UN NUOVO MODO DI COSTRUIRE I CIRCOLI
DOCUMENTO FONDATIVO DI REDS


Settembre 1999

 

Premessa

Il PRC gode ancora di simpatie tra le masse popolari, nonostante che la sua incapacità di praticare una reale opposizione alle politiche antipopolari del governo, abbiano fatto segnare una diminuzione di consensi nelle tornate elettorali del giugno scorso.
Permane tuttavia uno "scarto" notevole tra questa simpatia ed il numero degli iscritti (e soprattutto dei militanti). In ultima analisi il Partito incontra grosse difficoltà a conquistare una nuova leva di attivisti. Noi pensiamo che questo "scarto" abbia varie motivazioni, una tra le quali è il permanere della fase di riflusso più generale, ma ancor più ve ne è una in particolare: i circoli hanno spesso modalità organizzative e pratiche politiche che sono inadeguate ai tempi nuovi.
Pertanto riteniamo che un nuovo modo di fare politica debba necessariamente partire proprio dai circoli. Scopo di questo documento è quello di esaltare la funzione del circolo come luogo aperto, accogliente, vivace e democratico e di denunciare (per combatterle) le modalità che favoriscono l'istituzionalismo, il burocratismo, il carrierismo, l'autoritarismo.
Ogni circolo ha le sue peculiarità, può avere in misura maggiore o minore i limiti che qui si criticano, ma, sulla base della nostra esperienza di militanti di base, quello che noi giudichiamo un vecchio modo di far politica è purtroppo assai diffuso nella maggioranza dei circoli.

 

Il Circolo: luogo di propaganda

I circoli oggi sono principalmente dediti alle seguenti attività: qualche assemblea pubblica (due o tre in un anno); attacchinaggi di manifesti provenienti dalla federazione; la festa. Per le elezioni c'è un surplus di attivismo (più per quelle comunali che per le parlamentari) che consiste nell'affissione di un numero maggiore di manifesti e in un paio di comizi, all'apertura e alla chiusura della campagna elettorale.
Questa pratica ha l'indubbio vantaggio di un investimento minimo di forze: bastano sei o sette compagni che si vedono una volta ogni quindici giorni e si danno un po' più da fare una volta l'anno in occasione della festa.
Le motivazioni a sostegno di questo modo di fare politica sono: così si fa "conoscere il partito", si "divulga la linea del partito", si "porta la bandiera del partito", si "fa vedere che ci siamo", mostriamo che "abbiamo preso posizione". Sono in definitiva motivazioni di tipo strettamente propagandistico.

 

Insufficienza dell'approccio propagandistico

Il periodo di riflusso che si sta protraendo ha indebolito la rete di rapporti e di solidarietà sulla quale era possibile contare fino a qualche anno fa: compito del PRC è quello di rivitalizzarla.
Occorre ridare protagonismo ai lavoratori e alla gente comune che sempre di più se ne sta chiusa in casa.
La semplice propaganda non è in grado di far vivere a questi soggetti esperienze concrete di lotta.
Un manifesto o un volantino non possono nulla contro i potenti mezzi di persuasione in possesso dei nostri nemici.

 

Creare gruppi e movimenti

È necessario quindi che il PRC si ponga su un altro terreno: creare gruppi, creare movimenti. Da non confondere con quegli orripilanti pastrocchi organizzativi che vedono riuniti insieme i gruppi dirigenti di partiti ed associazioni per il raggiungimento di un qualche obiettivo che non aiuta certo ad avvicinare gente nuova al partito.
I problemi che nascono nei quartieri, nella città o nella nazione dovrebbero portare il Partito ad attivarsi nella creazione di gruppi fatti di soggetti in carne ed ossa e che vedano noi, impegnati insieme ad altri in essi.
Una fabbrica sul territorio che sta chiudendo, una casa che sta per essere sgombrata, o più semplicemente lo svolgimento delle elezioni scolastiche, ecc. sono tutte situazioni in cui il partito può, al massimo, conquistare voti, se con i soggetti coinvolti in queste realtà ha un approccio puramente propagandistico (volantini, assemblee pubbliche, ecc.); ben altro risultato si avrà se in quelle situazioni i compagni entrano e promuovono comitati e lavorano gomito a gomito con i soggetti colpiti dal potere.
In tempi di riflusso creare un movimento intorno ad una rivendicazione concreta significa investire molto tempo, vuol dire assumersi forti responsabilità, spesso comporta andare incontro a sconfitte, frustrazioni. Tuttavia questo metodo ci consente di venire in contatto con gente che non è la nostra, e permette sia a noi che ai nostri compagni di movimento di vivere esperienze di lotta, che valgono più di mille scuole quadro. All'interno di questi organismi ampi, non di partito (chiamiamoli "di massa", anche se possono essere costituiti da poche persone) sarà possibile parlare, dialogare, far conoscere le posizioni del partito a gente che, essendo impegnata in un movimento d'azione, sarà certamente più ricettiva del distratto passante del centro città al quale consegniamo il nostro volantino.

 

Il Partito soggetto educatore di agitatori

Il partito deve educare ogni attivista a nuotare in ambienti che non siano quelli strettamente di partito. La maggior parte del lavoro politico in fabbrica o in ufficio deve essere svolto attraverso le RSU, il sindacato, e soltanto una minima parte come Rifondazione.
Se invece un comunista in fabbrica si preoccupasse ad ogni pié sospinto di piantare la bandierina di partito distribuendo ogni tanto qualche volantino su questo o quell'argomento, sarebbe giudicato da chiunque come deficiente (nel senso di insufficiente) o settario.
L'idea di comunismo verrebbe irrimediabilmente scollegata dalla lotta in difesa dei bisogni elementari di classe; è necessario invece che i comunisti vengano riconosciuti proprio in virtù della loro abnegazione nello svolgere bene, onestamente e democraticamente l'attività sindacale.
Sul territorio si deve agire allo stesso modo. I comitati, le associazioni e i movimenti sono i sindacati del territorio.

 

Il partito luogo di organizzazione dell'attività di massa

Il partito diviene pertanto il luogo organizzatore e coordinatore dell'attività di massa.
Allo stesso modo il circolo territoriale dovrebbe essere soprattutto il luogo dove i compagni orientano il lavoro collettivo e individuale negli organismi ampi (comitati, collettivi, associazioni, ecc.) creandoli dove non esistono. In questo modo il circolo diverrà il centro dove convergeranno le più diverse esperienze di lotta sul territorio. Il partito sarà così il luogo dove le esperienze parziali si faranno esperienza collettiva, dove le avanguardie sociali cresciute su problematiche specifiche diverranno avanguardie politiche in grado cioè di possedere una visione complessiva della realtà.

 

Nuotare nella nostra classe come il pesce nell'acqua

Il metodo che dobbiamo utilizzare dunque è quello di dar vita a gruppi autonomi dal partito e/o a rafforzare quelli che già esistono. Questo sforzo deve essere il più possibile finalizzato al radicamento in spazi fisici che per le loro caratteristiche possono moltiplicare l'efficacia e la forza dei gruppi che aiutiamo a formare: i quartieri popolari e le fabbriche. Sono questi i luoghi dove si realizza la maggiore concentrazione dei soggetti sociali che noi comunisti dobbiamo coinvolgere nella nostra azione politica.
Nel PRC si sente spesso parlare della necessità di "radicarsi". Ma essere radicati non significa semplicemente essere conosciuti, seppure magari per delle lotte passate; deve significare invece essere animatori di gruppi di lotta. Ed essere animatori significa non accettare la delega, non sostituirsi alle masse, non essere leader. Un comunista è un agitatore: non dice mai: "tranquillo ci penso io", ma: "hai un problema? bene, ti aiuto ad organizzarti insieme ad altri per affrontarlo".
Dobbiamo prendere esempio da quei gruppi di base, spesso di ispirazione cristiana, che in America Latina (ma non solo), hanno deciso di andare verso gli oppressi, elaborando una metodologia che i "classici" militanti di sinistra per lo più ignorano. È chiaro che è molto difficile radicarsi in un quartiere cominciando da zero, promuovere iniziative che appaiono "assistenziali" (recupero della terza media, doposcuola, comitati di quartieri, ecc.); sembra di scendere troppo in basso rispetto i contenuti della politica cosiddetta "alta".
Ma è in questo modo che si pratica il radicamento vero: toccare con mano cosa significa essere gomito a gomito con proletari in carne ed ossa (o i loro terribili figli), ostili al politichese, mal disposti verso la politica e terribilmente appassionati di calcio!
In ultima analisi radicarsi nei quartieri popolari (così come nelle fabbriche) vuol dire partire dai bisogni immediati, elementari delle masse che lì vi abitano; significa imparare a parlare meglio (cioè in maniera più semplice e ricca); vuol dire armarsi dell'umiltà necessaria a comprendere prima di giudicare.

 

Il rapporto con i movimenti

Quando diamo vita o entriamo in gruppi, comitati, ecc. dobbiamo avere lo stesso atteggiamento che dovremmo tenere verso il lavoro sindacale: il rapporto con i movimenti deve essere improntato al massimo rispetto della loro autonomia. I nostri compagni all'interno dei movimenti devono distinguersi per essere i migliori combattenti della causa concreta per la quale sorge il movimento, il loro compito è di far crescere e prosperare il comitato.
Il partito ha bisogno di acque abbondanti in cui navigare. Quest'acqua è costituita dai movimenti, dalle associazioni di massa, dai sindacati, dai comitati, ecc.
All'interno degli organismi di massa i compagni di Rifondazione porteranno ovviamente avanti le proprie idee e la linea discussa previamente all'interno del partito. Queste idee saranno sostenute all'interno dei movimenti non come imposizioni ma come proposte.

 

Una propaganda efficace

Fin qui abbiamo voluto mostrare non che la propaganda è inutile, ma semplicemente che è insufficiente. Ma ciò non significa che non si debba fare propaganda, bensì che quando si percorre questa strada, lo si deve fare in modo efficace.
Durante le campagne elettorali non serve sprecare energie in continui attacchinaggi, in volantinaggi, e/o in un comizio nella piazza centrale.
Il Circolo che intenda fare una propaganda efficace si preoccuperà di redigere non più di un manifesto su cui sono riassunte quelle tre o quattro cose elementari e comprensibili che porteremmo avanti se conquistassimo il comune. Si attiverà per organizzare mini-comizi nei quartieri popolari e periferici, e incontri con i movimenti e le associazioni del territorio per far proprie le loro rivendicazioni.
Le Assemblee pubbliche dovrebbero essere concepite come momenti in cui mettiamo in collegamento tra loro i vari soggetti dei movimenti che sul territorio abbiamo promosso o in cui siamo presenti. Lo scopo deve essere quello di mettere in condizione questi gruppi di fare un passo avanti nella direzione di una visione più complessiva della realtà.
I volantinaggi dovrebbero essere regolari e mirati nelle situazioni in cui si sviluppano le oppressioni, con il preciso intento di instaurare un rapporto stretto con quei soggetti che vogliamo conquistare alla lotta politica. È evidente che se l'ottica è questa, i volantinaggi fatti nelle piazze principali si traducono in inutili sprechi di energie.
Anche le feste del Partito acquistano un senso se diventano momenti di agitazione: feste con gli immigrati, con i comitati di lotta, ecc. Ha senso una festa che riunisca alla fine dell'anno politico tutti i pezzi di lavoro che i compagni portano avanti nei movimenti sul territorio. È necessario inoltre liberare la fantasia, coinvolgendo i giovani (il cui estro è sicuramente più vivido) e trovare forme nuove e vivaci di comunicazione. Teatro e spettacoli di strada, video per il movimento popolare ed altro, sono strumenti che attraggono più di qualsiasi comizio: cerchiamo di utilizzarli, di impararli, di ricercarne di nuovi.

 

Il circolo come luogo di democrazia

La vita interna del circolo deve, seppur parzialmente, rispecchiare il tipo di rapporti personali, politici e sociali che noi vorremmo costruire nella società per la quale combattiamo.
Le regole democratiche che rivendichiamo nelle istituzioni, nei luoghi di lavoro, nel sindacato, devono essere la normalità nei circoli.
La democrazia interna deve essere il perno su cui ruota la vita del circolo e sul suo altare dobbiamo sacrificare anche molto tempo, con la certezza che ne guadagnerà la crescita politica dei compagni, che si abitueranno a coltivare uno spirito vivace e critico.
Deve essere innanzi tutto salvaguardata la libertà democratica dell'espressione di tutte le sensibilità presenti nel circolo; pertanto nessuno deve essere discriminato a causa delle sue opinioni. Ne trarrà giovamento anche la qualità della pratica politica, perché dal libero confronto nascono le migliori idee. Il dissenso deve essere considerato una ricchezza. Un circolo i cui membri la pensano sempre allo stesso modo (cioè al modo del segretario) é un circolo malato.
Le diverse opinioni devono essere espresse in qualsiasi modo, compreso quello scritto, e il circolo deve salutare con piacere il fatto che vi siano compagni singoli o gruppi che mettano per iscritto il proprio pensiero.
I richiami all'unità del Partito non devono servire da ostacolo al libero dispiegarsi delle diverse opinioni. L'unità si deve costruire nella democrazia. Più precisamente non vi può essere unità senza democrazia.
Le decisioni più importanti devono essere prese solo dopo aver dato vita ad un'ampia discussione e ad un coinvolgimento approfondito degli iscritti; in questa fase tutti possono prendere le iniziative che credono più opportune per far vincere la propria posizione. Dopo di che si vota, e tutti sono tenuti a rispettare la decisione emersa a maggioranza. Questo rispetto per la decisione maggioritaria non ci sarà, se qualcuno rimarrà con l'impressione di essere stato discriminato.
Noi auspichiamo che le differenziazioni interne possano prendere anche una forma organizzata. Chi cioè all'interno del circolo la pensa diversamente ha tutto il diritto a riunirsi (e il circolo a prestare la sede, sempre che non sia occupata dalle attività centrali) e a dare pubblicità alla riunione di tendenza. Queste riunioni ovviamente dovranno essere aperte a tutti gli iscritti (compresi dunque coloro che non condividono le opinioni della tendenza) per sconfiggere un atteggiamento carbonaro e poco trasparente. Se si vietano le tendenze infatti, queste ci saranno lo stesso, ma clandestine, col pericolo che si induca alla delega a questo o a quel compagno, con tutta la degenerazione delle lotte tra personalità, per "bande", senza contenuto politico.
Le riunioni di circolo dovrebbero svolgersi in forma circolare, eliminando cioè il personaggio che sta dietro la scrivania. Anzi, si potrebbe proprio eliminarla, la scrivania. Queste attenzioni creano anche visivamente un'atmosfera di uguaglianza.
Va da sé che i compagni, specie coloro che parlano poco, non dovrebbero essere interrotti, insultati o scherniti, qualsiasi cosa dicano.

 

Il dibattito interno

Gli attivi degli iscritti sono gli ambiti in cui l'insieme dei compagni vengono orientati sul metodo di lavoro politico; pertanto non si dovrebbe far passare alcun fatto di rilevanza nazionale o internazionale senza l'approfondimento nel circolo.
Queste riunioni dovrebbero essere particolarmente curate e adeguatamente animate; non importa che sia presente "uno della federazione", basterebbe, se non ci sentiamo all'altezza della situazione, leggere insieme gli articoli dei giornali e commentarli.
Il dibattito nei direttivi dovrebbe invece affrontare questioni più squisitamente tecniche, che coinvolgendo inevitabilmente un numero ristretto di compagni eviterebbe di tramortire i più.

 

I congressi e le conferenze

I congressi sono un momento importante in cui si tira il bilancio del lavoro politico e si imposta quello successivo. La scadenza annuale permette inoltre una maggiore rotazione negli incarichi di direzione.
I congressi sono un'occasione di crescita politica, per questo dovrebbero costituirsi in palestra di democrazia, dove si stimola il libero dibattito.
Nei congressi le divergenze devono essere chiare, schiette e possibilmente presentate in forma scritta.
Le minoranze dovranno essere proporzionalmente rappresentate in tutti gli organismi (direttivo, rappresentanza al comitato politico federale, ecc.).
La forma scritta della discussione permetterà al congresso successivo di verificare il raggiungimento o meno delle ipotesi e degli obiettivi che ci si era prefissati.
È necessario porre fine con decisione al malcostume delle "truppe cammellate" al momento del voto sulle opzioni congressuali (e in qualsiasi altro momento), infatti chi per vincere i congressi utilizza le truppe cammellate e strumentalizza a tal fine i vecchi compagni dimostra il più totale disprezzo non solo della democrazia, ma anche degli stessi compagni, trattati come pecore per vincere le votazioni.
I compagni che si fanno usare come truppe cammellate non sono stupidi: si tratta di compagni che in buona fede cercano di aiutare, amano il partito e si fidano dei suoi dirigenti locali, che però non conoscono bene a causa della loro assenza dalla vita di partito. Viene carpita la loro buona fede.

 

L'organizzazione interna: il direttivo

La strutturazione del circolo deve essere tale da consentire al più ampio numero di iscritti di partecipare, decidere, militare. Per questo l'organismo che decide e fa dovrebbe essere l'attivo degli iscritti.
Occorre evitare che nei congressi si eleggano direttivi molto ampi. La loro ampiezza è inversamente proporzionale al coinvolgimento dell'insieme degli iscritti. Sarebbe bene che fossero di dimensioni ridotte. In questo modo i compagni del direttivo si sentirebbero obbligati a coinvolgere in maniera sistematica gli iscritti attraverso gli attivi. Se vi è un direttivo ristretto inoltre è ovvio che non verrà avvertito il bisogno di organi quali la segreteria.
Dunque un direttivo snello e operativo, che si convoca tra una riunione e l'altra dell'attivo, che prepara le riunioni di questo, organizza operativamente le proposte e le decisioni che lì sorgono e rappresenta il circolo tra un attivo e l'altro.
La periodicità dell'attivo deve essere fissata rispettando i tempi di coloro che sul territorio sono impegnati in attività di base o di movimento, o sul lavoro sono impegnati nel sindacato, altrimenti rischierebbero di essere penalizzati nel momento delle decisioni proprio coloro che lavorano di più e meglio.
Al fine di evitare che gli iscritti si trovino di fronte a decisioni predeterminate, e vedere svuotato il proprio ruolo decisionale, è fondamentale che il direttivo si presenti agli attivi in modo trasparente evitando di dare di sé una immagine di forzata unità: gli iscritti non hanno necessità di essere guidati come dei bambini.
Il direttivo inoltre deve sempre essere aperto alla partecipazione degli iscritti che intendano farlo, al fine di evitare che le informazioni possano avere una circolazione in ambiti ristretti.

 

L'organizzazione interna: gli iscritti

Il coinvolgimento di un numero sempre maggiore di iscritti dovrebbe essere l'ossessione di ogni circolo.
Deve essere definitivamente sepolta l'equazione partito di massa = partito con molti iscritti.
Per noi il partito di massa è il partito al cui interno vi è una larga massa di militanti. Un circolo che ha cento iscritti, ma dei quali solo 10 militano e solo altri venti partecipano agli attivi, non può certo dire di avere una base di massa.
A tutti quegli iscritti che non partecipano mai ad alcuna attività di partito (neanche agli attivi) e non fanno nulla sul territorio, si deve evitare di pregarli di fare la tessera.
Occorre che l'obbiettivo che annualmente ci si pone non sia quello di ripetere il tesseramento dell'anno precedente, ma sia invece quello di allargare la base dei militanti rispetto quelli dell'anno precedente.
Tutti possono fare qualcosa, anche se a livelli minimi: il principio che deve passare è che la militanza e il diritto di decidere sono un tutt'uno.
Per questo motivo l'arrivo di ogni nuovo reclutato dovrebbe mobilitare l'intero circolo per trovargli una collocazione, conoscere i suoi interessi, discutere un ambito di lavoro e di attività dove inserirlo.
Quello dell'autofinanziamento è un altro capitolo fondamentale. Spesso i circoli vanno avanti o con i soldi del tesseramento o con contributi che vengono dalla federazione. Si dovrebbe invece abituare i compagni, nei limiti delle loro possibilità, a versare una quota fissa mensile. Il partito avrebbe più mezzi, e sarebbe educativo per i compagni di base che sentirebbero ancora più "cosa loro" l'organizzazione.

 

L'organizzazione interna: il segretario

Nel nostro statuto è purtroppo prevista la figura del segretario. Si tratta di un'eredità dello stalinismo e della socialdemocrazia. Il partito bolscevico ad esempio è arrivato a fare una rivoluzione senza presidenti e segretari.
L'elezione del segretario di circolo comporta molti pericoli e nessun vantaggio. Non regge la motivazione secondo cui tale figura garantirebbe una sorta di rappresentanza ufficiale; infatti: se la vita interna del circolo è democratica i compiti di rappresentanza si potranno di volta in volta adeguatamente distribuire tra i compagni. Se si investe del compito un solo compagno il pericolo è che questi accumuli una mole di informazioni, di rapporti esterni ed interni, che gli conferiscono un surplus di potere interno che è soltanto dannoso per la vita democratica interna.
Occorre quindi portare avanti la lotta nel partito affinché questa figura sparisca; nel frattempo ogni circolo dovrebbe fare in modo di neutralizzarne le potenzialità negative.
Prima di tutto con la rotazione: ad ogni congresso si dovrà cambiare segretario (facendo in modo che il cambio non se lo diano sempre gli stessi), inoltre dividendo tutti i compiti di rappresentanza esterna tra i vari membri del direttivo o addirittura del circolo. Il segretario non dovrà sedere dietro ad alcuna scrivania, le relazioni introduttive nonché l'ordine del giorno dell'attivo e del direttivo dovranno ruotare tra i membri del direttivo (e non).

 

La rotazione

La libertà di tendenza interna non basta ad evitare il fenomeno della burocratizzazione.
Questa infatti ha cause che spesso nascono da motivazioni di tipo psicologico: il prestigio, il piacere di sentirsi importanti, di contare, di sentirsi stimati da altri dirigenti.
Questi fattori possono diventare prevalenti sulle motivazioni iniziali che hanno spinto il compagno alla militanza politica.
Per sconfiggere le tendenze alla burocratizzazione si deve utilizzare un meccanismo non a caso visto con ostilità da qualsiasi gruppo dirigente di sinistra per quanto rivoluzionario e libertario esso si dichiari: la rotazione degli incarichi.
Non siamo anarchici e sappiamo che per essere efficaci si deve ad un certo punto conferire delle deleghe, per coordinare le iniziative e le relazioni.
Ebbene: le deleghe devono ruotare. Il segretario ad esempio deve ruotare ogni anno, cioè ad ogni congresso. Anche il direttivo deve ssere rinnovato come minimo della metà dei suoi componenti ogni anno, l'altra metà l'anno successivo e così via.
Anche i consiglieri comunali a metà mandato devono ruotare, e non devono ripresentarsi in lista per la successiva elezione.
Sono del tutto pretestuose le argomentazioni secondo cui così "si farebbero andare via i compagni più capaci" ; infatti come sarà possibile far crescere la capacità dei compagni se non gli si consente la formazione di esperienza sul campo?
Inoltre il rientro dei compagni "capaci" nella base consentirà a questa di rendere più efficace il proprio intervento, perché questa base sarà sempre più composta da compagni che hanno fatto anche esperienza di direzione.

 

 

Il collegamento circolo-partito

Anche i compagni eletti nelle istanze superiori al circolo (Comitato Politico Federale, ecc.) devono ruotare per consentire a tutti i compagni di partecipare al dibattito ai più diversi livelli, poter accedere alle informazioni in modo diretto, assumere responsabilità decisionali.
La rotazione inoltre renderà necessaria la diffusione delle informazioni nei vari circoli; è proprio questa presa di possesso delle informazioni da parte di tutti i compagni che consentirà diverse prese di posizione, e il libero dispiegarsi del dibattito.
Gli ordini del giorno in discussione in Federazione devono essere preventivamente discussi nei circoli al fine di favorire la più ampia partecipazione al dibattito e l'emersione delle diverse posizioni.

 

Partito ­ Consiglio Comunale

La formazione delle liste per l'elezione del consiglio comunale deve seguire il criterio della valorizzazione del lavoro svolto dal circolo nel periodo politico.
In pratica il circolo deve puntare su quei compagni che non hanno mai fatto i consiglieri e che sono espressione di movimenti e realtà di base. In tale modo si garantirebbe il legame tra lavoro istituzionale e presenza sul territorio.
Il consigliere serve se è uno strumento in mano ai movimenti di lotta. Che senso ha un'interpellanza quando non è legata ad alcun movimento sul territorio? I consiglieri devono essere degli agitatori, approfittare del loro ruolo per essere in mezzo a tutte le situazioni in cui si muovono settori di massa. Ma questo ovviamente non sarà possibile se alle spalle non ci sarà un partito che quei movimenti non avrà contribuito a crearli e ad alimentarli.
Anche in questo caso la rotazione riveste un'importanza enorme. È molto difficile che un eletto, per quanto in buona fede, non si lasci influenzare dall'ambiente istituzionale.
Data la tendenza naturale di chi è eletto ad assuefarsi all'istituzionalismo o parafrasando Lenin al cretinismo comunale, il partito nel suo insieme (e non un gruppo specifico o una commissione, che finirebbe per acquisire gli stessi difetti del singolo consigliere) dovrebbe controllare l'attività dei propri consiglieri.
A metà mandato la metà degli eletti dovrebbe dimettersi e lasciar lo spazio agli altri (questo è un impegno che si deve richiedere loro prima di accettare la candidatura); in questo modo ci sarà sempre qualcuno nel consiglio comunale con più esperienza da trasmette ai nuovi. Alle elezioni successive non dovrebbero più essere ricandidati, per evitare il rischio della rielezione sulla base della notorietà e dei legami intrecciati precedentemente.

 

Il partito e i soggetti sociali oppressi

Il problema principale del PRC consiste nel fatto che il suo corpo militante (e di direzione) è essenzialmente costituito da impiegati, insegnanti, intellettuali, sindacalisti e laureati.
Gli operai iscritti al partito ma che militano sono pochissimi in quanto la loro presenza non è valorizzata e loro stessi si sentono spaesati in direttivi dove si parla costantemente in politichese e si discute di argomenti istituzionali poco coinvolgenti per chi in fabbrica vive una realtà profondamente diversa.
È sbagliato affidare incarichi dirigenti a gente che "sa parlare bene": un partito recluta secondo l'immagine che dà di sé.
Se il partito mette in vista intellettuali attrarrà intellettuali, mentre gli operai penseranno che si tratti di un luogo non adatto a loro.
Gli operai vanno dunque incoraggiati e valorizzati affinché vincano la loro modestia e i loro (ingiustificati) complessi di inferiorità.
Gli operai del circolo dovrebbero potersi riunire tra loro come minimo per sostenersi, parlare dei propri problemi.
Il nostro partito deve essere espressione non soltanto dei soggetti sociali oppressi dalla dominazione di classe (i lavoratori e le lavoratrici), ma anche di quelli che vivono altre forme di oppressione (e che spesso si aggiungono a quella di classe): si tratta delle donne (oppressione di genere), dei giovani (oppressione generazionale), delle nazionalità oppresse (oppressione nazionale: immigrati, ma non solo), delle minoranze sessuali (gay e lesbiche).
Questi soggetti vivono oppressioni specifiche nella società e spesso continuano a viverle all'interno del nostro partito.
La discriminazione è a volte molto sottile: nel caso delle donne si esercita spesso con lo scherno apparentemente benevolo, oppure ignorando i loro bisogni specifici, fissando, ad esempio, orari impossibili per le riunioni.
È importante che tra segretari, direttivo, rappresentanti al federale vi sia se possibile una presenza maggioritaria di donne: questa discriminazione alla rovescia attirerà al partito sicuramente altre donne, oltre ad assicurare una maggiore serietà e migliorare la democrazia interna.
Lo stesso ragionamento vale per i giovani, le minoranze sessuali e le nazionalità oppresse. È ovvio ad esempio che un segretario di circolo marocchino in un quartiere a forte immigrazione eserciterà una forte attrazione nei confronti degli extracomunitari oltre ad essere già di per sé un potente segnale antirazzista.
Ma tutto ciò non basta. I soggetti sociali oppressi presenti nel partito il proprio spazio se lo devono conquistare promuovendo momenti autonomi e indipendenti di analisi ed azione politica. Le donne devono potersi riunire per conto proprio senza rendere conto a nessuno di quel che fanno. Così i giovani.

 

Il partito, luogo dell'alleanza strategica tra i soggetti sociali oppressi

Nella storia del movimento operaio ha avuto sempre un ruolo centrale la questione delle "alleanze".
È vero che il proletariato (cioè l'insieme dei lavoratori dipendenti) ha bisogno di alleanze. La nostra classe sociale rappresenta da sola il 70% della popolazione economicamente attiva. L'altra classe sociale conquistabile potenzialmente alle nostre posizioni é quella costituita dalla parte dei lavoratori autonomi che non si servono di lavoro dipendente. Già con questa "alleanza" (tutta ipotetica, ovviamente) si arriva al 90% della popolazione economicamente attiva. Poi ci sono appunto quei soggetti sociali oppressi che attraversano le varie classi sociali o si collocano al di fuori di esse e non sono dunque computati nella "popolazione economicamente attiva" (ad esempio gli studenti, le casalinghe, gli immigrati clandestini, ecc.). Per troppo tempo il movimento operaio ha considerato le donne e i giovani, soggetti buoni solo per essere infilati in qualche discorso della domenica. Per quanto riguarda immigrati ed omosessuali invece non hanno avuto nemmeno questo onore.
L'oppressione di classe non è "più importante" dell'oppressione di genere, non viene prima e non ha alcuna precedenza, viene semplicemente insieme.
Lo stesso dicasi per le altre forme di oppressione.
Per questo si deve parlare di "alleanza", per sottolineare l'uguaglianza e il pari peso delle rivendicazioni e degli obiettivi.
I comunisti non devono essere solo "classisti", ma anche "femministi".
Il partito, a cominciare dal circolo, deve parlare ad esempio della violenza sulle donne con la stessa enfasi e la stessa energia e dedicandoci lo stesso spazio che dedica alle questioni salariali.
O il partito diviene il luogo di questa alleanza, o quei soggetti oppressi troveranno in altri ambiti gli spazi per la propria rappresentanza politica.

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