Incendi – Disboscamento

 Protezione Ambientale

 

  (Disegni di Antonio Barranca)

 

Suolo e vegetazione

 

Suolo e vegetazione sono strettamente interdipendenti e l’evoluzione (o la degradazione) dell’uno procede concordemente all’evoluzione  dell’altra. L’azione dell’uomo sui vegetali risulta spesso deleteria non solo per via diretta, ma anche per via indiretta, in quanto ha delle conseguenze sulla  evoluzione del suolo, la quale a sua volta è un fattore determinante nel processo di maturazione della copertura vegetale.

Il suolo è un componente degli ecosistemi in continua trasformazione. I fattori che sono responsabili dello sviluppo del suolo sono diversi e numerosi (tipologia della roccia madre, clima, morfologia del territorio), ma l’azione degli esseri viventi è certamente una delle  componenti   principali.

Anche il tempo è da considerare un fattore chiave nell’origine e nell’evoluzione del suolo. La formazione dei suoli è un processo rapido solo su scala geologica, non nei tempi umani, in quanto richiede parecchi decenni o addirittura secoli.

La formazione o il ripristino di un suolo maturo e fertile  che permetta lo sviluppo di un bosco richiede parecchio tempo, perché è il risultato di un lungo periodo di alterazione meccanica e chimica delle rocce,  associata alla decomposizione della materia organica, specialmente vegetale ad opera di alghe, batteri funghi.  , .

Altro fattore influente è il clima :

-       la temperatura condiziona l’attività chimica e biologica, tanto più intensa quanto più quella è elevata;

-       le precipitazioni  permettono i processi di lisciviazione e di dissoluzione (ma nelle zone incendiate il clima tende ad         essere arido ).

Perciò nei climi umidi i  suoli tendono ad essere spessi, con l’acqua, che muovendosi  verso il basso, liscivia le sostanze minerali : nei climi aridi  i suoli sono sottili e l’acqua si  muove verso l’alto per capillarità ( diventano sottili i suoli dei terreni  percorsi da incendi frequenti).

I suoli sottili permettono la crescita di una vegetazione di piante pioniere, i cui resti preparano un primo miscuglio di sostanza organica e sali minerali.

Per superare questa fase evolutiva occorrono parecchi anni perché si deve attendere la maturazione del suolo operata dall’azione concomitante degli animali, dei vegetali  e dei fattori abiotici .

L’aspetto più consistente del ruolo dei viventi sulla dinamica del suolo risiede nell’apporto di sostanza organica fornito dai vegetali e nell’elaborazione di questi materiali operata dalla microfauna, dai funghi e dai batteri. La copertura vegetale fornisce infatti continuamente resti di materiale biologico (porzioni aeree che cadono al suolo – foglie e fusti –  parti morte dell’apparato radicale). Questi materiali vengono metabolizzati dagli organismi del suolo e convertiti in una miscela di sostanze organiche, l’humus, che conferisce al terreno la capacità di assorbire acqua.

Di pari passo maturano le successioni ecologiche vegetali come  la  gariga, una steppa di  piccoli

cespugli legnosi pulvinati ( dalla tipica forma a cuscino) e man mano che il suolo si evolve arrichendosi di sali minerali e di humus,  fanno la loro comparsa i primi alberelli misti ai cespugli  della macchia bassa ed in seguito della macchia alta; si ha così la presenza di formazioni vegetali via via più esigenti in fatto di spessore di suolo, e più mature ,che si evolvono verso la  vegetazione potenziale (formazione del  bosco).

 

Incendi

Gli incendi possono classificarsi in  tre origini principali:

a)      origine naturale (1%)   per fulmini od autocombustione

b)      origine involontaria ( 24% ), appiccati dall’uomo per incuria od altro ( bruciare stoppie o rifiuti,           fuochi accesi             all’aperto )

c)      di origine dolosa  ( 75% ) vengono appositamente provocati dall’uomo con l’intenzione di far             danni o di             modificare il territorio ( pascolo, speculazione edilizia, vendetta, vandalismo ).

L’errata convinzione  che il fuoco renda fertile il terreno è tuttora radicata in ambiente pastorale perché  quella poca cenere  prodotta ha un immediato effetto fertilizzante , di gran lunga però superato dal danno della sterilizzazione del terreno poiché si bruciano la microflora e la fauna che ne alimentano l’humus e l’humus stesso.

Riportiamo alcuni dati riguardanti gli incendi.

Gli incendi, ancor più se ripetuti, distruggono tutte le forme di vita vegetale ed animale.

Nel caso di ambienti isolati come la Sardegna, terra ricca di specie importanti e di endemismi di pregio, il rischio di estinzione  di queste forme di vita è quindi molto elevato.

 

Progressiva riduzione degli areali del Cervo Sardo dal principio del secolo e

sua reintroduzione  nel Marganai

 

Si calcola un tempo di circa 200 anni affinché un bosco ripetutamente incendiato riprenda il suo aspetto originario e di circa 300 anni per far sparire le ultime tracce di incendio.

 

Ecco i tempi di crescita di alcune piante:

 

pino                

sughera

leccio              

 

20 anni

50 anni

75   anni

Sia nel processo di evoluzione sia in quello di degradazione del suolo e della vegetazione, gli incendi ed i disboscamenti incontrollati sono azioni antropiche di grande rischio per il territorio, ma anche per l’uomo, in quanto determinano una retroazione positiva che porta spesso ad effetti catastrofici.

Si innesca una spirale incontrollabile  di rapido e radicale cambiamento dell’ecosistema  per la  distruzione del manto vegetale  che favorisce l’erosione del suolo ed inibisce il successivo ricupero della vegetazione stessa.

La pioggia non più smorzata  dalle fronde, né frenata dalla macchia, cade direttamente sul terreno ove scorre con violenza sviluppando un’azione meccanica di erosione ed asportando lo strato superficiale, indispensabile per la crescita delle piante;  si scopre così la roccia di basamento e le acque acquistano ulteriore velocità di scorrimento e tendono ad erodere anche i terreni boschivi circostanti:  è l’inizio del fenomeno di desertificazione e di dissesto idrogeologico.

(Da: indagine sul pianeta terra)

È quindi evidente come l’intervento antropico irrazionale e non regolamentato possa essere origine di degrado dei suoli e della copertura vegetale, e come per favorire il recupero spontaneo dell’intero ecosistema sia indispensabile tutelare la vegetazione stessa. L’area del Buon Cammino è un caso emblematico di degradazione della vegetazione e del suolo causata dall’intervento dell’uomo.

Si legge in   “ Storia di Iglesias “ di Vittorio Angius  ( opera tratta dal Dizionario geografico - storico - statistico –commerciale degli stati di SM il re di Sardegna, di Goffredo Casalis ), che  nel diciannovesimo secolo  “ gli incendi devastarono i boschi annosi e che anche i pastori sulcitani spargevano per tutto le fiamme “.

In quel tempo si operò anche un  disboscamento sconsiderato  per legna da ardere o per far carbone o per uso industriale (ferrovie, miniere).

Nel nostro secolo,  soprattutto negli ultimi 40 anni, gli incendi, cadenzati con ritmi piuttosto intensi, hanno distrutto, sul colle, sia gran parte del bosco di sughera e di leccio , sia interessanti  specie faunistiche  cancellandole forse per sempre.

Tuttavia il colle del Buoncammino è solo una fra le vaste aree sarde ineressate dal fuoco: gli incendi in Sardegna sono pari a circa un terzo di quelli di tutta Italia e  ogni anno bruciano circa 6000 ettari di aree boschive; la provincia  di Cagliari è la più colpita in questi ultimi anni.

Abbiamo raccolto dati  a partire dal 1965  in cui si rileva la ripetitività degli incendi e la loro pericolosità, fino al vasto incendio del 1987 che ebbe risonanza sulle cronache locali per aver accerchiato l’ospedale Crobu.

Aspetto  del colle  Buon  Cammino  dopo l’incendio  (Riproduzione  fotografica  aerea  datata  agosto 1987,  concessa

dall’Ufficio Tecnico Comunale di Iglesias)

 

Buon Cammino

Mappa della vegetazione dopo l’incendio del 1987

 

Incendi avvenuti in località “Buon Cammino” in agro di Iglesias a partire dall’anno 1965 (comprendono anche quelli di monte Cresia e Bingiargia  lato colle):

anno           

località

superficie (Ha)

stato culturale del terreno

 

1965                   

Monte Cresia

3

 bosco (3Ha)

 

1967                  

Buon Cammino

2

bosco

1977                  

Buon cammino

2

bosco(1Ha)-  

altre culture (1Ha)

1985                  

monte Cresia

9

bosco (5HA)-

altre culture (4Ha)

1987

                 

S:Benedetto-4stagioni- Bingiargia-Buoncammino- Campera

1000

bosco (869Ha)

 altro ( 131 Ha )

1993                    

Buoncammino

2

pascolo cespugliato

1994 

Buoncammino- S.Antonio

11.5

bosco (7Ha), altro (4,5Ha)

1997 

 

Buoncammino  28/6

Bingiargia 26/7

0,02

0,03

Substrato

sterpi

1999 

 

Buoncammino- S.Antonio

27/6 Buoncammino 8/8

1

0,03

sughereta

pascolo cespugliato

 

Il  ripetersi degli incendi, il pascolo, i tagli sconsiderati determinano fattori regressivi di vario genere: nel  caso  da noi  studiato   hanno  prodotto  l’involuzione  nel terreno,  tanto da  poter  osservare  in alcune zone un suolo in regressione. secondo uno schema di questo  genere:

Conseguentemente la vegetazione è del tipo della prateria steppica con piante spinose ed erbe poco appetibili  per gli stessi animali.

 

Buon Cammino: Suoli di regressione con roccia affiorante – Compositae: Carlina corimbosa

        Liliaceae: Asphodelus microcarpus:                                                           Compositae: Ptilostemon Casabonae

             Compositae Galactites tomentosa                                                               (endemismo Sardo – Corso e Toscano)

 

Il patrimonio forestale è dunque un bene di primaria importanza, se conservato con razionalità perché.

a)      un suolo in buone condizioni può trattenere tramite le radici delle piante più del  80 % dell’acqua                                    meteorica ;

b)      le piante restituiscono all’ambiente  sotto forma di vapore circa il  60-80 % dell’acqua da esse assorbita, ( un                   pioppo può liberare circa 400 litri di acqua al giorno );

c)      le piante di giorno assorbono anidride carbonica ed emettono ossigeno;

d)      le piante riducono il pulviscolo atmosferico, trascinandolo a terra con la caduta delle foglie, ( un ettaro di conifere             assorbe anche  30-40 t/anno di pulviscolo,  I faggi arrivano anche a  70  t/anno );

e)      le piante con le loro radici trattengono il terreno e diminuiscono il rischio di dissesto idrogeologico di frane ed             alluvioni.

 

Due importanti funzioni  del suolo sono   quella di assorbire   l’acqua, creando la riserva  fondamentale  per la crescita  della vegetazione arborea e la possibilità di dare rifugio alla fauna; nella fotografia sono riconoscibili delle tane di conigli scavate nel sottosuolo.

Inoltre, la presenza di una copertura vegetale protegge il suolo dall’erosione esercitata dagli agenti climatici (principalmente le intense precipitazioni), e tale azione di protezione è tanto maggiore quanto più evoluta è la copertura vegetale. La vegetazione, inoltre, protegge il suolo dall’azione diretta dei raggi solari e ritarda la degradazione della sostanza organica favorendo la conservazione dell’humus.

L’ambiente è oggi  non più solo una risorsa naturale, ma è la risorsa economica di maggior valore di cui disponga l’umanità per il proprio futuro e per uno sviluppo equilibrato e duraturo.

Sarebbe imperdonabile responsabilità delle classi dirigenti e dei cittadini se questa risorsa venisse sciupata e distrutta lasciandola in  balia dell’inerzia dei molti e della speculazione dei pochi.

   

Aree protette: difesa del territorio

L’unico concreto gesto di protezione dell’ambiente che la nostra società è in grado di compiere, è la realizzazione di parchi e di riserve naturali. Essi hanno in comune luoghi notevoli per bellezze naturali, per interesse faunistico e floristico, per fenomeni geologici o storici di speciale rarità, che vengono tutelati dallo stato, o da altri enti pubblici, quali le Regioni e i Comuni. In questi territori è solitamente vietato cacciare, pascolare bestiame, tagliare piante, raccogliere fiori o prodotti della terra, per non intervenire nel delicato equilibrio animali – piante – ambiente; vi sono peraltro zone con tutela meno rigida, ma mirata alla corretta e non dannosa convivenza delle attività umane e dell’ambiente. A partire dal 1832, data di istituzione del parco di Jellowstone (U.S.A.), questo modello si diffuse in tutto il mondo. Alcuni dati messi a confronto, ci indicano che nel nostro paese (ancor più in Sardegna) vi è al riguardo ancora molto da fare; paesi densamente popolati come la Gran Bretagna hanno destinato a parco vaste aree del loro territorio.

Rapporto aree protette / superficie dello Stato

Germania           

26   %

 

 

 

Austria               

18   %

 

 

Giappone           

14   %

 

U.S.A.                

14   %

 

Gran Bretagna

11   %

di cui il 9 % sono parchi nazionali

 

 

Francia                 

8     %

 

 

Italia

5     %

 

 

Sardegna

0,6  %

 

 

 

 

Le aree protette in Italia

In Sardegna muove  i primi passi   la Legge Regionale 31 del 1989, che si  propone  di  istituire e gestire  un sistema di parchi e di riserve naturali ; perciò fra breve avremo, oltre al parco nazionale del Gennargentu,  8 parchi regionali, 60 riserve naturali, 22 monumenti natura.

 

 

Carta dei complessi forestali

 

I monti dell’iglesiente  (Marganai, m.te Linas, Oridda), verranno raggruppati in un unico parco regionale, il cui confine ovest sarà la s.s. n 126; l’area del Buon Cammino ne resterà quindi esclusa.