Leopoldo
II del Belgio,
ovvero
l'orrore in Congo
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L’OLOCAUSTO
DIMENTICATO
Uno dei
peggiori esempi nella storia del colonialismo,
opera di
un re megalomane
[A
sinistra: disegno del 1906 apparso sulla rivista satirica londinese "Punch"
con il titolo "Negli annali del caucciù"]
La storia della
colonizzazione del Congo è un esempio inquietante della “politica
dell’oblio”. In agosto 1908, per otto giorni consecutivi, Leopoldo II bruciò
la maggior parte degli archivi della sua colonia personale, prima di assegnarla
ufficialmente al Belgio. “Regalerò ai belgi il mio Congo, ma non
avranno diritto a sapere ciò che vi ho fatto”, disse. E oltre agli
archivi ridotti in cenere, ridusse drasticamente al silenzio i testimoni
diretti. Fu così che una parte importante della storia della dominazione
di Leopoldo II sul Congo e di coloro che vi si opposero è “sparita”
dalla memoria degli europei, più rapidamente e più completamente
del ricordo degli altri stermini di massa che hanno accompagnato la colonizzazione
dell’Africa. Non si trova alcun cenno del regime predatorio e brutale instaurato
da Leopoldo II nelle terre del bacino del Congo nelle enciclopedie né
negli atlanti storici pubblicati nel Novecento.
Tra il 1880
e il 1910 il massacro perpetrato da Leopoldo II in Congo fu sanguinosissimo,
con milioni di vittime che hanno tragicamente pagato a carissimo prezzo
la dominazione coloniale: gli abitanti del Congo su ridussero a circa 10milioni
rispetto a una popolazione stimata, prima del 1880, a 20-25milioni di persone.
Queste le cause che hanno concorso a dare una tale ampiezza alle perdite
umane:
-
l’assassinio:
l’elenco dei massacri conosciuti e documentati è interminabile;
-
la carestia, lo
spossamento, l’esposizione agli agenti atmosferici;
-
milioni di donne,
bambini, anziani morirono dopo essere stati presi in ostaggio;
-
le malattie (in
particolare il vaiolo e la malattia del sonno, che ha causato 500mila morti
soltanto nel 1907);
-
la caduta del
tasso di natalità (un missionario giunto in Congo nel 1910 fu stupito
dall’assenza quasi totale di bambini tra i 7 e i 14 anni – nati cioè
tra il 1896 e il 1903, periodo durante il quale fu al suo apice la campagna
di produzione del caucciù).
Nel 1919 una commissione
ufficiale belga concluse che nell’epoca in cui Stanley aveva iniziato a
mettere le basi dello Stato di Leopoldo II, la popolazione del territorio
si era ridotta della metà. La stessa stima è di Jan Vansina,
dell’Università del Wisconsin, il maggiore etnologo attualmente
specializzato nello studio dei popoli del bacino del Congo: per quest’ultimo
la popolazione del Congo si è ridotta, tra il 1880 e il 1920, almeno
alla metà.
Fu in particolare
un nero americano, veterano della guerra di Secessione, George Washington
Williams, a “scoprire” l’entità del martirio inflitto ai congolesi,
grazie a numerose testimonianze. Williams partì per il Congo nel
1890 e scoprì quella che chiamerà “la Siberia del continente
africano”, una terra in cui il lavoro forzato e le punizioni corporali
erano all’ordine del giorno. Scrisse una lettera aperta a Leopoldo II in
cui manifestava “disincanto” e ”assoluta demoralizzazione”: denunciò
tra l’altro il ruolo di Stanley, un vero e proprio tiranno. Rilevò
che l’installazione di basi militari lungo il fiume Congo aveva provocato
una crudele ondata di morti e distruzioni. Inoltre, l’affermazione di Leopoldo
secondo cui il suo nuovo Stato aveva assicurato al Congo servizi pubblici
efficaci era un’impostura: non vi erano né scuole né ospedali,
ma solo qualche capanna "neppur degna di ospitare un cavallo". Williams
indirizzò poi un rapporto particolareggiato al presidente deli Stati
Uniti in cui denunciava l’evidenza: lo Stato indipendente del Congo era
teatro di feroci crimini contro l’umanità.
Tra
coloro che in seguito contribuirono a rompere il silenzio sulle condizioni
dei congolesi vi è poi Georges Edmond Morel (vedi foto a
destra), che espose alcune conclusioni : il Congo era sottomesso a un regime
implacabile di lavoro forzato dal quale il re e i suoi associati ricavavano
tutti i benefici. “Mi sono imbattuto in una società di assassini
capitanati da un re”, scrisse tra l’altro. Morel si congedò dal
proprio lavoro di agente di una compagnia marittima per dedicarsi interamente
alla ricerca e alla scrittura (libri, discorsi, articoli, pamphlets), determinato
a lottare contro “i nuovi negrieri” e a fare del suo meglio per rivelare
e distruggere quella che era un’infamia legalizzata, accompagnata da un’enorme
distruzione di vite umane.
Le denunce
di Morel incoraggiarono l’opposizione a Leopoldo II. I missionari, che
erano stati per lungo tempo testimoni impotenti, trovarono in lui un interlocutore
pronto a pubblicare le loro testimonianze. Essi sono all’origine di terribili
denunce: soldati che tagliano la mano di un uomo; massacri perpetrati per
aumentare la raccolta mensile del caucciù; villaggi incendiati,
ostaggi affamati.
Dopo l’azione
di Morel, le critiche a Leopoldo II si moltiplicarono: in particolare furono
molto efficaci e densi di testimonianze i rapporti e gli scritti dell'irlandese
Roger Casement e di William Sheppard, missionario in Congo (vedi
foto sopra). Recentemente, uno scrittore americano ha pubblicato uno studio,
tradotto in francese con il titolo Les Fantômes du roi Léopold.
Un holocauste oublié, in cui ricostruisce pazientemente gli
avvenimenti, puntando il dito accusatore sul sistema coloniale e sulle
tare di questa “macchina creata per la distruzione di popoli”. |