LA MALEDIZIONE DEI SOCIALDEMOCRATICI
IL GOVERNO DI CENTROSINISTRA E I DS


Luglio 1998 pubblicato sul mensile Reds

 

Come già segnalavamo nello scorso numero le elezioni amministrative parziali hanno segnato l'inizio di una nuova fase politica. Il rafforzamento del centro ed il ridimensionamento della sinistra (calo del PDS e dimezzamento del PRC) hanno costituito un potente segnale per tutti gli attori della scena politica e una rumorosissima sveglia per la sinistra, che però, purtroppo, si ostina a non sentire, proseguendo nel suo lungo sonno governativo.

Il PDS, come é nella tradizione della sinistra italiana, ha svolto il lavoro sporco della borghesia garantendo l'anestesia sociale durante il salasso storico che nelle ultime finanziarie ha assorbito risorse da tutti i settori della cittadinanza ad esclusione della borghesia (i cui profitti, nella logica del liberismo, vanno sempre salvaguardati, perché garantirebbero gli investimenti), pur di raggiungere l'obiettivo di assicurare un posto di rilievo alle classi dominanti italiane nel costituendo novello polo imperialista europeo.

È durata poco l'ingenua euforia con cui i dirigenti diessini hanno salutato l'entrata in Euroland, ma stiamo pur certi che negli anni a venire rivendicheranno stupidamente a merito della sinistra tale eroica impresa, così come il PCI trasudava orgoglio per aver garantito la "ricostruzione" nel dopoguerra o la "sconfitta del terrorismo" alla fine degli anni settanta. Come spiegare loro che si tratta di indubbi successi, ma delle classi dominanti? Non vi é alcun modo: risponderanno sempre: ma questi sono successi non di una sola parte, ma dell'Italia intera! In un'epoca in cui non si trova più un solo trombone della borghesia abbarbicato al concetto di patria, ecco spuntare i nostri socialdemocratici a cantarne le lodi.

Dato che non esistono successi della "nazione" ma solo successi di una classe a spese di un'altra, ognuno di quei "successi" vantati dai diessini ha comportato pesanti sconfitte operaie. Nel dopoguerra la "ricostruzione" in realtà ha significato il ritorno del potere padronale nelle fabbriche, il via libera a licenziamenti di massa e il calo dei salari. Negli anni settanta la politica del compromesso storico e dell'Eur ha fiaccato i potenti movimenti di massa che in quegli anni prendevano vita. Oggi l'entrata nell'Euro e la politica liberista del governo di centrodestra hanno comportato una secca diminuzione dell'attivismo operaio ed un disincanto di massa che non ha eguali negli ultimi decenni. Ma conosciamo la loro obiezione: si tratta di sacrifici necessari per il futuro, di cui beneficeranno anche gli operai. Ma gli anni cinquanta che sono seguiti alla ricostruzione e gli anni ottanta che sono seguiti alla sconfitta dei movimenti del decennio precedente non sono certo ricordati nella memoria operaia come anni d'oro.

Ci si domanderà: perché questo masochismo? Non si tratta forse di dirigenti capaci, preparati, formati da anni di lotta politica? Il problema non sono affatto le caratteristiche personali. Il fatto é che la dirigenza del movimento operaio italiano ha sempre provato un religioso terrore dello scontro sociale. E ciò accade in Italia più che in altri Paesi perchè da noi vi è una tradizione di maggiore radicalità. Il nostro é un Paese poco serio sotto molteplici punti di vista, ma almeno in questo qualche record mondiale lo detiene: ha avuto il più alto numero di scioperi, il maggior numero di scioperi generali, il più grande partito comunista d'occidente e, in questo secolo, tre crisi prerivoluzionarie. I nostri socialdemocratici hanno dunque una qualche ragione di temere lo scontro sociale o di accendere micce sulle quali non sono certi di poter rovesciare, quando vogliono, un paio di taniche d'acqua.

Il PDS si é illuso che garantire socialmente l'entrata dell'Italia nell'Euro servisse ad assicurarsi non solo il sostegno delle masse, ma l'eterna riconoscenza della borghesia italiana. La borghesia invece ha varie virtù, tra le quali una coscienza di classe mediamente superiore a quella degli operai ed una indubbia capacità nel far soldi, ma non la riconoscenza. Non fu riconoscente a suo tempo con il Partito Socialista di Turati & C il cui gruppo parlamentare si era così prodigato nei primi vent'anni di questo secolo a disinnescare innumerevoli conflitti provocati da masse affamate e indignate, perennemente sull'orlo della rivolta. Non lo è stata con il PCI nonostante i suoi sforzi a favore della "ricostruzione", salutando con sollievo la sua cacciata dal governo nel '48. Non lo é stata negli anni settanta, quando il PCI ha eretto un poderoso argine contro i movimenti, ma chiedendogli poi per tutti gli anni ottanta innumerevoli prove di "affidabilità". Passata la paura di essere esclusi dall'Euro, anche in questo caso la riconoscenza comincia ad evaporare: fioccano negli editoriali dei quotidiani controllati dai grandi gruppi acidi commenti sui diessini.

Si fossero almeno guadagnati la riconoscenza delle masse lavoratrici! Ma queste non ne hanno alcuna ragione. I diessini nel loro delirio istituzionalista hanno pensato che il successo della borghesia (ma che loro chiamano, ricordiamolo, successo dell'Italia) sarebbe stato considerato tale anche dalle masse popolari. Si tratta di un delirio nel vero senso del termine. Stiamo al vocabolario: "stato di alterazione e confusione mentale con allucinazioni". Allucinazione: "percezione senza oggetto, ritenuta reale dal malato". I diessini, assuefatti a far politica nel chiuso delle aule parlamentari o cosigliari, abituati a pensare che l'opinione pubblica sia quella degli editorialisti della borghesia, sprezzanti nei confronti di chi li richiama all'importanza del radicamento sociale, hanno scambiato qualche striminzito complimento di Agnelli per il consenso automatico della "nazione", ma la nazione, fortunatamente costituita in gran parte da lavoratori, li ha puniti nel momento al quale tengono di più: le elezioni, astenendosi nel centro nord o tornando a votare le vecchie consorterie al sud.

Il fatto é che le grandi masse non seguono affatto tutti i balletti istituzionali e misurano assai concretamente, e secondo noi assai giustamente, le capacità di chi governa sulla base delle proprie condizioni di vita. Queste masse hanno percepito che l'Euro non le ha migliorate e con ogni probabilità non le migliorerà in un immaginabile futuro, né ha migliorato le possibilità di trovare un lavoro o aumentare il salario. Lo stesso abbaglio i nostri riformisti l'hanno preso nel secondo dopoguerra quando, stupefatti, dopo la "ricostruzione", si accorsero della disfatta elettorale, e il bis si ebbe alla fine degli anni settanta. I meriti vantati dai riformisti insomma interessano settori di massa che generalmente non votano a sinistra, ma al contrario, le sono, per ragione di classe, ostili.

Il risveglio dei diessini è stato dunque assai brusco. Stavano facendo un così bel sogno, con un Euroland trasformato in Disneyland, e ora si ritrovano nel bel mezzo di un incubo. Pensiamo a quel poveretto di D'Alema che ogni tre per due parlava di una nuova classe dirigente che doveva passare ai libri di storia (immaginando di esserne ricordato come capo nonché unico membro), trattato coi guanti bianchi da ogni media, oggi deriso per il penoso fallimento della Bicamerale e messo alle strette dalle manovre di centurie di resuscitati democristiani.

Le ultime vicende dovrebbero servire da lezione per coloro che classificavano il PDS tra i moderni partiti liberali (borghesi, diremmo noi). La natura di classe di un partito non la cambia un gruppo dirigente, per quanto furfantesco. Il PDS rimane un partito della classe lavoratrice che lo vogliano o no i suoi dirigenti che, sappiamo bene, s'affannano ad intravvedere orizzonti "oltre" la socialdemocrazia (dato che il termine sarebbe troppo di sinistra), che sfoderano sorrisetti sfottenti appena qualcuno gli parla di classe operaia, ecc. Il problema materiale con cui anche questi dirigenti devono fare i conti però é che la loro base (elettorale e/o di iscritti) è formata da lavoratori salariati e a questi il partito deve rendere conto. Per loro é una sorta di maledizione, ma se i consensi elettorali calano, i socialdemocratici non servono più a niente, nemmeno alla borghesia, che i suoi partiti più o meno fidati ce li ha già.

In questo senso un po' di timidissime preoccupazioni cominciano a sorgere anche tra loro: va letta così la lotta sotterranea dei ministri diessini per "allargare i cordoni della borsa" di Ciampi, il plenipotenziario degli interessi generali della borghesia nel governo. E del resto anche i diessini premono per "risolvere" il problema della disoccupazione. Certo, le risposte diessine alla disoccupazione fanno rabbrividire e vanno sostanzialmente nella direzione di una flessibilità controllata. Ma per i borghesi la disoccupazione non é un problema reale, almeno entro certi limiti, se non come giustificazione per peggiorare le condizioni di lavoro degli operai. Per i diessini invece la disoccupazione é un grossa fonte di preoccupazione, da risolvere, perché altrimenti si intacca la propria base sociale e, terrore dei terrori, può aumentare la conflittualità sociale. Ricordiamo quello che è accaduto a Napoli un paio di mesi fa in occasione degli scontri provocati dai disoccupati. Le inamovibili burocrazie sindacali si sono precipitate a cavalcare la tigre proclamando lo sciopero generale della Campania per far sfogare un po' la gente.

Poi é venuta la manifestazione nazionale del 20: doveva portare secondo i primissimi obiettivi sindacali mezzo milione di persone, poi ridottesi a trecentomila, ma in piazza c'erano poco più di centomila persone. Se teniamo conto che i funzionari sindacali, tutti precettati all'occasione, sono quasi quarantamila, la misura del fallimento appare evidente. A questo punto le burocrazie del movimento operaio sono costrette a muoversi perchè se perdono quel consenso perdono tutto, i loro posticini nelle istituzioni, il rispetto della controparte e via via i loro posti da funzionari, ecc.

La socialdemocrazia é, così, sulla difensiva. Sente che sta perdendo il consenso della sua base sociale senza guadagnarne un'altra. Segnali evidenti di questa paralisi sono la vicenda della Bicamerale e quella della "giustizia".

Come sappiamo la Commissione Bicamerale era un organismo del Parlamento costruito per varare "riforme istituzionali" che avrebbero dovuto portare il Paese ad un assetto costituzionale un po' più autoritario, ma con garanzie all'opposizione. Da parte dei diessini vi era anche la dichiarata volontà di "imbrigliare" l'opposizione in un gioco istituzionale (dato che le riforme secondo la volontà del PDS o si facevano di comune accordo o non si facevano) che ne impedisse il ricorso alla mobilitazione di piazza, terrore del PDS (che non ha alcuna intenzione di mobilitare la sua, di piazza, per paura di una radicalizzazione dello scontro). Sui lavori della Bicamerale i diessini hanno scommesso a fondo impegnando a tempo pieno il proprio segretario. Berlusconi ora l'ha affondata e la Commissione e tutti i suoi lavori, che avevano occupato per mesi le prime pagine dei giornali, sono evaporati con la primavera. L'obiettivo di Berlusconi é chiaro: avvicinarsi al "centro" di Cossiga, che non voleva la Bicamerale, e tornare a un'immagine di oppositore radicale. Berlusconi infatti, contrariamente alla sinistra, ha "l'occhio alle masse". Sa che un'opposizione radicale, in una situazione di scontento di massa, paga. I diessini sono rimasti terrorizzati di fronte a questa prospettiva e per questo hanno rinunciato a denunciare l'atteggiamento di Berlusconi magari utilizzandolo come argomento di propaganda (avrebbero potuto accusarlo di mancanza di serietà, di aver mandato tutto all'aria perché l'unica cosa che gli interessa sono riforme della giustizia che gli assicurino di non finire in galera, ecc.) ed hanno fatto di tutto perché la Bicamerale finisse senza alcun clamore, nella "compostezza parlamentare", "senza schiamazzi". Così Berlusconi non ha dovuto pagare alcun prezzo né davanti al pubblico ristretto della borghesia né davanti alle grandi masse. La Bicamerale rimarrà come monumento all'imbecillità del riformismo.

Sulla "giustizia" i fatti sono noti. Dopo la condanna in primo grado di Berlusconi per corruzione questi ha chiesto una commissione d'inchiesta su "tangentopoli", ma in buona sostanza sui giudici di tangentopoli. Insomma un ribaltamento: il tentativo di mettere sul tavolo degli accusati non i corrotti, ma coloro che hanno colto i corrotti con le mani nel sacco. I diessini alla fine hanno accolto la proposta con un clamoroso voltafaccia (il giorno prima avevano dichiarato che mai avrebbero accettato). La ragione é che si sono spaventati perché la commissione rischiava di essere approvata senza il voto del PDS. Di nuovo il PDS, invece di approfittare del momento per fare propaganda di massa, ha scelto il basso profilo. Ha preso atto degli equilibri parlamentari senza neanche tentare di cambiarli con un'azione esterna, come sempre fa la destra. C'é da meravigliarsi che un sondaggio riveli che la maggioranza degli italiani pensi davvero che Berlusconi sia un perseguitato? La sinistra per viltà, per paura dello scontro non rispetta le più elementari regole della comunicazione. Se una popolazione distratta e scoraggiata, disinteressata e disgustata dalla politica sente tutti i giorni un signore strillare di essere perseguitato e i suoi potenziali oppositori starsene zitti, é chiaro che un qualche effetto quel signore l'ottiene. I diessini rinunciano così ad utilizzare uno strordinario strumento di propaganda: la lotta contro i corrotti (il che non significa automaticamente la delega in bianco ai giudici).

Questa possibilità l'ha invece colta da solo Di Pietro, nella sua rumorosa (quindi udibile a livello di massa) polemica contro il Presidente Scalfaro il quale si era unito, con il discorso nel CSM, al coro di coloro che vogliono riabilitare la vecchia classe dirigente (e a cui non é seguito invece alcun commento da parte della sinistra). Di Pietro si candida così a raccogliere in futuro i consensi di quella fetta di elettorato trasversale, giustizialista, che la sinistra avrebbe potuto conquistare, o mantenere. Affronteremo nel prossimo numero la questione "giustizia" dal punto di vista marxista.

E Rifondazione? Il nostro partito é totalmente subalterno ai metodi e alla direzione diessina. Sulla Bicamerale il PRC ha assunto una posizione ambigua, apparendo in realtà soltanto preoccupato di salvaguardare i propri spazi istituzionali. Sulla questione giustizia la posizione é indistinguibile da quella del PDS. Ha votato contro l'allargamento della NATO, ma il suo atteggiamento é stato timido, dunque alle larghe masse difficilmente comprensibile: votava contro la maggioranza che sostiene, ma affrettandosi ad assicurare che la cosa non era poi tanto grave. E allora perché votare contro? Se la questione NATO era così importante doveva essere affrontata con grinta, determinazione, minacciando la crisi. L'atteggiamento é stato così sottotono che a livello di massa é passato solo che il PRC rompeva un po' le scatole, ma non si capiva bene per cosa. Il governo ha poi costretto il PRC ad una "verifica" dalla quale si uscirà con ogni probabilità con i soliti "risultati". Ormai questo tira e molla é insopportabile perché gran parte dei lavoratori ne hanno perso l'oggetto: perché il PRC é scontento? Cosa vuole? E se é scontento perché continua a stare in maggioranza?

Una lezione ci viene dai cardinali. Monsignor Ruini, a capo della Conferenza Episcopale Italiana, ha detto a mo' di rimprovero nei confronti del PPI e del suo scarso entusiasmo nei confronti delle direttive ecclesiastiche: "i cattolici non devono farsi condizionare dallo stare al governo ad ogni costo. Le battaglie su alcuni principi si possono vincere anche all'opposizione mobilitando le coscienze". Al posto di "cattolici" mettiamo "comunisti", al posto di "coscienze" mettiamo "masse" e il gioco é fatto. Se stanno in piedi da duemila anni qualcosa vorrà pur dire.

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