Daniele Grioni
ARCHITETTURA
FORTIFICATA CONTEMPORANEA ED AMBIENTE.
OSSERVAZIONI SUI
MATERIALI E SUL CONCETTO DI MASCHERAMENTO.
L’architettura militare non può essere ridotta al solo capitolo della
fortificazione. Tuttavia, nel corso del XX secolo tale applicazione si è
rivelata, di fronte all’aumentata potenza dei mezzi di distruzione, un
ottimo deterrente psicologico ed una necessità per gli strateghi. La prima
guerra mondiale decretò in Europa la sconfitta del concetto di una opera
fortificata isolata, imponente e dotata di artiglierie sotto cupola
d’acciaio. Infatti nuovi mezzi d’artiglieria appositamente concepiti
fecero a pezzi queste imponenti “corazzate statiche”, vere e proprie
“batterie blindate” più che linee continue di fuoco. Citiamo il caso del
Forte Montecchio Nord di Colico (Lecco). La struttura, costruita nel 1914
secondo criteri di fatto superati, venne ritenuta pericolosamente esposta
a tiri dei mortai d’assedio nemici ai quali, essendo dotata di cannoni da
149 millimetri a tiro teso, non avrebbe potuto efficacemente rispondere.
Una sorte tremenda aveva poco prima segnato la fine dei similari impianti
nordeuropei e italiani, smantellati dagli obici nemici. Nel 1914-18 si
visse appieno e a caro prezzo tutta l’efficacia di linee fortificate
continue per armi automatiche e fucilieri. Era questa una fortificazione
campale, basata cioè su modesti scavi in terra di trincee, piazzole ecc.,
successivamente resi più resistenti con lavori in calcestruzzo armato o in
caverna. Secondo questi nuovi criteri si costruì, ad esempio, la
Occupazione Avanzata Frontiera Nord, meglio conosciuta come “Linea
Cadorna”. Questa era caratterizzata da consistenti fasce di reticolato,
estesi trinceramenti in scavo, postazioni per mitragliatrici e cannoni in
caverna, calcestruzzo o allo scoperto. Le umili trincee che permisero ai
francesi di arrestare l’invasore tedesco accesero negli anni ’30 una
“mania” per le linee fortificate profonde e continue. Oltre alla
celeberrima Linea Maginot francese sorsero in questo decennio sistemi
fortificati in Germania (Westwall e Ostwall), Finlandia (Linea Mannerheim),
Polonia, Belgio, Olanda, Cecoslovacchia, Svizzera, Jugoslavia, Grecia
(Linea Metaxas) e Russia (Linea Stalin). In Italia sorse il Vallo Alpino
(del Littorio) la cui edificazione, intrapresa in casi isolati già alla
fine degli anni ’20, continuò sino a guerra inoltrata. Sempre durante la
guerra sorsero sistemi fortificati costieri in Sicilia, Sardegna, Calabria
e Puglia, mentre lavori di minore entità vennero condotti dalla Toscana
alla Liguria ed in Corsica.
In
questo studio concentriamo l’attenzione sulle caratteristiche costruttive
delle opere ed in particolare sul concetto di mascheramento, che segna il
trionfo – per ovvie necessità tattiche – di un costruito estremamente
rispettoso dell’ambiente circostante. Con lo scopo di meglio illustrare
questo concetto forniremo una serie di immagini.
ORGANIZZAZIONE
DIFENSIVA
Senza la pretesa di scendere eccessivamente nel dettaglio per quanto
concerne la “filosofia” di un sistema difensivo, è tuttavia opportuno
definire in apertura alcuni concetti teorici.
La
fortificazione si definisce campale, semipermanente o permanente a seconda
dei materiali impiegati per la realizzazione, del tempo e dei macchinari
necessari alla realizzazione. Una trincea in scavo è opera campale, mentre
un bunker in calcestruzzo o cemento armato è opera permanente. I lavori di
fortificazione hanno il principale scopo di predisporre il terreno al fine
di aumentare la propria capacità d’offesa e diminuire quella
dell’avversario. Una posizione difensiva può essere studiata e
determinata sin dal tempo di pace, altrimenti assunta da un esercito nel
corso delle operazioni, al fine di ritardare la progressione nemica o
economizzare le forze in un settore permettendo così azioni offensive in
altre zone del fronte. Una volta occupata la posizione prescelta, essa
viene organizzata in settori. Una posizione difensiva è complessivamente
costituita da: una posizione di resistenza, una zona di
schieramento retrostante ed una zona di sicurezza antistante
alla linea di resistenza. In alcuni casi, come ad esempio in un teatro di
operazioni di montagna, possono essere costituite più posizioni difensive.
Nel Vallo Alpino Littorio vennero studiate di norma tre linee difensive
scaglionate in profondità, rinforzate in alcuni settori da ulteriori
bretelle o raddoppi.
La
posizione di resistenza è costituita a sua volta da centri di fuoco
(permanenti, semipermanenti o campali) avanzati ed arretrati, ottimizzati
mediante un attento studio dei settori di tiro delle armi (armi
automatiche, mortai, artiglierie controcarro). Ogni posizione difensiva
necessita per essere efficace di una serie di ostacoli per fanterie
(filo spinato, abbattute di alberi, bocche di lupo, mine) e per mezzi
motorizzati (fossi o corsi d’acqua adattati allo scopo, fosso e muro
anticarro, profilati metallici infissi nel terreno, mine anticarro).
Posizioni di speciale importanza tattica possono essere organizzate “a
caposaldo”: si tratta di un sistema di più centri di fuoco collegati
da trincee, capace di difendersi a giro d’orizzonte. Infatti l’intero
perimetro è considerato linea di resistenza. La zona di sicurezza deve
poter essere battuta dalle artiglierie difensive, concentrate nelle
successiva zona di schieramento, dove si raccolgono le forze di rincalzo.
In ogni posizione difensiva è indispensabile assicurare:
l’organizzazione del comando (osservazione e trasmissioni) e
l’organizzazione del fuoco (logorare il nemico a distanza, arrestarlo
davanti alla linea, eliminare infiltrazioni), realizzata mediante un
“reticolato caldo”, ovvero il concorso delle armi a tiro radente ed
incrociato. Oltre a garantire efficacia di rifornimenti e trasporti, la
linea difensiva deve prevedere la possibilità di alloggiamento del
presidio. Tale alloggiamento può essere fornito dalle stesse opere
fortificate (brande, camerate e dormitori) o da ricoveri passivi (in
caverna o calcestruzzo). I maggiori lavori di alloggiamento in prossimità
di una fronte difensiva sono però costituiti da casermette in muratura,
baraccamenti in legno, cucine, latrine, abbeveratoi e stalle per
quadrupedi. Ogni sistemazione difensiva deve poter contare su efficaci
sistemi di filtrazione dell’aria. Questi possono servire sia come
protezione da aggressivi chimici e batteriologici, sia per evitare che i
serventi di una postazione vengano intossicati dai gas prodotti dalle
armi. Ogni soldato dispone di mezzi protettivi individuali (maschera
antigas, indumenti specifici, etc.).
IL MASCHERAMENTO
Terminata questa brevissima parentesi teorica, esaminiamo nel dettaglio
scopo, classificazione ed esempi di mascheramento.
Il
mascheramento ha lo scopo di sottrarre truppe, materiali e lavori alla
osservazione nemica, terrestre ed aerea. Il mascheramento è naturale
(occultamento) se si dispongono gli oggetti da celare dietro o sotto gli
elementi preesistenti del terreno. Il mascheramento è artificiale se si
serve di mezzi costruiti ad arte; è detto palese se lo schermo che cela
l’oggetto è visibile, ma è costruito in modo da imitare perfettamente
certi elementi predominanti dell’ambiente; è occulto se con mezzi
opportuni (schermi mimetici) riesce a confondere l’oggetto con il terreno,
ovvero a far sparire letteralmente l’oggetto dall’ambiente. I reparti si
occupano del mascheramento delle proprie armi, mentre spetta alle truppe
del Genio provvedere a mascheramenti di utilità generale o che necessitano
tecniche e materiali particolari.
Il
mascheramento deve procedere col procedere dei lavori, essere intonato
all’ambiente e “vivere con l’ambiente, cioè trasformarsi con esso,
seguendone tutte le mutazioni di colore e di tono”.
I
colori impiegati dovevano essere simili a quelli naturali, inalterabili
dagli agenti atmosferici affinché non venissero rivelati da
apparecchiature come i filtri ottici. Prevedendo le particolari
sollecitazioni dovute all’impiego, i materiali di mascheramento potevano
essere sottoposti a procedimento di ignifugazione servendosi di cloruro
ammonico, fosfati di sodio e ammonio cloridrato di allumina. Al fine di
ridurre possibili giochi di ombre, i manuali militari raccomandavano di:
ridurre al minimo il rilievo delle opere, costruirle col minimo numero di
piani raccordandole dolcemente col terreno circostante ed infine sfruttare
ove possibile zone di ombra permanente. Fra i mezzi di mascheramento
naturale dominavano la zolle, erbe, arbusti, spuntoni di rocce, fichi
d’India o siepi. Tale economico mascheramento necessita però di una
costante cura e manutenzione.
I
mezzi di mascheramento artificiali sono invece reti guarnite con
vegetazione e mantelli mimetici, teli da tenda chiazzati, sacchi di canapa
colorati e cemento retinato. Quest’ultimo, una perfetta simulazione della
pietra, si otteneva fissando su un’armatura di legname rete metallica di 1
centimetro per 1 successivamente rinzaffata.
Il
mascheramento poteva essere realizzato anche mediante chiazzatura
policroma in vernice, accostando colori detti sporgenti (gamma del rosso,
arancione, giallo, verde) e rientranti (gamma dell’indaco, violetto,
nero). Durante la tinteggiatura si accostavano colori complementari nel
cerchio cromatico: il procedimento consentiva di confondere le superfici
ad una certa distanza. Venne utilizzata ampiamente pietra del posto,
utilizzata per rivestire le pareti in calcestruzzo, oppure direttamente
amalgamata con legante. Nell’ambito delle difese approntate in Sardegna il
profilo smussato dei bunker venne rettificato mediante porzioni aggiunte
in mattoni a simulare costruzioni abitative, così come vennero utilizzate
coperture in tegole o eternit, completate da camini posticci. Finte
finestre erano dipinte sulle pareti delle opere, altrimenti le feritoie
erano celate alla vista mediante portelli amovibili a simulare imposte. In
qualche caso la fortificazione venne realizzata appoggiandosi direttamente
a preesistenti emergenze architettoniche come torri costiere, ruderi, ecc.
DAL VALLO ALPINO
ALLA FORTIFICAZIONE COSTIERA
E’
opportuno sottolineare come fra le fortificazioni del Vallo Alpino
Littorio, di fatto la nostra misconosciuta Maginot, e le postazioni
realizzate dal 1942 sulle coste d’Italia esista una costante, notevole
differenza tecnica. Nel Vallo Alpino rinveniamo spesso impianti realizzati
in caverna oppure in calcestruzzo su più livelli, capaci grazie alle
impressionanti masse coprenti di resistere ai tiri di grosso calibro.
Inoltre nel Vallo venne impiegato un discreto campionario di corazzature
per feritoia, cupole osservatorio, cupole per mitragliatrice, speciali
affusti per armi, porte e garitte in acciaio speciale. In alcuni casi
anche le artiglierie della G.a.F. (Guardia alla Frontiera) furono
installate in posizioni coperte in roccia o calcestruzzo. La
fortificazione costiera italiana dovette essere approntata in fretta e
furia nel corso del conflitto, pertanto si optò per una sistemazione
ovunque leggera, organizzata sulla linea di costa mediante postazioni
principalmente campali e scoperte, con pochi fortini a pianta circolare
protetti solo contro schegge o tiri di piccolo calibro (raramente di medio
calibro). Sui tratti di costa impervia era assicurato il solo servizio di
vigilanza. Dietro questa prima linea si potevano trovare gli “archi di
contenimento” e gli sbarramenti stradali. I primi erano vere e proprie
fronti fortificate con opere in calcestruzzo, destinate a rallentare la
progressione del nemico sbarcato, nell’attesa che sopraggiungessero le
divisioni mobili di rinforzo. Gli archi di contenimento ospitavano anche
batterie di Artiglieria del Regio Esercito, destinate ad agire sulle
spiagge dello sbarco e posizionate in impianti scoperti con ricoveri,
osservatori e riservette per munizioni. Gli sbarramenti stradali erano
progettati in corrispondenza di passaggi obbligati e tratti di terreno
inadatti ai carri armati. Fossati ed ostacoli anticarro, campi minati e
reticolati cooperavano con postazioni di mitragliatrici ed armi anticarro,
sistemate in barbetta scoperta a filo del terreno oppure in bunker di
calcestruzzo. Nel limite del possibile le opere fortificate erano
collegate fra loro e coi Comandi di Settore mediante rete telefonica a
filo o apparati radio.
CONCLUSIONI
Ancora oggi il Vallo Alpino del Littorio impressiona l’escursionista che
ne rinvenga gli imponenti resti e sono state attivate politiche di tutela
e valorizzazione. Chi dovesse invece visitare i resti dei sistemi costieri
rimarrà stupito da un’impressione di generale povertà, ma non va
dimenticato come l’Italia del 1942 fosse assillata da molteplici carenze e
da necessità belliche prioritarie. Non ci soffermeremo su questi aspetti
politico-strategici, né sul tipo di armamento di questi sistemi, comunque
basato sulle normali dotazioni delle truppe mobili. Da un punto di vista
costruttivo sorprende l’utilizzo del solo calcestruzzo, non rafforzato da
armature metalliche se non a rinforzo delle feritoie. Come nella prima
guerra mondiale, così anche alla fine degli anni ’30 i manuali militari
italiani ritenevano questo materiale capace, anche senza l’uso di ferro,
di assorbire e contenere le sollecitazioni derivanti da colpi nemici.
Questa concezione tendeva a sposarsi però con la nostra politica
autarchica e con la necessità di risparmiare acciaio. I molti fortini
siciliani gravemente lesionati nel corso dei combattimenti del luglio 1943
testimoniano tragicamente l’arretratezza della concezione italiana,
soprattutto se paragonati alle opere tedesche della Normandia, che
resistettero ad un diluvio di ferro e fuoco proprio grazie alla fitta
armatura metallica. Molte delle opere oggi demolite vennero ridotte in
questo stato solo da successivi esperimenti Alleati. La fortificazione
italiana venne sì eretta “in economia”, ma era funzionalmente ben
progettata nel disegno e nelle capacità di assicurare, in taluni casi, la
protezione ed il fuoco a giro d’orizzonte. Inoltre, le nostre piccole
opere costiere sfuggivano all’osservazione nemica in misura decisamente
maggiore rispetto ai grossi impianti tedeschi. Non è un caso se i tedeschi
chiamarono “tobruk” il loro piccolo fortino a pozzo concepito nel corso
del conflitto, copiando quanto poterono vedere lungo la linea difensiva
della nostra piazzaforte africana. Il generale Mario Caracciolo di
Feroleto, artefice della difesa di Toscana, Sardegna, Lazio e Corsica, fu
strenuo partigiano di queste piccole opere, segno di una “fortificazione
d’astuzia” contrapposta alle impressionanti opere francesi e tedesche.
Molto sarebbe da dire ancora, ma ci permettiamo di suggerire piuttosto una
serie di esplorazioni sul campo, da Ventimiglia a Rijeka, lungo il Vallo
Alpino, oppure in Sicilia e Sardegna. Oltre all’aspetto prettamente
storico di queste vestigia, il cultore di architettura potrà prendere
direttamente visione, nonostante successioni spoliazioni e vandalismi, di
tutti gli accorgimenti messi in opera dal “genio italico” per celare il
costruito ed armonizzarlo con l’ambiente circostante.
A.S.S.FORT Sardegna.
Associazione Studi Storici e Fortificazioni
Sardegna, T. 070-542577;
assfortsardegna@tiscali.it