incontri musicali - in questo numero: Giorgia de Filippis incontra Daniele Sepe

 

                                                             www.danielesepe.com

 

                                                           

                                                                         Fonte danielesepe.com

L’intervista a Daniele Sepe è stata l’occasione per una bellissima gita a Napoli, città dove vive e lavora e dove, soprattutto, è conosciutissimo e apprezzato. Andare con lui alla ricerca di qualche rarità o affare nei negozi di dischi d’occasione per le vie intorno a S. Chiara vuol dire soprattutto essere fermati spesso e intrattenuti a parlare di politica o di musica. D’altra parte lui stesso ce lo ha detto spesso : “andate lì, dite che siete amici miei e…” . Ci ha indicato nomi di diversi locali dove si può ascoltare ottima musica,  jazz e non solo, tra i quali il Vibes dove Daniele Sepe suona ogni  venerdì, una sorta di studio personale, come lo definisce nel suo solare sito internet.

D.S.: Domande facili eh!

Si, poche, soprattutto!

Attacco qui il registratore dopo aver ordinato un buon caffè alla nocciola suggerito da lui nel bar vicino P.zza del Gesù.

Innanzitutto, vorrei che ci  parlassi del tuo percorso musicale. So che hai cominciato come musicista di musica classica.

D.S.: No, non ho cominciato come musicista di musica classica. Non pensavo di fare il musicista. Alla scuola media c’era un insegnante che faceva lezione con il flauto dolce e ho deciso di iscrivermi al conservatorio. Però era il 75, io già ero comunista!! La musica classica mi piaceva e mi piace, più di tutto il resto. Però mi ponevo il problema di come fare, come rapportarmi rispetto a quelli della mia età o rispetto alla questione del consumo sociale della musica. Gli operai non vanno a sentire Mozart o Beethoven, purtroppo. Per cui cominciai prima con un gruppetto, facevamo musica latinoamericana, cose tipo gli Intillimani. Giravamo per le Feste dell’Unità e non ci pagavano! Poi ho incontrato i Sezi, un gruppo operaio di Pomigliano d’Arco, che faceva musica tradizionale napoletana. E mentre avevo una crisi di identità a suonare “el pueblo unido” suonando con loro ho capito che c’era una musica tradizionale che mi apparteneva e che quindi era giusto fare quella.

Ed è questo che ti ha spinto verso la musica etnica?

D.S.: Non è che qualcosa mi ha spinto verso una cosa o verso l’altra…

C’è questa ricerca, però, nella tua musica.

D.S.: Si pero’ la musica è musica. Semplicemente nel momento in cui mi sono interessato di musica non è mai esistita, per me, una distinzione di genere. Anche come consumatore, ho sempre consumato di tutto! La musica mi piace punto e basta. Come a uno che apprezza la pittura: non penso che gli possa piacere solo Picasso e non conoscere Tintoretto. Se  uno sente Haydn non è detto che non gli possano piacere i Beatles!

E’ un questione di libertà assoluta verso qualsiasi forma…

D.S.: Ma a me viene proprio naturale. Quindi nel momento in cui ho deciso che volevo fare il musicista ho fatto di tutto. Cominciando a suonare ho fatto il turnista per un sacco di tempo.

Turnista?

D.S.: Il turnista è quello che lavora ai dischi degli altri. Lavora ai concerti degli altri. Quello che lo fa di  mestiere proprio! Per cui ho conosciuto un mondo completamente diverso, lontano da tutto l’idealismo che si può avere. Puoi essere interessato alla musica etnica o al jazz però se fai un disco di Nino D’Angelo o Mario Merola ovviamente le motivazioni  che ti spingono sono molto diverse. Però ho imparato un sacco di cose anche da quel mondo!

 

                                           

                                                           dall'album "conosci Victor Jara?

 

Quali sono i punti di critica che faresti al rapporto artista- casa discografica?

D.S.: Nessuna perché io non ce l’ ho una casa discografica! Quindi il mio punto di critica è semplicemente totale. Nel senso che io non sono assolutamente disponibile  a fare compromessi con nessuno su queste cose. Mi produco i dischi da solo e li do o al Manifesto o ad un’etichetta che è di un mio amico di Napoli: la “Polo Sud”. Con la C.N.I. ho fatto un solo disco e sono in causa con loro,  per cui questa la dice lunga. Ho fatto immediatamente causa alla C.N.I., dopo quasi 6 mesi!

Per la famosa questione del 90% ed il 10%?

D.S.: No, io sono produttore, quindi non ho il 10%, produco io il mio disco, quindi la percentuale è molto più alta. E’ proprio il tipo di rapporto che esiste tra etichetta e artista che non sono disponibile a sopportare. Penso di essere fortunato in questa scelta. Pensa che gli artisti che tu vedi in televisione, la sera, dagli Almamegretta ai Subsonica, che sembra che siano padroni del loro mondo in realtà non sono padroni di niente perché, appunto, hanno il 7% di quello che loro producono. Anche i 99 Posse hanno un contratto con la BMG. Nella  realtà dei fatti fai una vita più semplice per certi versi ma poi, dopo tutto, non sei padrone di te stesso per cui non mi interessa. Semplicemente io vendendo 20.000 copie con Il Manifesto guadagno quanto guadagnano loro vendendo 100.000 copie con la BMG. Con la differanza che io faccio contento Il Manifesto e loro fanno contenti una multinazionale del cazzo. Penso, quindi, di essere molto più felice io.

Con questo discorso scivoliamo sulla politica, non solo italiana. Hai parlato delle multinazionali e in questo periodo è particolarmente sentito il discorso sulla globalizzazione.

D.S.: Ti potrò anche sorprendere  ma io non sono contro la globalizzazione.

Dipende da come viene intesa…

D.S.: No, da quello che c’è da globalizzare. Globalizzare vuol dire in qualche maniera condividere. Globalizzare potrebbe anche voler dire globalizzare il profitto e quindi in qualche maniera ridistribuirlo. Il problema è sempre lo stesso. Mentre le multinazionali e le banche hanno in qualche maniera fatto una serie di fusioni societarie per cui hanno messo insieme le loro energie, oggi, da parte di tutte le organizzazioni che dovrebbero servire in qualche maniera a livellare il profitto e a ridistribuirlo non c’è stato lo stesso grado di organizzazione. Cioè tra il sindacato italiano e quello coreano non penso che ci sia mai stato un incontro. Il che è grave dal momento che la Fiat ha delle partecipazioni in Corea! E’ ridicolo che il sindacato si batte per tremila lire in più solo in Italia quando il motorino d’avviamento lo producono in Corea!  Purtroppo noi non siamo globalizzati  quanto il grosso capitale internazionale. La nostra debolezza è che non siamo “globalizzati” quanto loro. Invece di fare uno sciopero in Italia di due ore ci vorrebbe uno sciopero articolato a livello  planetario, uno sciopero generale a livello planetario!

Pensi che non ci sia abbastanza coscienza per questo?

D.S.: No, penso che ci sia una colpevole partecipazione dei vertici sindacali e dei vertici dei partiti istituzionali della sinistra europea e di questi personaggi che, non continuando a fare gli operai, hanno perso di vista la giustizia delle cose.

Però dovremmo essere anche noi…

D.S.: …Dal basso. Però uno che deve lavorare non ha tempo di organizzarsi. Soprattutto un operaio italiano che nella sua vita ha un sacco di privilegi rispetto ad un operaio nigeriano. Ammesso che ce ne siano, di operai nigeriani. Per esempio prima uno sciopero durava mesi non ore.

Pensi  che attraverso la musica possano essere trasmessi dei contenuti in questo senso?

D.S.: No. Con la musica non fai niente. La musica è una cosa superflua. Qualunque forma d’arte è una cosa superflua. Una cosa necessaria quanto la messa!

Un rito collettivo.

D.S.: Si. Un rito collettivo, sicuramente. Un rito collettivo per chi non ha la pancia vuota. Voglio dire che se ti tengo a digiuno per 20 giorni fra la pagnotta e un disco scegli la pagnotta. Per cui l’arte ha meno incidenza della politica vera e propria. Io posso dire delle cose ma da quanto tempo la gente dice certe cose? ..o è Platone o è Sepe non cambia nulla. Voglio dire che la storia va per i versi suoi, ha delle dinamiche molto forti e partono da bisogni molto più reali… non dico nemmeno  che  non serve a  niente fare l’artista in una maniera piuttosto che in un’altra . Nel mio percorso uno come Victor Jara mi ha segnato di  più di uno come Lucio Battisti però non è che Victor Jara ha cambiato il destino del Cile o John Lennon ha cambiato la guerra in Vietnam . Qualcosa si può fare ma non penso che abbia un’importanza fondamentale.

E’ l’arte fine a se stessa, per la propria soddisfazione quindi.

D.S.: Bisogna vedere se c’e’ soddisfazione non è detto che ci sia. E’ un bisogno, è diverso. E’ un’esigenza.

(Passa una delle tante persone che lo conoscono e lo salutano caramente, musicista anche lui.)

Per esempio questo signore qua ha fatto un sacco di cose. Tu perché fai il musicista?

Amico : Mica ci deve essere un motivo! Non c’è un motivo per essere musicista!

D.S.: . Non c’è un motivo per fare il musicista. Tu perché fai la giornalista?

(Rido e rispondo): Be..io diffondo informazioni!!!

D.S.: Anche noi!!False informazioni!!

Stai lavorando ad altri progetti in questo momento?

D.S.: Be è uscito il disco con Il Manifesto da poco, Jurnateri, ed è già pronto il disco nuovo. Poi uscirà un’antologia per tutto il mondo. E poiché io faccio sempre dischi dove entrano musiche che non sono solo italiane, ma spesso sud americane, greche o altro, ho pensato di fare un’antologia con la  maggior parte dei pezzi che ho fatto del sud d’Italia. Poi sto lavorando alla colonna sonora del nuovo film di Salvatores e poi stiamo preparando quello di Enzo D’Alò. Si lavora!Si deve lavorare!!

A cura di Giorgia de Filippis

Visita il sito www.danielesepe.com

Si ringrazia "Marino punto a capo" per  gentile concessione di questo articolo uscito nel numero di gen. 2002

 

home narrativa arti visive musica eventi link contatti