell[2], e i britannici. D'altro canto, però,
questa tradizione presenta anche bastanti aspetti per essere
considerate suddivisa almeno in 4-5 unità: Bolzano, Brentano
e le generazioni di brentaniani, la Scuola di Leopoli-Varsavia,
il Circolo di Vienna e outsider isolati come Wittgenstein. Questo
è il motivo per cui - malgrado così non sembri
- l'accordo della critica su per cosa "filosofia austriaca"
sia un nome, sembra poco più che apparente. Si concorda
davvero solo sul fatto che Brentano e i brentaniani siano sussunti
sotto il termine. Si sceglie di usare "filosofia austriaca"
per tutta la tradizione, o lasciare che "filosofia austriaca"
includa giusto Brentano e la sua scuola, ed escludere tutto il
resto; includere o meno il Circolo di Vienna e Wittgenstein;
escludere il Circolo di Vienna e Wittgenstein, includere Bolzano
e la Scuola di Leopoli-Varsavia, per cui è felicemente
utilizzabile l'etichetta "filosofia austro-polacca"
o filosofia mitteleuropea", il che è in ultimo la
proposta qui avanzata (Bolzano, i Brentaniani e la Scuola
di Leopoli-Varsavia formano un complesso unitario, per cui vogliamo
usare il nome di "filosofia mitteleuropea", caratterizzato
dall'interesse ontologico semantico e da una spiccata '"ossessione
per la verità" ). Possiamo infine includere gli
outsider, come i berlinesi, Lotze e Frege e parlare di "filosofia
analitica continentale". Se infine vogliamo allargare ancora
il campo, includere Russell, Moore, Ramsey e i britannici, e
non ultimo anche gli scandinavi, dovremmo parlare infine di "filosofia
analitica europea".
-
- Riassumendo, certamente il Circolo di Vienna
non fu un ragno baconiano - tutt'altro! - e si impiantò
grazie a una tradizione con cui ha elementi comuni, ma ebbe sviluppi
propri che si debbono far risalire soprattutto a Mach e altre
influenze. Il "contesto", inoltre, andrebbe forse ricercato
con maggiore convinzione nelle condizioni socio-politiche della
Vienna del tempo. Non bisogna certo dimenticare che l'Europa
di Neurath era stata sconvolta dalla Prima Guerra Mondiale e
l'Austria - in cui i circolisti erano intellettuali di fronda
- un paese che avrebbe pochi anni dopo aderito entusiasticamente
al Reich hitleriano, lontanissima ormai dalla Vienna fin de
siècle di Brentano e Twardowski. L'influenza filosofica
di Bolzano e dei brentaniani fu forse poco più che indiretta;
molti tipici orientamenti brentaniani, rispetto per la metafisica
scientifica in primis - benché completamente alternativi
e radicalmente diversi rispetto a quelli dei cosiddetti "continentali"
- sarebbero stati molto humeanamente condannati alle fiamme dell'inferno
dai circolisti viennesi.
Note
- [1] L'opposizione in
questione ha avuto anche l'attenzione di un dibattito (in gran
parte italiano) sul Sole 24 ore (luglio `97) in cui un
certo spazio è stato dedicato ai nuovi indirizzi di pensiero
che tendono a conciliare i due schieramenti. Non a caso, perché
riviste e studi che hanno per obiettivo il confronto fra i due
indirizzi sembrano spuntare a un ritmo ben sostenuto. Ancora
più di recente, nell'ultimo numero della Rivista di
Filosofia, Massimo Ferrari
pubblica una recensione all'ultimo libro di Friedrich
Stadler, che si conclude abbastanza singolarmente con un'esortazione
a tener conto dei risultati della ricerca che tende a mettere
in risalto i debiti di Carnap e dell'empirismo logico con la
"filosofia continentale". Ferrari cita l'introduzione
di Sergio Cremaschi "L'isola che non c'è: l'arcipelago
analitico e le filosofie continentali" a un volume a cura
di quest'ultimo, Filosofia analitica e filosofia continentale,
Firenze, La Nuova Italia, 1997, in cui si arriva a prendere
come il dialogo tra Russell e Brentano come fuorviante esempio
di dialogo tra analitici e continentali.
- [2] Per inciso Russell,
figura di riferimento all'interno del Circolo di Vienna, era
venuto a contatto con Brentano e Meinong subito dopo il suo rifiuto
- in tandem con Moore - dell'idealismo e la rivolta contro Bradley
e McTaggart, e grazie anche a G. F. Stout.
- © Arianna Betti, ultima revisione gennaio
2000
-
- continua