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Un crimine senza punizione:
la tratta degli schiavi

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Ogni mattina, quando mi sveglio,
ho il senso della morte in gola...ma, dopo aver
fatto alcuni esercizi fisici, apro le finestre
della mia camera da letto. Si affacciano sul mare e
in lontananza posso vedere l'isola di Gorée.
E quando penso ai milioni di miei fratelli neri
che lì furono imbarcati verso destini
di disgrazia e di morte, mi impongo di non
disperare. La loro storia stimola i miei giorni...

Léopold Sédar Senghor

Come accennato, sin dal secolo XV i Portoghesi cominciarono a praticare la tratta degli schiavi in Africa, sebbene su scala modesta, catturando prigionieri e conducendoli in Portogallo. Le scoperte e occupazioni di territori lungo tutta la costa africana, con la creazione di basi (inizialmente commerciali e di rifornimento e poi anche militari), aprirono vaste possibilità allo sviluppo del traffico schiavista. La scoperta dell’America e la creazione di piantagioni europee in quel continente determinarono una grande richiesta di «merce umana» africana. La tratta degli schiavi, da occasionale occupazione di mercanti d’oro e di spezie, di avventurieri e pirati, divenne il principale movente dell’azione coloniale in Africa, anzitutto del Portogallo e poi di altre potenze europee.


Schiavi catturati da mercanti arabi

 

Così, dal XV al XVI secolo si ebbe in Africa il passaggio dall’epoca «delle grandi scoperte» a quella del più brutale avvilimento dell’uomo che la storia mondiale abbia mai conosciuto, l’epoca di una caccia mostruosa condotta per tre secoli dagli agenti delle classi dominanti delle nazioni più sviluppate, «civilizzate» e «illuminate», contro i popoli neri arretrati e inermi; l’epoca dello sterminio di centinaia di migliaia di uomini che tentavano di opporre resistenza o che non riuscivano a sopravvivere alla deportazione e al lavoro forzato nelle piantagioni; l’epoca della riduzione di milioni di neri allo stato di bestie da soma.

Sin dall’inizio del secolo XVI la tratta degli schiavi divenne - e così rimase durante l’intera epoca dell’accumulazione capitalistica primitiva, cioè per tre secoli - il fattore essenziale e determinante di tutta la storia dell’Africa e dei suoi abitanti. Ciò vale non solo per i popoli africani che durante quel periodo furono in qualche modo, attivamente o passivamente, coinvolti nella tratta degli schiavi, ma anche per quei popoli e paesi che, pur essendo stati oggetto della penetrazione europea, per qualche motivo non subirono spedizioni schiaviste (per esempio i popoli dell’Africa del sud). E vale infine per i popoli dell’interno del continente che fino al termine del secolo XVIII non videro l’uomo bianco.

Le fasi storiche della tratta degli schiavi in Africa
La prima fase è quella delle razzie effettuate dai pirati. Mercanti avventurieri, navigatori o veri e propri pirati provenienti dall’Europa praticarono di propria iniziativa e a proprio rischio la caccia ai neri (sporadicamente ma in certi casi anche sistematicamente), senza che le autorità governative dei loro paesi se ne immischiassero o addirittura con il tacito consenso ufficiale. Sotto questa forma iniziò nel secolo XV la tratta degli schiavi e tale si mantenne durante tutta la sua prima fase di attuazione, cioè fino al 1580-90.

A partire dagli anni ‘80 del secolo XVI, con la comparsa di compagnie che monopolizzano il commerciò degli schiavi, comincia una seconda fase che vede l’apogeo della tratta. Da traffico semilegale e non ufficiale, questa diventa attività onorevole e ufficialmente riconosciuta da re e governi. Le compagnie si valgono dei «migliori» uomini d’affari della nascente classe capitalista dei paesi civilizzati. I metodi primitivi e rozzi dei pirati e degli avventurieri più o meno criminali lasciano il posto a sistemi di razzia perfettamente organizzati. Si creano appositi eserciti regolari e nasce una vera e propria rete di centri per la tratta, con fortificazioni e altro, in modo da proteggere e intensificare il nuovo «commercio» [nella foto a sinistra, Fortificazioni portoghesi sulle coste occidentali dell'Africa]. Le zone interessate si allargano: dalle coste dell’Alta e della Bassa Guinea, le spedizioni penetrano nell’interno del continente e arrivano anche a toccare alcune regioni della costa orientale, entrando in concorrenza con i mercanti di schiavi arabi.

Quanti uomini, donne e bambini lasciarono l’Africa nelle stive delle navi negriere? Quanti prigionieri africani e malgasci furono venduti nei mercati dei Caraibi e del continente americano? Probabilmente decine di milioni, ma non ne conosceremo mai il numero esatto, dal momento che non possiamo contare su una documentazione statistica attendibile. A questo proposito, l’ostacolo che si trovano di fronte gli storici sta nelle condizioni e nelle pratiche del commercio, sia legale che illegale, che si prolungò dalla metà del XV secolo agli ultimi decenni del XIX.

I mercanti e gli avventurieri realizzarono profitti favolosi. Acquistando il «negro» per 70-100-200 franchi pro capite sulle coste africane, lo rivendevano nelle Americhe a un prezzo che poteva andare dai 1.000 ai 2.000 franchi. L’enorme incremento del numero di Africani esportati era dovuto al fatto che, dato il carattere massiccio delle operazioni di queste compagnie, le condizioni di viaggio fino ai mercati americani erano notevolmente peggiorate rispetto ai «bei tempi» dei pirati, sicché soltanto una metà degli Africani spediti nelle Indie Occidentali arrivava a destinazione.
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