ovvero
l’arte di fossilizzare il passato, il presente ed il futuro
preproduzione di un cortometraggio fantastico
Federico Monaco
E-mail: Krishnamurti@interfree.it
Tel 347.46.87.134
foxilazioni
La
bellezza immanente dei fossili animali e vegetali, negativi di momenti immortalati
nello scambio ossigeno-silicio, mi porta ad ascoltare l’eco delle urla di
nascità e morte di milioni di fratelli monocellulari scomparsi, di terre ed
oceani che come balie e culle hanno accudito l’essenza della vita.
Questo il passato.
Strumenti
elementari, nascosti nelle scatole intelligenti, si animano nei miei pensieri
per diventare da conduttori e servi del sistema, liberi insetti, i quali,
liberati da catene di stagno (i punti di saldatura), tentano l’avventura della
vita e corrono su schede madri, di nome tali, ma ora di fatto genitrici
inaspettate. Il Web è per me solo la ragnatela di un ragno, che, poggiato sulla
crosta terrestre, fila la sua tela al fine di
intrappolarci nelle nostre illusioni. Questo il futuro, che, come un
termitaio abbandonato, si sgretola nei miei pensieri e si ricompone solo in
forme aracnoidi, a rete, a bava, ad aculeo. L’unica via di fuga è lasciare
l’ossigeno per il silicio; foxilazione spontanea; morire
spirito per sopravvivere memoria; intrappolare il nostro tecnomorfismo, già
passato… da mostrare nel futuro. Siamo fossili, icone antropiche.
La mia
ricerca nasce dal piacere di realizzare ciò che mi piacerà guardare, non sono
un’artista, solo il primo interprete o lettore di un quid che emerge dal nulla, anzi di un processo. Io mostro processi.
La scelta di combinare
certi materiali, destinati di norma all’informatica, è frutto dell’idea di
neutralizzare la tecnologia, ridurla in briciole, ricondurla alla sua essenza
materica liberandola dagli attributi di miracolo per l’Umanità. Adopero anche
altri materiali, non per creare, ma per ricreare ciò che naturalmente non
esiste; è una ricerca di sensazioni specchiate nell’inconscio ancestrale, se
mai ve ne sia uno. Gli strumenti variano, ma le mani fanno miracoli: non penso
quando lavoro, mi annullo e mi fondo con il quadro, a volte vorrei che le mie
mani rimanessero lì, parte dell’installazione; l’ispirazione ipnotizza, blocca
tutte le altri funzioni intellettive, mi rende strumento di non so cosa, servo
di un disegno cancellato, non riesco a rispettare un programma sulla tela,
un’iter stabilito….
La creazione
per me coincide con la distruzione in quanto solo distruggendo riesco a creare
qualcosa. Io non so costruire, non riesco a realizzare il progetto, ne sono
ossessionato; rovino tutto; nella distruzione la creazione; non conosco
tecniche pittoriche, ma quelle degli agenti atmosferici e del tempo, che come
pennelli dal movimento impercettibile hanno dipinto il cosmo come noi lo
conosciamo. Non so come ritrarre un paesaggio, ma sento in me la tecnica con
cui è stata dipinta la macchia rossa di Giove.
In realtà, seguo la
Natura; è l’uomo che distrugge…costruendo; per questo il mio processo è
opposto. Opposto per direzione, ma superiore per velocità; il cavallo
tecnologico è così veloce che viene da me frenato e foxilizzato
sul momento, istantanea di un elettronedotto ridotto a segno tumulare dei
non-valori del nostro tempo e di quello dei nostri figli. Lasciate che vi
racconti il futuro così come è stato.
Federico Monaco
Presente/passato.
Naturale/artificiale.
Dicotomie,
contrapposizioni che la nostra mente educata ai princìpi di Ockam dà quasi per
scontato, quasi fossero categorie ontologiche.
Si
dimentica spesso che ogni società ha il suo modo di interpretare la freccia del
tempo, così come si dimentica che ogni cultura ha le sue strategie per
attribuire la vita: cosa sia da dirsi vivo e cosa invece non lo sia.
Noi
tutti siamo abituati a considerare le tecnologie che ci circondano - telefonini,
computer, cd-rom, … - come dei segni tangibili di cosa ci aspetterà nel futuro.
Le
utopie tecnologiche del passato ci fanno sorridere con la loro capacità di
immaginare una probabile società dei consumi avanzati; le utopie dei mondi
digitali di oggi ci fanno sperare in una plausibile società dei consumi
immateriali.
Siamo
talmente appiattiti sul presente accelerato, che sembra quasi di toccare il
futuro più fantascientifico che ci si possa prefigurare.
Ma
se la nostra fosse un'illusione?
Se
la nostra fosse solamente un'allucinazione consensuale che ci impedisce di dare
la giusta prospettiva alle cose?
Cosa
penserà di noi il futuro quando giungerà?
Riderà
di noi come noi ridiamo degli anni ’50 visti dal 1999?
E
inoltre siamo sicuri di sapere cosa sia vivo?
Nessuno
di noi direbbe che una lavatrice sia viva.
Nessuno
di noi direbbe che un televisore sia vivo.
Nessuno
di noi direbbe che un forno a microonde sia vivo.
Ma
un computer?
Con
questa macchina ci rendiamo conto che il problema non è attribuire il concetto
di vita.
Con
il computer il problema si rivela in tutta la sua forza e cominciamo a
chiederci: cosa vuol dire essere vivo?
Ed
allora tutto ciò che diamo per scontato si dissolve in un sogno lasciandoci
senza più appigli, senza sicurezze a cui aggrapparci.
Una
strana luce adesso sembra illuminare gli oggetti frutto della tecnologia.
Talmente appartenenti al quotidiano che ci dimentichiamo di loro se non quando
si ribellano attraverso il loro mancato funzionamento.
Chi
può darci in un panorama simile delle certezze, o, almeno, dei modi così da
mettere sotto la giusta prospettiva le categorie che consideriamo naturali come
tempo e vita?
Sono
gli artisti.
Infatti
solo l'arte può darci quel giusto senso delle cose che forse non può portare a delle
risposte, ma che almeno ha il pregio di farci riflettere sulle nostre domande.
E'
questo il senso degli oggetti di Federico Monaco.
Dai
suoi microprocessori seppelliti dalle sabbie dei tempi, dai suoi tecnoinsetti
che abitano inesorabili rocce di satelliti di chissà quale sperduta galassia,
dalle sue colonie tecnologiche che agiscono su residui di artefatti che
sembrano dimenticati ma che invece sono il nostro presente, noi ci sentiamo
osservati.
Sembra
quasi che deridano il nostro modo di pensare il futuro e di immaginare la vita,
tronfi come siamo del nostro ottimismo tecnologico. Sembra quasi che ci
vogliano dire di non sottovalutare ogni idea fantasiosa che può produrre la
nostra immaginazione, anche se ci porta a spostare il tempo quasi a rendere i
computer contemporanei dei dinosauri e i tecnoinsetti - derivati di tecnologie umane
- coevi al brodo primordiale come se fossero forme di vita che non hanno
desiderato evolversi.
Gli
oggetti di Monaco hanno questa inquietante prerogativa: non siamo noi a
guardare il passato, sono loro che ci guardano dal futuro. E' il futuro visto
dal futuro.
E'
un futuro senza salvezza, come è giusto che sia. La Natura non ha salvezza né
dannazione, essa esiste secondo processi che abbiamo chiamato evoluzione ma che
forse potrebbero chiamarsi in qualsiasi altro modo, testimone del fatto che non
siamo in grado di comprenderla. La Natura.
Non
sembra che ci siano tracce dell'umanità se non attraverso le tecnologie che ha
lasciato, o forse quegli insetti che guardiamo con l'occhio da entomologi
incuriositi siamo noi, o meglio il concetto di Umanità declinato al futuro in
una possibile lingua della Vita.
E
allora lasciamoci osservare osservandoli, questi oggetti, facciamo sì che ci
dicano qualcosa di tempi che ancora non saranno o che, forse, sono già stati.
Fossili (1991):
il mio primo quadro. Mi sono svegliato alle quattro del mattino ed ho
cominciato a spalmare colla, polvere di caffè, solventi e vernici su di una vecchia
tavola di legno. Ancora oggi è il mio quadro preferito, il mio capolavoro. La
mancanza di un centro ed i suoi colori così sbiaditi ed eterni continuano ad
incantare il mio sguardo per ore. Ho lavorato al posto del tempo e della
natura. Se ero riuscito a fossilizzare il passato perché non provare con il
presente?
Telefossils (2001):
E’ il futuro visto dal futuro descritto da Davide Bennato. Cinque telefoni cellulari
carbonizzati sono presentati su terra rossa delle Puglie come su di un vassoio
naturale. Durante un’esposizione i visitatori, alla vista di Telefossils, si
frugavano le tasche cercando il proprio telefono mobile per rassicurarsi che
non avesse subito lo stesso destino. Ma il destino della nostra tecnologia è
proprio lo stesso di una punta di selce o di un graffito: essere rinvenuto dopo
migliaia di anni….
Missing link- “L’uomo di
Zeta reticuli” (1997):
“Gli esseri sono
calvi, senza orecchie, possiedono rudimentali narici e una sottile fessura al
posto della bocca che raramente si apre o esprime emozioni. I tratti più
evidenti nei lineamenti sono grandi occhi neri che si allungano alle estremità
assumendo un aspetto più tondo verso il centro del volto e appuntiti verso
l’esterno. Non sembrano avere pupille o iridi sebbene in rari casi il rapito
abbia avuto la possibilità di notare una sorta di secondo occhio all’interno di
quello principale con una sezione più scura che funge da lente”(John E. Mack).
Ho lavorato a lungo per
fare questo quadro; per fossilizzare il futuro. Le braccia sono parti di camere
d’aria per bicicletta, le mani ed i piedi dei guanti da cucina, l’occhio una
lampadina, l’interno della testa ha un effetto di capillari dato da delle
radici ed il cervello fossilizzato non è altro che della vernice scaduta oramai
gommosa. Dopo aver coperto la tavola con sabbia ed una soluzione di acqua e
vinavil l’ho lasciata asciugare all’aperto… Ha piovuto! ed il risultato,
evidente nella parte inferiore del quadro, è semplicemente fantastico. L’ho
esposto una volta e la domanda più ricorrente dei visitatori non è stata “come l’hai fatto”, ma “dove l’hai
trovato?”.
SYMBIOSYS
Symbiosys è la preproduzione di un cortometraggio fantastico
che ho dovuto interrompere per mancanza di tempo e denaro. Rimane la bellezza e
l’energia dei concetti principali e delle esigenze sceniche in modellini in
plastica, fotografie ritoccate e disegni.
In breve la storia di
Symbiosys si ispira alla teoria della panspermia, secondo cui lo spazio pullula
di vita e può spostarsi grazie ad asteroidi e comete fino a che non trova un
pianeta che abbia delle condizioni adatte al suo sviluppo. Una missione di
soccorso viene inviata in una zona sconosciuta dello spazio alla ricerca di
un’astronave da crociera scomparsa. Sul pianeta Raka i componenti della
missione di soccorso s’imbatteranno nei superstiti ed in una strana forma di
vita capace di entrare in simbiosi con gli esseri umani. Mi auguro al più presto
di continuare a lavorare alla direzione di questo affascinante progetto.
La fotografia del sistema di Raka è in realtà una semisfera di marmo fotografata al centro di Roma con dietro l’aggiunta di tre pianeti, un sole e le stelle.
Snedecor:
è l’astronave umana. Sono fiero della sua forma, della sua identità modulare,
quasi fosse stata costruita in un cantiere nello spazio. Il modello manca delle
rifiniture, della verniciatura a spruzzo con diversi passaggi, delle
decalcomanie e delle luci; pertanto è possibile identificare i materiali
impiegati prima della pittura che renderà poi tutto uniforme. E’ interessante
notare come abbia proceduto per gradi: innanzitutto ho assemblato delle
carcasse di vecchi macintosh con una barra di metallo avvitando la plastica. In
seguito ho iniziato a lavorare su ogni singolo modulo dell’astronave creando
una sua identità a seconda che fosse il ponte di comando, la zona motori, il
modulo anteriore per le operazioni di salvataggio, ingrandito nella foto sotto
a sinistra. E’ importante lavorare su più strati con materiali diversi,
pensando all’aspetto finale in cui si dovrà poter pensare ad una struttura
tecnologica piena di dettagli capace di solcare lo spazio interstellare (vedi
foto sotto a destra). Attualmente la computer grafica offre astronavi
tridimensionali virtuali che non fanno trucioli di plastica, non occupano posto
in cantina, possono avere forme ed effetti fuori della portata dei modellini di
plastica, ma sono piatti! Un buon modellino fotografato bene rende molto di più
e sul grande schermo è stato necessario integrare modellini artigianali con
effetti digitali.
Vista del pianeta Raka
con delle torri di una civiltà sconosciuta. Mi piace lavorare con i pennarelli
pantone per rendere con pochi segni l’idea e l’atmosfera che vorrei
trasmettere.
Vista del campo dei fiori palla, le inquietanti estremità dell’essere che vive sul pianeta Raka (a sinistra); Flowers on the bench, ovvero i modellini dei fiori palla scala 1:20 prima di essere pitturati di nero e verde (a destra).
Campionatore planetario:
costruito con vari materiali e rifinito con vernice a spruzzo e decalcomanie; è
stato fotografato su di un fondale da me aerografato.
La sede di una
Multiplanetaria su ANTARES IV (a sinistra) ed una pianta da cui si scatena il
processo di panspermia (a destra) sono fotografie da me scattate e poi
ritoccate con diversi effetti per filtrare la luce ed aggiungere soli, pianeti
e lune.
Estrella ed il comandante
Pop: le tute sono appena accennate per dare l’idea
della scena.
Costume per una tuta
spaziale: disegnare dei costumi richiede la conoscenza non
solo dell’anatomia umana, ma delle parti che si muovono, le esigenze sceniche e
dell’attore; inoltre il costume deve ben rappresentare l’epoca in cui ha luogo
l’azione e l’identità del personaggio.
In particolare gli
Starguard hanno una tuta comoda, imbottita, adatta ad ogni situazione, piena di
piccoli serbatoi di sopravvivenza. Il casco con gli occhiali dà un aspetto
coloniale ed il mini-scudo sul braccio destro lo rende un’po’ gladiatore. Il
giubbotto rosso aggiunge un tocco di colore. I particolari sono fondamentali;
senza di essi avremmo un risultato piatto e l’occhio ha bisogno di perdersi
nell’opulenza dei dettagli. Non smetterò mai di ripetere questo concetto del
rapporto tra ciò che vede l’occhio ed il dettaglio.
Casco della missione Starguard
21: nella nostra storia i protagonisti ritrovano il
casco di una missione precedente scomparsa mentre sperimentava nello spazio nuove armi biologiche. Il casco è un
vecchio casco da motociclista pitturato d’argento a cui ho aggiunto delle
decalcomanie che ho poi un po’ rovinato per dare il senso del tempo che è
passato…
____________________________________________________
The End