Paolo Fresu    
                                       
  Intervistato da Giorgia De Filippis

                                         

                                                                     Fonte Internet
                                         

So che hai iniziato in una banda nel tuo paese. Vorrei che ci parlassi dei tuoi inizi musicali.
P.F. : Beh, si io vengo da un paese piccolo che si chiama Berchidda, in Provincia di Sassari, di tremila abitanti. Famiglia non di artisti, i miei lavoravano in campagna. Però con una tradizione della banda molto antica che esiste dai primi del novecento, più o meno, e quindi ho iniziato a suonare la tromba in banda. Mio fratello, prima di me, suonava in banda, quindi c'era una tromba in casa, io la vedevo e la suonavo un po'. Poi mi sono iscritto ai corsi della banda e lì ho imparato la musica. Dopo di chè ho suonato musica leggera per diversi anni, gruppi gruppetti, musica da ballo, discoteche, matrimoni e così via e poi ho scoperto il jazz un po' più in là, quando avevo già vent'anni. Mi sono appassionato a questa musica, sono andato a Siena a seguire un seminario di jazz e così piano piano anzi, no, direi abbastanza velocemente, mi sono ritrovato in questo mondo qua. Però è stato tutto molto naturale, non ci sono state scelte drastiche. E' stato un po' un gioco. Mi sono ritrovato a fare il musicista senza averlo mai veramente deciso. Questo è il mio percorso. Un po' anomalo rispetto a quello di tanti giovani anche italiani, anche di oggi che hanno difficoltà, non solo quelli di Roma ma anche quelli come me che vivono in periferia. Vivere in un isola non è semplice.
La musica jazz è il tipo di musica nel quale ti riconosci di più?
Direi di si, perché mi permette di essere molto libero e mi permette liberamente di andare incontro ad altri mondi musicali, a mettere il jazz in relazione a molte altre musiche, per esempio la classica, il rock, la musica etnica, soprattutto, direi, la musica etnica e perché mi permette di andare anche in direzioni diverse, verso altri linguaggi artistici. Mi permette di mettere in relazione il jazz con le arti plastiche, le arti visive, la poesia, la letteratura, il cinema, la fotografia, insomma sicuramente è quella musica che mi da la più parte di libertà per mettermi in relazione con il resto. All'origine non era quello, l'avevo scelta perché mi piaceva molto, però sicuramente instintivamente l'ho scelta perchè vedevo in quella musica l'unica che mi desse una grande libertà sotto il profilo espressivo.
Ecco questi otto concerti a Roma così eclettici. Come nasce questo progetto?
Questo progetto nasce dal fatto che negli ultimi anni ho spesso suonato alla Palma con progetti diversi, in contesti diversi, e tutte le volte che ho suonato alla Palma -devo dire che è un posto che mi piace molto, è abbastanza grande, c'è sempre stato un ottimo pubblico numeroso e molto attento- e così chiacchierando questa estate con Flavio Severini che si occupa della programmazione che è venuto a Berchidda, viene a Berchidda da un paio d'anni come fan, per seguire le vicende del festival che organizzo lì è nata l'idea. Io avevo già fatto una cart blanche a Parigi in un locale che si chiama Duke de Lombard nel centro di Parigi.
Carta bianca?
Carte blanche. I francesi usano questo termine per dire "ti diamo carta bianca per fare una cosa in cui ti inventi quello che vuoi". Lì ho fatto nove sere di fila, però molto meno articolati di questi. Ho fatto 3 sere con il mio quintetto italiano, 3 sere con Angel (con il quartetto e con un chitarrista vietnamita), 3 sere in trio con Antonello e Furio.
Per cui la cosa fu molto carina perché dai anche al pubblico la possibilità di vedere facce diverse dello stesso artista e a te artista ti piace perchè vedi le stesse facce reagire in modo diverso, si crea un buon feeling con la gente, con il luogo e così via. Proviamo a fare una carte blanche a Roma per cui è nata questa pazzia. Otto giorni con otto progettti completamente diversi uno dall'altro, che sono una parte di quelli che io porto in giro per il mondo in questo momento, che sono ben di più di otto in reltà. Questi sono solo i più importanti, però poi mi piace molto anche muovermi in contesti anche molto disparati. Loro l'hanno accettato e devo dire è stato molto coraggioso perché sono progetti complessi perché implicano la presenza anche di artisti visivi. Per esempio ieri è stata costruita appositamente una tela di sei metri per tre, enorme. Ci sono persone che vengono da Parigi, da Milano, da Roma, da Londra, da Bruxelles, ci sono più di quaranta artisti coinvolti in questi otto giorni di estrazione diversa con probelmatiche diverse con esigenze diverse. Io sono molto contento perché loro l'hanno accettato e poi era coraggioso l'essersi assunto il rischio: la Palma è abbastanza grande, quindi fare otto giorni sperando di riempirlo per otto giorni …devo dire che finora sta andando benissimo perché il posto è sempre pieno e il pubblico bellissimo, molto attento. Ci sono quasi un centinaio di persone che hanno fatto l'abbonamento per tutte e otto le sere. Quindi è molto bello . Io sono molto contento perchè è la prima volta che is fa una cosa de genere in Italia, in assoluto, e credo che questo sia un segno importante, anche nei confronti del jazz italiano. Il fatto che finalmente anche in Italia ci sia un'attenazione e una fiducia nei confronti dei nostri musicisti. Vedo questa manifestazione alla Palma come un segno importante non solo per me ma per tutti i musicisti. Finalmente anche la musica italiana sta avendo l'attenzione che merita. Prima era un po' bistrattata. C'è sempre l'idea che quello che viene da fuori è sempre meglio e il pregiudizio che i musicisti di jazz devono essere tutti americani possibilmente neri. Un segno attenzione nei confronti dei nostri musicisti che sono bravi.
In realtà io ho notato che moltissimi vanno a Parigi per cercare la possibilità di essere ascolati o una vera e propria occasione.
Si è vero.
Segno che in Italia ci sono poche possibilità...
In Italia forse non siamo ancora pronti per cui molti musicisti cercano consenso all'estero. Ciò non è male perché no? Però trovo che sia un peccato, un po' triste che i musicisti per avere successo devono andare fuori. Sembra che in Italia non trovino la giusta attenzione. Dovrebbe essere diverso perché in Italia abbiamo una grandissima preparazione, in questo momento ci sono dei musicisti straordinari, numerosissimi, professionali, creativi che l'Europa ci invidia moltissimo. E' importante che anche qua ci possiamo sentire parte di una comunità che ci accoglie.
Da che cosa nasce, secondo te, la poca attenzione verso i musicisti qui in Italia?
Secondo me nasce da politica culturale sbagliata fatta negli anni passati che si è dedicata principalmente ai progetti televisvi o ufficali e dal fatto che in Italia abbiamo sempre questa esterofilia dominante nonostante tutto poi l'Italia porti all'estero delle cose straordinarie ma sono sempre un po' le stesse cioè l'opera, la moda, la cucina e tutto quello che sono i progetti culturali che diciamo "periferici" non hanno consenso perchè pensano che non rappresentino l'Italia. Invece l'Italia è rappresentata da una marea di cose diverse. Ce ne sono alcune che fanno più breccia, altre che sono un po' più indietro. Sicuramente oggi quando in Francia si parla della cultura italiana si parla anche del jazz italiano che oggi è una parte precisa della cultura italiana. Cioè non una cosa distaccata o elitaria, è uno dei momenti importanti della nostra cultura che devono essere esportati alla stregua della moda, delle scarpe. Non si capisce come mai noi Italiani pensiamo sempre che quello che viene da fuori sia meglio e non ci rendiamo conto che abbiamo questo potenziale straordinario. Quando io suono a Parigi la gente viene perchè mi vede come un musicista italiano per cui c'è questa mia italianità, che io non professo tra l'altro, come fosse un qualcosa che loro non hanno.

                                                                     
Da qui è nata la tua scelta di vivere a Parigi?
No, la scelta di vivere a Parigi è nata perché avevo voglia di andare a vivere a Parigi. Mi piaceva la città. Non sono assolutamente andato per la musica, giuro! Quando sono andato a Parigi, naturalemte, ho stabilito molti dei rapporti professionali per cui, oggi, molto della mia attività deve molto alla Francia. I francesi sono molto bravi a rendere quello che amano, compreso quello che non è loro! In questo danno una lezione all'Italia. Mi piaceva Pargi come città di cultura, come città d'arte e siccome io avevo una casa in campagna, in mezzo a un bosco, volevo anche vivere una dimensione di città, con tutti i pregi e i difetti che questa comporta, e ho pensato che l'unica città, dal mio punto divista, che mi desse i difetti delle grandi città ma che mi desse anche i pregi, era Parigi. La conoscevo perché avevo già una serie di contatti, l'ho scelta non perchè fosse la capitale del jazz, tanto è vero che quando sono andato a Parigi non ho fatto assolutamente niente per cercare di spingere verso la musica è una cosa che è venuta automaticamente da sola. Non ho fatto come hanno fatto altri musicisti che sono andati lì per cercare consensi che in Italia non avevano. Io avevo voglia di vivere quella città, poi inconsciamente sapevo che avrei stabilito dei rapporti.
Certo c'è sempre un delicato gioco di incastri nella vita!
Un'ultima riflessione su come viene vista l'Italia all'estero… 
Molto male. Molto male. Vedono sempre un'Italia dei disastri, delle situazioni instabili. Un po' fastidiosa la cosa dei luoghi comuni della pizza, della moda e che gli italiani non sono mai puntuali. Io sono puntualisssino e stupisco sempre. Mi faccio in quattro per essere puntuale.
Dal punto di vista politico.
Mi sembra un momento estremamente complesso. I francesi sparano veramente a zero sul governo Berlusconi, vedono questa situzione italiana estremamente confusa. Sono abbastanza imbarazzato perché non mi riconosco in questa situazione politica italiana. Seppur critici,però i francesi, sotto sotto, anche un grade rispetto verso il nostro paese che lo vedono pieno di potenzialità nascoste che loro che non hanno, una specie di invidia di fondo ma che tirano fuori al momento opportuno.
Come musicista che margine pensi di avere per educare le persone?
Io faccio una musica che non ha parole. Non mando un messaggio preciso con un testo. Comunque avendo la possibilità di avvicinare tante persone diverse, in ambiti diversi, il modo migliore per mandare messaggi è quello di essere te stesso. Cercare di raccontarsi per quello che sei. Anche il modo di porsi fisicamente sul palco, se è vero, porta un messaggio preciso. Sul palcoscenico amo parlare pochissimo e cercare di sfatizzare il mito dell'italiano gigione e che gesticola molto. I francesi hanno questa idea, chi viene al concerto vede una figura di italianità che non è quella che si aspettano e fa sì che vedono un parte dell'Italia che non è la solita, di chi parla tanto, ride e scherza e approfondisce poco le cose. Il mio modo di essere sul palcoscenico è esattamente come sono nel quotidiano non c'è nulla di costruito. 
Anche in Italia, non solo in Francia…
Assolutamente si. Poi ci possono essere serate con il mio quintetto nel quale si scherza ma si fa con uno spirito che non è quello di dare spettacolo a tutti costi o di far vedere quello che non si è. Se non sei e stesso la gente lo capisce al volo. Forse il modo migliore di raccontarsi è attraverso la musica, poi magari in un'intervista si cerca di spiegare meglio alcuni concetti ma forse non è neanche veramente necessario.
Si ringrazia "Marino punto a capo" per gentile concessione di questo articolo

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