di Silvia Torrelli
Tor San Lorenzo "il canale"
SETTEMBRE
primo capitolo
Gli stabilimenti balneari chiudono, le famiglie che
si riversavano copiose e
schiamazzanti sulla battigia, rientrano verso le grandi città.
E’ questo il mese più bello per godersi il mare, a
mio avviso: il sole non riversa calore in modo impetuoso ed implacabile come a
Luglio ed Agosto, per le stradine dei vari consorzi non c’è bisogno di
prestare attenzione alle orde barbariche di ragazzini in scooter, che passano ad
un centimetro dal tuo braccio, né ai loro fratelli maggiori che utilizzano le
vie per saggiare la potenza delle loro ultimissime Smart.
No, le vie sono semideserte o addirittura deserte.
Via via che si procede verso l’autunno le finestre si chiudono, le tapparelle
si abbassano, non ci sono più ombrelloni nei giardini guarniti dei loro
tavolinetti in plastica bianca, gli asciugamani di spugna colorata appesi ai
fili nei balconi sono solo un ricordo, come pure è un ricordo il rumore lontano
della moto falciatrice dello zelantissimo vicino.
I raggi di luce del pieno pomeriggio tagliano obliqui
i tronchi dei rami, la tua ombra si allunga sul selciato piano piano, e la prima
cosa che ti viene in mente è che ci deve essere stato un periodo in cui il
Consorzio godeva di questa tranquillità anche in piena estate.
Questo accadeva quando erano poche le case costruite
nei vari lotti, i condomini erano una rarità, le ville bifamiliari
torreggiavano superbe separate da grossi quadrati di verde incolto, dove spesso
campeggiava la marrana, ovvero grosse pozze d’acqua dall’odore sulfureo
ospitanti rane, rospi, insetti d’acqua e larve di zanzara che, allora, non
avevano ancora la foggia bicolore di oggi.
La mia memoria, per ovvi motivi, non può superare la
trentina d’anni e mi immagino le cose laddove non posso ricordarle.
Eppure, nonostante il mio attaccamento a questi
luoghi, qualcosa mi era sfuggito….
La Torre
Ho iniziato a studiare all’università con qualche
anno di ritardo e lo scorso mese mi ritrovavo a festeggiare la fine degli esami
di un amico del laboratorio.
La serata era ideale: bruschette, carne alla grigia,
fiumi di vino rosso, macedonia e gelato, pettegolezzi sul tal professore o la
tal professoressa, grandiosi progetti di ricerca, gratificante gara di rutti per
i ragazzi della compagnia.
Siamo rimasti in pochi, ormai, a dover combattere con
l’ultimo esame, per cui fioccavano da parte nostra varie proposte di futuri
festeggiamenti.
Mi feci avanti io:
“ Ho una casa al mare, a Tor San Lorenzo, a pochi
chilometri da Torvajanica. Potremmo organizzare per un fine settimana, rimanere
a dormire lì.”
Il festeggiato, anche se un po’ brillo, cambio
espressione e dopo un fragoroso rutto, disse:
“Scusa, Silvia, non prendertela, ma io fuori
stagione a Tor San Lorenzo non rimango a dormire.”
Credevo fossero gli effetti dell’alcool a farlo
parlare così, per cui non gli prestai attenzione, ma lui continuò rivolto agli
altri commensali:
“Il quarto ragazzo, il superstite, quello che si
rifiutava di parlare, l’hanno trovato morto a casa sua alla fine di Maggio.”
Fece una breve pausa:
“Barbiturici”, concluse.
Ci guardammo perplessi: il nostro amico aveva preso a
gonfiare le guance e a massaggiarsi con la mano la pancia, gli occhi chiusi a
mezz’asta, lucidi e pieni di venuzze rosse. Non aveva un aspetto molto
credibile, nonostante ciò attesi che riprendesse a parlare:
“Da quanto tempo hai casa lì?” mi chiese.
“Praticamente da quando sono nata. Io e la mia
famiglia ci trascorriamo l’estate.”
“E non hai mai sentito la storia della bambina che
chiedeva un bicchiere d’acqua?”
La chiesa
antica
Flavio era un cultore di simili storielle.
Si divertiva a spaventare le nuove tesiste del nostro
laboratorio e di quello accanto con la storia del ragazzo deceduto a seguito di
una improvvisa e violenta febbre, contratta mentre lavorava nelle camere sterili
del piano interrato nel nostro dipartimento di ricerca.
Secondo lui era avvenuto molti anni fa, quando tutti
noi più o meno eravamo all’asilo, e il fantasma del ragazzo, che avrebbe
voluto divenire un gran ricercatore, ancora si aggirerebbe ramingo e sconsolato
nei meandri delle camere con i termostati, centrifughe, spettrometri.
Logico che, all’unisono, tutti i presenti lo
implorarono:
Il fantasma del laboratorio, con la sua tuta blu a
strisce rosse, le scarpe da ginnastica e i ricci castani non l’ho mai
incontrato.
Ma la storia della bambina e del bicchiere d’acqua
mi è entrata nelle ossa.
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