Uno degli intenti di questa pubblicazione è quello di documentare, per quello che sarà possibile, la bravura e il senso artistico di molte generazioni di ignoti maestri artigiani del ferro battuto. Il fabbro, per grande artista che fosse, per poter svolgere il proprio mestiere, doveva sempre restare un umile operaio per avere modo di imprimere nel ferro, attraverso un duro e paziente lavoro, la propria abilità tecnica, la propria sensibilità e il proprio pensiero.

Formella "L'arte del fabbro" di Andrea Pisano (1270-1348). Campanile di Giotto, "Le Corporazioni", Firenze, secolo XIV. Misura del lato 40 centimetri.

 

 

L'arte fabbrile è quindi artigianato della lavorazione del ferro, proprio a causa dell'estrema specializzazione del lavoro e del legame molto stretto e diretto che univa il fabbro alla materia da trasformare. Nonostante ciò è più giusto e rispettoso considerare i fabbri maestri artigiani del ferro battuto, proprio perchè figure inseparabili da padronanze tecniche complesse, personali ed esclusive, e per sottolineare che il loro mestiere richiedeva maestria e doti artistiche non comuni.

Una delle grandi prerogative di questi maestri artigiani fu l'arte di battere il ferro conservando la naturale ruvidezza della materia e la viva impronta del martello. Il ferro doveva restare ferro e doveva essere lavorato a fuoco e martello e solo questi dovevano lasciare il loro sigillo sul manufatto finito. "Il ferro deve essere trattato come una signora: sembra duro e terribile, ma con un po' di fuoco diventa tenero come la cera, e quando credete che si ribelli non si deve trattare male e picchiarlo con furia; si deve prendere per il suo verso e accarezzarlo...". Questo raccomandava Alessandro Mazzucotelli (Lodi 1865-Milano 1938), grande maestro lombardo del ferro battuto, ai suoi allievi e, ai disobbedienti aggiungeva: "Devi trattare il ferro come la tua morosa, hai capito?".

 

 

Incudini da fabbro in ferro forgiato: "moderna" e "tasso". Italia settentrionale, are nord-est, secolo XVIII e XVII. Quella "moderna" è composta da tavola rettangolare con occhio; corno piramidale quadro da un lato e tondo conico dall'altro; corpo sporgente; piede a gradini e sulla parte alta del corpo sono visibili i due punzoni di fabbrica. Dimensioni della "moderna" lunghezza 31, altezza 21, profondità 20 centimetri; del "tasso" lunghezza 17, altezza 17, profondità 16 centimetri.

Lavoravano nello stile proprio dell'epoca in cui operavano, anche se talvolta è probabile riprendessero, a secoli di distanza, forme strutturali già abbandonate. D'altronde, essendo maestri ai quali non mancava l'inventiva personale, i loro manufatti non erano sempre forme di espressione artistica legate alla moda, quanto piuttosto realizzazioni della propria creatività. Erano maestri che avevano la facoltà, con il loro lavoro, di tradurre un fatto di gusto personale in opere d'arte di indispensabile necessità.

La considerazione di tale fenomeno deve indurci a riflettere anche in sede di storia dell'arte e di valutazione artistica delle opere in ferro battuto. A proposito di considerazioni, varrebbe la pena compiere delle ricerche per scoprire: perchè tanto nelle leggende epiche, quanto nelle tradizioni popolari, i fabbri appaiano spesso come nani o come storpi; perchè un uguale abilità di mestiere accomunasse i fabbri del passato, con varianti trascurabili, sia al nord sia al sud; infine, perchè si conoscano i nomi dei pittori, scultori e architetti principali di ogni epoca, ma non si sappia nulla o quasi della maggioranza dei maestri artigiani del ferro battuto, anche quando sono stati capaci di realizzare opere artistiche di così alta qualità da non avere nulla da invidiare a quelle delle arti maggiori.

 

Morsa da fabbro in ferro forgiato. Lombardia (Lecco), secolo XIX. Completa di molla e staffa di fissaggio al piano di lavoro, firmata, sulla parte anteriore e posteriore delle due ganasce, "Odobez". Altezza totale 115 centimetri, larghezza presa ganasce 14 centimetri.

 

La passione con cui gli antichi maestri di quest'arte si sottoposero a tanta laboriosa fatica fu incredibile; basti pensare che, per esempio, fino circa al 1000 dopo Cristo potevano contare solo sull'aiuto di pochissimi attrezzi manuali quali: la fucina, il mantice, l'incudine, i martelli, la morsa, le tenaglie, le mazze, gli scalpelli, i punteruoli, i cunei e rudimentali lime e seghetti. Gaston Bachelard (Bar sur Aube 1884-Parigi 1962), uno dei più sottili filosofi del nostro secolo, diceva, a proposito di questa grande passione: "Con il martello nasce l'arte del colpo, dell'avvio di forze rapite; nasce la coscienza della volontà esatta. La forza del fabbro, sicura della propria «utile potenza» è gioiosa".

Con il passare dei secoli e con le esigenze sempre nuove delle mode, il fabbro, oltre che saper battere il ferro, dovette imparare l'arte del traforo, dell'intarsio (ageminatura) dell'incisione e persino quella di scolpire il ferro. Ai vecchi utensili dovette aggiungerne dei nuovi, quali: il seghetto, il raschietto, il bulino, il brunitoio e il cesello. Con l'introduzione di macchine idrauliche che facevano funzionare enormi mantici e grossi martelli a caduta, l'officina cambiò d'aspetto e i fabbri furono costretti a specializzarsi tanto che, per meglio identificarli, vennero usati nomi diversi: Magistri clavarii e Fabri ferrarii.

 

 

 

 

 

 

 

Attrezzi principali usati dai fabbri
1) martelli
a) bocca
b) penna
c) presa o manico
2) scalpelli, punteruoli e bulini
3) fucina e mantice
4) pinze
5) cunei o stampi
6) morsa
a) ganascia fissa
b) ganascia mobile
c) staffa di fissaggio
7) lime, filiere, punte di segno, grimaldelli e madrevite
8) incudine
a) corno tondo conico
b) occhio
c) tavola
d) corno quadro piramidale
e) corpo
f) piede
g) sostegno

La fucina è il focolare dove viene arroventato il ferro; il mantice lo strumento per produrre la corrente d'aria necessaria per ravvivare il fuoco; i martelli, di dimensioni e forme diverse, e l'incudine sono indispensabili per la battitura (forgiatura) del ferro e, assieme alla fucina, sono gli attrezzi più usati; i cunei, con le bocche di varie forme (stampi), venivano infilati nell'occhio dell'incudine e utilizzati per sagomare.

Al primo venivano affidati lavori di forgiatura di chiavi (clavis), di serrature e delle ferramenta complementari; al secondo invece tutte le opere fabbrili necessarie nell'architettura: inferriate, cancelli, balconi, scale, barriere....

A difesa degli interessi economici comuni, a salvaguardia della propria categoria e per il progresso della loro arte, si unirono in collegi e congregazioni.

Alcune epigrafi romane attestano la presenza a Milano di un collegio di fabbri già all'epoca; ciò prova che le corporazioni del Basso Medioevo sono una continuazione di associazioni ben più antiche. Nemmeno i potenti rimasero estranei al fascino e alla magia di quest'arte. Le botteghe artigiane di tutta Europa furono in ogni epoca frequentate e protette da re, principi e signori, i quali si compiacevano di soffermarsi a osservare lo svolgersi del duro e difficile lavoro.

In Francia, per esempio, Carlo IX (1550-1574), re di Francia dal 1560, fu egli stesso serraturiere di un certo talento; Luigi XIII di Borbone (1601-1643) si dedicava all'arte del ferro battuto. A Nantes, re Stanislao I Leszczynski (1677-1766), ex re di Polonia rifugiato in Francia (1719), teneva a corte il proprio fabbro Jean Lamour.Luigi XVI (1754-1793), appassionato di serrature, fu probabilmente il primo collezionista di chiavi ed eseguì egli stesso delle serrature di qualità.

Alla corte d'Inghilterra il fabbro aveva l'onore di sedere a tavola con il re e la regina ed era trattato come un ufficiale di alto grado. In Italia Galeazzo Visconti (1347-1402), Signore di Milano da.l 1378 al 1395 e I° Duca dal 1395 al 1402, nel 1391 concesse immunità e familiarità a Simone de Currentibus, suo fabbro di corte, come qualche anno prima aveva fatto con Giovanni Meraviglia, detto Anonimus.

Lorenzo I de' Medici, il Magnifico (Firenze 1449-Coreggi 1492), si recava di frequente nella bottega del bisbetico Niccolò Grosso, detto il Caparra.

 

Piastra da camino in ferro fuso. Italia settentrionale, secolo XIX. Fusione in altorilievo raffigurante il dio Vulcano, con tenaglia e martello, intento a battere il ferro sull'incudine. Dimensioni: lunghezza 50, altezza 60, profondità 6 centimetri.

 

 

Tanto interesse al lavoro dei maestri artigiani del ferro battuto da parte delle persone potenti, colte e raffinate, non era sicuramente motivato dalla curiosità, ma dalla certezza che l'arte di battere il ferro era in grado di produrre veri e propri capolavori, vere e proprie opere d'arte al pari delle arti così dette maggiori.

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