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SARDEGNA, PIAZZAFORTE DEL XX SECOLO

 

GLI ANNI FRA LE DUE GUERRE

 

Negli anni che precedettero la guerra mondiale 1914-1918, l’obiettivo principale individuato dai nostri comandi per la difesa della Sardegna era la conservazione e la difesa della Piazza di La Maddalena, data la sua importanza offensiva verso il Mediterraneo e difensiva verso il Mar Tirreno.

Durante il conflitto, anche considerando il ruolo secondario del fronte sardo, lo Stato Maggiore mise in opera un sistema di osservazione, rafforzato da alcuni “punti rifugio” armati con artiglierie campali obsolete, soprattutto in funzione antisommergibile.

Dopo la prima guerra mondiale, i mutati rapporti politici e la mutata tecnologia (cannoni a lunga gittata, possibile offesa aerea e sottomarina) portarono la Sardegna a diventare un vero e proprio “avamposto dell’Italia, il cui ruolo strategico segnerà tragicamente gli anni della seconda guerra mondiale, anche se lo sbarco in massa del nemico avverrà – come noto – in Sicilia (operazione “Husky”).

Paradossalmente però, dalla seconda metà degli anni ’30 l’importanza militare della base navale di La Maddalena subì un ridimensionamento, mentre crebbe l’interesse dei militari per una difesa “integrale” del territorio sardo, specialmente in funzione antifrancese.

Infatti pur considerando limitato l’apporto della Corsica ad eventuali azioni nemiche, la presenza di numerose truppe coloniali dislocate in Nord Africa (Tunisia ed Algeria) a breve distanza dalle coste sarde era fonte di preoccupazione per i nostri apparati militari. Si poteva ipotizzare, pertanto, che una occupazione dell’isola avrebbe rotto il cosiddetto “Fronte Tirrenico” (sistema Isola D’Elba-Sardegna-Sicilia) facilitando ulteriori azioni offensive del nemico, con sbarchi in Toscana e Liguria.

Inoltre, una riconquista dell’isola avrebbe comportato un notevole sforzo navale e logistico con mezzi tratti da altri scacchieri.

La Sardegna, peraltro, aveva anche una significativa importanza strategica offensiva in quanto dalle sue basi potevano facilmente essere controllate, ed eventualmente colpite, le basi francesi della Corsica nonché la “congiungente marittima” Tolone-Biserta, ritenuta indispensabile e vitale per la Francia. Queste importanti considerazioni si rilevano in una  “Memoria” del Ministero della Guerra, classificata allora come documento “riservatissimo”.

Questo scritto tracciava le linee guida cui si è ispirato il concetto di difesa e di fortificazione della Sardegna nei decenni successivi e durante la guerra 1940-43.

I principali compiti dei difensori erano cosi riassunti:

a) impedire gli sbarchi

b) contenere in breve spazio le eventuali truppe sbarcate

c) affrontare decisamente l’avversario, per “ricacciarlo” in mare.

Si ipotizzava che l’avversario avrebbe potuto trasportare, scortare e sbarcare un primo contingente di 2 o 3 divisioni (seguito da un eventuale secondo contingente, dopo il successo militare del primo). Di conseguenza, sarebbe stato sufficiente assegnare alla difesa della Sardegna un’aliquota di soldati pari al primo scaglione nemico, cioè 2 o 3 divisioni che avrebbero potuto, considerando le possibilità di manovra sul terreno, le risorse naturali locali, nonché il concorso della popolazione, far fronte a forze nemiche anche doppie.

Il concorso della Marina e dell’Aeronautica prevedeva compiti limitati alla ricognizione ed allarme, attacchi per infliggere danni ai convogli durante la traversata e, infine, azioni di ostacolo alla vita ed ai rifornimenti di un eventuale corpo sbarcato. La Regia Marina avrebbe potuto inoltre concorrere nel fronteggiare piccoli sbarchi o colpi di mano. L’onere maggiore di respingere eventuali sbarchi sarebbe gravato comunque sul Regio Esercito.

Per un concorso di fattori, si ipotizzava che uno sbarco non sarebbe stato tentato contro la costa orientale dell’isola. Ma tutte le altre coste erano a rischio: i golfi di Cagliari e Teulada, le coste e le isole del Sulcis, il golfo di Oristano, le rade di Alghero e Porto Torres, il golfo dell’Asinara e la costa occidentale della Gallura. Poiché le basi di partenza delle forze nemiche sarebbero potute essere quelle del Nord Africa, si prevedeva che l’attacco principale sarebbe stato orientato alla parte sud occidentale dell’isola (il Sulcis).

Viste queste considerazioni, si ipotizzava di imbastire, con le forze strettamente indispensabili, la sistemazione difensiva dei settori costieri di probabile sbarco. Più dietro una massa di manovra avrebbe dato uomini e mezzi per la vera campagna difensiva.

Abbandonata l’ipotesi (per questioni di bilancio di stato) di costruire una nuova base navale a S.Antioco, venne studiato un programma per la costruzione di 21 batterie della Regia Marina, di medio e grosso calibro, per difendere i settori marittimi di Cagliari e di La Maddalena e la rada di S.Antioco, dove sarebbe potuta sostare una nostra squadra navale.

Le ipotizzate batterie di Marina sarebbero dovute essere:

a) Cagliari: 1 di cannoni da 203 + 2 di cannoni da 152 

b) La Maddalena: 3 obici da 305 + 3 di cannoni da 105 + 1 di cannoni da 120 

c) S:Antioco: 2 di obici da 305 + 1 di cannoni da 203 + 3 di cannoni da 152.

Questo programma di rafforzamento non venne mai posto in atto.

Per gli altri capisaldi costieri (Oristano, Alghero, Porto Conte) si prospettava la creazione di difese mobili ed eventualmente fortificazioni occasionali.

L’organizzazione Militare prevedeva:

- come prima linea, forze navali ed aeree agenti a largo;

- seconda linea: servizio di vigilanza e difesa costiera lungo tutta la costa minacciata, capace di una prima resistenza In pratica avrebbe vigilato sulla costa la fanteria, supportata da opere difensive prettamente campali ed armata di mitragliatrici ma non di cannoni, assegnati solo alla massa di manovra.

- infine, l’ideale terza linea era costituita dalla “massa di manovra”, completa di artiglierie, che avrebbe fatto massa contro i punti di sbarco.

 

    

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ultimo aggiornamento: 03/01/2013

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