MOLTO RUMORE PER NULLA?
LA CRISI DI OTTOBRE DEL GOVERNO PRODI


Ottobre 1997

 

DUE PREMESSE SUL PERIODO E SULLA FASE

Il nuovo periodo politico che si apre con il 1989

L' '89 si é ripercosso in Italia con una serie di eventi che hanno cambiato il volto politico del Paese. Per questo, e non solo a causa delle riforme elettorali in senso maggioritario, si parla di "seconda repubblica": si vuole chiamare così l'assetto politico e istituzionale che sta prendendo forma dopo quasi cinquanta anni di ininterrotto regno democristiano. Sia il campo della sinistra che quello borghese hanno subito una drastica ristrutturazione. Ha cominciato il PCI che, con un travagliato processo, si é trasformato in un compiuto partito socialdemocratico, il PDS, cui é subito seguita la formazione alla sua sinistra del PRC, che ha presto assorbito anche i resti dell'estrema sinistra. La borghesia invece non é riuscita a ristrutturare la propria rappresentanza politica. All'inizio degli anni novanta aveva spinto, con i suoi media e un'esposizione pubblica senza precedenti della Confindustria (l'organizzazione che riunisce il capitalismo industriale), affinché le inchieste giudiziarie che normalmente venivano soffocate seguissero il loro corso e assestassero un duro colpo a DC e PSI. Questi partiti erano ormai inservibili per i compiti che la borghesia già aveva individuato in un mondo dalla sempre crescente concorrenza internazionale.

L'azione dei giudici che dettero vita a "tangentopoli" é andata però oltre le iniziali aspettative della borghesia, che si é ritrovata di fronte un vero e proprio vuoto di rappresentanza politica. Questo vuoto é stato riempito da Berlusconi, proprietario in Italia delle tre maggiori reti private, che, servendosi in gran parte del management della sua azienda, ha creato dal nulla in pochi mesi una nuova forza politica, direttamente da lui manovrata: Forza Italia. Anche il MSI, partito neofascista che sino ad allora era stato tenuto ai margini della vita politica, si trasformava "moderando" e modernizzando il proprio profilo politico: nasceva così Alleanza Nazionale. La vecchia DC si frantumava: una parte (CCD e CDU) si alleava con la destra e un'altra (PPI) con il PDS.

La ristrutturazione del centro destra però non ha mai goduto dei favori del capitale italiano. Nell'unico anno (1994) in cui il centro destra ha governato non é riuscito ad assicurare alcun punto a favore della borghesia ed ha promosso invece una conflittualità sociale di cui il capitale avrebbe fatto volentieri a meno. La caduta del governo Berlusconi fu salutato con un rialzo dei titoli di Borsa. Alla borghesia non piace che FI sia un partito teso innanzitutto a difendere gli interessi privati di Berlusconi (preoccupato di mantenere ed allargare i suoi affari e di evitare le inchieste della magistratura nei suoi confronti). Non é un partito quindi che mira a rappresentare gli interessi dell'insieme della borghesia, ma solo di una sua piccolissima parte. Il fatto poi che non esista all'interno di FI alcun tipo di democrazia interna (non ha mai celebrato un congresso) la rende impermeabile alle pressioni esterne della borghesia. Di AN invece la borghesia non tollera il suo scarso liberalismo: per cultura politica e concreti interessi elettorali al Sud infatti, questo partito é poco incline ad esempio alle privatizzazioni.

Il periodo aperto dall'89 ha conosciuto sino ad ora quattro fasi: la prima caratterizzata dalla caduta del vecchio regime (tangentopoli) e dalla trasformazione del PCI in PDS, la seconda segnata dalla vittoria della destra, la terza dal governo Dini con il PRC all'opposizione, la quarta dal governo del centro-sinistra.

La fase politica aperta con la vittoria della coalizione di centrosinistra (aprile 1996)

All'interno del periodo aperto dall''89, la fase cominciata nell'aprile del 1996 é caratterizzata dalla presenza del governo Prodi, un ex democristiano, sostenuto da Rinnovamento Italiano (dell'ex ministro del governo Berlusconi, Dini, di orientamento di centro-destra), dall'Ulivo e dal PRC. Il PRC é nella maggioranza che sostiene il governo, ma non fa parte del governo. L'Ulivo é una coalizione che comprende il PPI, il PDS e i Verdi. Si tenga presente che la vittoria elettorale di questa coalizione é stata resa possibile dal fatto che una parte della destra (la Lega Nord) si é presentata per proprio conto. Sommando i voti la sinistra passava dal 33% del '94 al 33% del '96, il centro alleato al PDS dal 18% al 11% e il centro destra dal 49% al 56% (dato dall'insieme dei voti della Lega e di quelli del Polo, costituito da FI, AN, CCD, CDU). Si vede dunque che, dal punto di vista numerico, la vera vincitrice delle elezioni '96 é stata la destra, ma a causa della sua divisione (che non si era verificata nel '94) si ritrova ad avere un numero inferiore di seggi.

Il governo Prodi ha concesso immediati vantaggi alla borghesia (ad esempio un contributo per la rottamazione dell'automobile che più volte la FIAT aveva chiesto invano al governo Berlusconi) e soprattutto ha assunto in pieno, con entusiasmo e determinazione, il mandato della classe dominante a far entrare l'Italia nella moneta unica europea. La gestione economica del governo é sostanzialmente affidata a Ciampi, ex governatore della Banca d'Italia ed ex Presidente del Consiglio, che, in sostanziale accordo con la Banca d'Italia e il suo governatore Fazio, agisce da garante sia nei confronti della borghesia che del capitale internazionale. Il governo, con una serie di spericolate misure (tra le quali due finanziarie che sommano 100.000 miliardi), é riuscito alla fine a far convergere l'Italia sui principali parametri di Maastricht, ribaltando i pronostici negativi di gran parte degli osservatori internazionali e guadagnandosi la fiducia dei "mercati". Data la sostanziale acquiscenza dei vertici sindacali e dei due partiti di sinistra, sono stati possibili tagli impensabili per un governo di destra, nella più totale pace sociale.

La grande borghesia italiana é perfettamente consapevole della posta in gioco sullo scacchiere mondiale, con la definizione di tre blocchi economici (USA, Europa occidentale e Estremo Oriente) in dura e crescente competizione reciproca, e non ha alcuna intenzione di rimanere sola, fuori, ad affrontare forze soverchianti. Allo stesso tempo deve fare i conti con un tessuto economico "diffuso", scarsamente concentrato e con ridotti capitali a disposizione. È significativo il fatto che per le privatizzazioni in atto (esemplare il caso Telecom) il maggior ostacolo sia costituito dalla difficoltà a trovare capitali italiani in grado di far fronte a simili acquisizioni. Il governo Prodi é stata la prima entità politica a rispondere in modo adeguato al disegno strategico della borghesia italiana di inserirsi a pieno titolo nel cosituendo blocco imperialista europeo.

La borghesia accompagna comunque alla recente soddisfazione per i risultati ottenuti dal governo, anche una certa inquietudine. Nonostante tutto in questo governo non ci sono forze politiche di cui possa fidarsi ciecamente. Il PDS, per quanto moderata sia la sua linea politica, rimane comunque un partito legato al mondo dei lavoratori (la CGIL, di gran lunga il maggior sindacato dell'industria, ha un esercito di burocrati quasi tutti targati PDS) e a questo deve in ultima analisi rispondere. Il PPI é certo un partito che difende gli interessi complessivi del capitalismo, ma la sua cultura politica, derivante dalla DC, lo rende poco incline ad una pronta acquiscenza nei confronti delle esigenze dei "mercati". Per questo i media borghesi martellano incessantemente per favorire una ristrutturazione del centro destra che veda un secco ridimensionamento di FI e la creazione di una forza realmente liberale, diretta espressione degli interessi complessivi della borghesia. Come arrivarci? Purtroppo per i borghesi, in campo ci sono ancora diverse ipotesi e nessuna di queste si é al momento concretizzata. Per questo la borghesia appoggia l'Ulivo come "male minore". Per il futuro sperano in un sistema elettorale che veda alternarsi due poli: una sinistra simile a quella di Blair (con un PRC posto ai margini) e una destra "europea", senza la Lega Nord di mezzo. Tra questi desideri e la loro realizzazione c'é di mezzo un mare sempre più grande.

Il PRC giustifica il sostegno al governo Prodi considerando quest'ultimo una barriera contro la destra. Ogni voto favorevole alle misure di destra del governo é giustificato in ultima analisi dall'argomentazione che la destra farebbe peggio. La tattica con cui il PRC affrontava sino alle ultime vicende le misure antipopolari del governo consisteva in tre atti. Primo: il governo lancia una serie di misure antipopolari (finanziaria del '96, finanziaria di primavera, "patto per il lavoro" che istituisce il lavoro "in affitto", ecc.); secondo: il PRC dichiara di essere contrario e si apre dunque una trattativa governo-PRC; terzo: la trattativa si conclude con un PRC disposto a lasciar passare quelle misure in cambio di "qualcosa". Il "qualcosa" nel caso del via libera al DPEF del '96 era una "conferenza per il lavoro" (più volte rimandata, non si é mai fatta), nel caso della finanziaria passata erano "centomila occasioni di lavoro al Sud", cioé soldi versati dallo stato alle imprese del Sud perché facessero lavorare al di sotto dei minimi contrattuali e senza contratto dei disoccupati,. (nessun lavoratore é stato comunque sinora assunto con quel decreto), ecc. Questo "qualcosa" viene presentato dai dirigenti del PRC come "vittoria". Il successo di immagine derivante da questa tattica comunque discreto: la destra infatti ha sempre enfatizzato le "vittorie" del PRC dato che per ragioni elettorali ha interesse a far credere che il governo si sposta sempre più a sinistra. Anche l'Ulivo del resto non ha mai avuto interesse a ridicolizzare le "vittorie" del PRC, dato che ha bisogno dei suoi voti in Parlamento. Grazie a questo meccanismo il consenso elettorale del PRC é cresciuto, ma parallelamente a una secca diminuzione di attività delle masse.

 

LA CONGIUNTURA SETTEMBRE-OTTOBRE

A settembre il governo Prodi e il PDS, "azionista di maggioranza" del governo, hanno numerose frecce al proprio arco: Di Pietro ("eroe" della stagione di "Tangentopoli") ha accettato a luglio di correre con l'Ulivo in un collegio, il Mugello, resosi vacante; l''economia "tira" e la lira ha resistito ai blandi tentativi speculativi di agosto. La crisi della destra inoltre fa un salto di qualità con i maggiori quotidiani borghesi che vi soffiano sul fuoco. Ecco cosa scrive Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 31 luglio: "Dopo qualche apparente sussulto di vita, legato come al solito alle questioni della giustizia e dell'assetto televisivo, il centrodestra italiano é tornato con puntuale regolarità alla sua condizione abituale: la catalessi. Cioé a quell'assenza di iniziative e di parole d'ordine, a quel vuoto di proposte, a quell'incapacità di raccogliere forze significative e di imporre temi alla discussione pubblica, a quella svogliata inefficacia nel condurre le battaglie parlamentari, che lo affliggono e lo caratterizzano da quando é nato nell'ormai lontano 1994. Caratteristiche originarie che si manifestano in modo esemplare in due aspetti soprattutto: nella perdurante condizione di "anatra zoppa" del suo capo Berlusconi , impossibilitato e/o incapace di esercitare un qualsiasi effettivo ruolo di leadership politica, e nell'altrettanto perdurante assenza di un congresso di Forza Italia, che così si conferma un puro ammasso di parlamentari anziché un organismo dotato di realtà politica propria." L'adesione di Di Pietro, personaggio ideologicamente di destra, all'Ulivo dimostra che "il centrodestra non é preso sul serio neppure dai suoi stessi potenziali simpatizzanti. Anche costoro, infatti, se cercano chi debba rappresentarli e tutelarli politicamente al meglio, si rivolgono a sinistra". Questo editoriale suscita un putiferio e fa uscire allo scoperto chi nel centro destra punta ad un riassetto che ridimensioni Forza Italia. Le liti interne seguono un crescendo che arriva sino all'incontro separato e non concordato del segretario del CCD, Casini, con Prodi (8 settembre). Cossiga rilascia alla Stampa il 19 settembre una intervista che susciterà un largo consenso proponendo la costituzione di un "terzo polo", di centro sul modello della UDF francese, e auspicando la trasformazione di AN in una sorta di RPR (i gollisti).

Cronaca della congiuntura

Il governo Prodi, dunque, con il vento in poppa, affronta già dalla primavera la trattativa con i sindacati per convincerli della necessità di "riformare lo stato sociale" per poter "entrare in Europa". È ovvio che nel mirino ci sono le pensioni di anzianità (le pensioni cioé pagate dopo un certo numero di anni di lavoro, mentre vengono chiamate "di vecchiaia" quelle erogate al compimento di una certa età), ma nessuno ne parla. Radi incontri "tecnici" si susseguono prima di agosto tra governo e sindacati, con una Confindustria seccata dalla lentezza dei negoziati. Berlusconi si mostra disponibile a votare la "riforma", se "coerente" con le idee del centro destra. Sui maggiori giornali della borghesia invece viene affacciato il sospetto che in cambio Berlusconi chieda favori perché alla sua azienda venga concessa la licenza per il business dei telefonini (vedi incontro che doveva rimanere riservato di Prodi con il luogotenente di Berlusconi, Letta). Galli Della Loggia sul Corriere della Sera del 31 agosto: "Quella mano tesa é solo l'ennesima confessione di un'impotenza dietro la quale, peraltro, non é illecito scorgere in aggiunta anche più riposte e più discutibili intenzioni di do ut des".

La secondo fase comincia a settembre dove governo e sindacati danno vita ad incontri dai contenuti che vengono sostanzialmente tenuti nascosti all'opinione pubblica. Il 19 settembre ad esempio c'é un vertice tra dirigenti sindacali e Prodi che doveva rimanere segreto. La ragione é evidente. I sindacati hanno convocato per il 20 una manifestazione contro la Lega Nord. Il governo e il centro sinistra hanno interesse che riesca, sperando che ciò serva ad arginare la crescita della Lega. I sindacati d'altra parte promuovono la manifestazione sia per contrastare la campagna antisindacale della Lega (che arriva al "rogo" delle tessere sindacali in piazza) sia per distrarre i lavoratori da ciò che invece in quel momento sta a loro più a cuore: la trattativa sul welfare. Le manifestazioni del 20 raccolgono, secondo i giornali che danno ampia copertura e sostegno alla iniziativa, un milione di persone. Il governo aveva definito l'entità della manovra: 25.000 miliardi per la finanziaria di fine anno. Fossa, presidente della Confindustria, ne é soddisfatto (11 settembre) e considera "inopportuna" una crisi di governo.

All'indomani della manifestazione comincia la terza fase della vicenda: la trattativa subisce un'accellerazione ed entra nel vivo. I dirigenti CGIL, CISL e UIL contrattano sull'entità dei tagli a salute e pensioni accordandosi alla fine (26 settembre) su una cifra intorno ai 5.000 miliardi, senza entrare pubblicamente nel merito.

Il 27 settembre si apre la quarta fase: il governo presenta la finanziaria, che, con ogni evidenza, era stata concordata il giorno prima con i dirigenti sindacali. Questi ultimi dichiarano subito il loro accordo. La finanziaria prevede tagli per 5.000 miliardi a pensioni e sanità (senza dettagli, che saranno frutto di un accordo successivo con i sindacati), tagli alle poste e alle ferrovie, tagli sui trasferimenti agli enti locali (che saranno così costretti a ridurre ulteriormente le loro prestazioni sociali), incrementi della tassazione indiretta, ulteriori tagli alla scuola. Il PRC annuncia (28) il suo voto contario. Le trattative coi sindacati vengono interrotte (1 ottobre). La situazione politica si drammatizza poiché é chiaro che il PRC non voterà la finanziaria. Il PDS e Prodi minacciano le elezioni anticipate. Tronchetti Provera, amministratore delegato della Pirelli dichiara al Corriere (1 ottobre) che spera che la finanziaria sia votata da una maggioranza allargata al centro destra, vista l'indisponibilità del PRC. Agnelli, azionista di maggioranza della FIAT, a sua volta afferma che "ad andare alle elezioni si fa sempre in tempo. Credo che questo governo possa andare avanti, quello che ha fatto finora é molto importante, sarebbe un peccato che venisse vanificato".

Intanto il leader della CGIL Cofferati é quello che più si espone tra i tre sindacati: la UIL (con una dirigenza moderata di provenienza PSI) e la CISL (vicina al PPI) non escono allo scoperto. Ad un lunghissimo direttivo della CGIL, che durerà dal 29 settembre al 2 ottobre, Cofferati propone di accettare tagli alle pensioni di anzianità del settore pubblico e privato ad esclusione dei lavoratori impegnati in mansioni "usuranti" e quelli entrati a lavorare prima dei 18 anni. Alla fine questa proposta passa a larga maggioranza con il dissenso di tre componenti: la "sinistra della maggioranza" rappresentata da Sabattini (segretario nazionale FIOM) e Cremaschi (segretario FIOM Piemonte), l'Area programmatica dei comunisti (una corrente direttamente dipendente dai vertici del PRC) e Alternativa Sindacale (la corrente "storica" di opposizione nella CGIL, i cui dirigenti provengono in larga misura da DP, ma che nel PRC appoggiano la maggioranza, anche se "criticamente"). Sabattini proponeva di salvaguardare le pensioni dell'industria, le altre due componenti chiedono la difesa di tutte le pensioni.

Il 7 ottobre un dibattito alla Camera vede Prodi concedere al PRC sulle pensioni ciò che in realtà ha già concordato con Cofferati (salvaguardia lavori usuranti e lavoratori precoci), il PRC si dichiara non soddisfatto, ma chiede la trattativa e almeno l'accettazione di una delle controproposte del PRC (una legge sulle 35 ore a parità di salario, no ai tagli delle pensioni nel settore privato, l'assunzione di 300.000 lavoratori al Sud da parte dell'IRI-una holding statale in via di smembramento-, l'abolizione di alcuni ticket sulla salute, il blocco delle privatizzazioni). Bertinotti, segretario del PRC, afferma in aula: "non dico prendere o lasciare, non dico accettate tutte le nostre proposte ma almeno accoglietene una che dia un segnale di cambiamento". D'Alema, segretario del PDS, commenta sarcastico: "Bertinotti ha cominciato chiedendo il comunismo, e alla fine ha detto: datemi una cosa sola". Il Polo chiede le dimissioni di Prodi, ma é contraria alle elezioni e favorevole invece ad un governo di larghe intese che comprenda Polo e Ulivo e che serva a "portare l'Italia in Europa". La destra accusa il PDS e Prodi di volere le elezioni. Prodi prende tempo. Si ripresenta in Parlamento il 9 concedendo a Bertinotti ben poco (accetta di salvaguardare le pensioni di operai e "equivalenti", a "studiare forme di esenzione dai ticket per malati cronici e lungodegenti", a tenere sotto controllo "per un arco di tempo non breve" le società che racchiuderanno il core business dell'ENEL, la società elettrica statale, a considerare le 35 ore un "obiettivo programmatico"). Il PRC si dichiara insoddisfatto ritenendo di aver sentito parole e promesse, ma non fatti e scrive una mozione di sfiducia. Prodi senza farla votare presenta le proprie dimissioni al Presidente Scalfaro. Si apre la crisi.

E veniamo al quinto e ultimo atto. Nella stessa giornata (9 ottobre) comincia un pressing formidabile sul PRC da parte di tutti i media. Il PDS e Prodi preparano già le elezioni. Contro le elezioni si schierano invece Confindustria, il Presidente della Repubblica Scalfaro ("per avere le elezioni ci vogliono le condizioni non é sufficiente che qualcuno le chieda"), il PPI e la destra. Già il giorno dopo il PRC dichiara di essere pronto al compromesso. La mossa viene interpretata da tutti come un ritorno indietro. Bertinotti afferma: "non ci arrediamo, come sempre ci muoviamo per rispondere ai problemi del Paese e proponiamo di tentare un governo di programma per un anno sostenuto dalla maggioranza indicata dagli elettori il 21 aprile". Non accetta comunque di votare la finanziaria "così com'é". Prodi dopo un paio di giorni di dichiarazioni sprezzanti ("se Bertinotti ha cambiato totalmente idea allora é un suo problema, non un mio problema") si dice pronto a discutere, a patto che non si metta in discussione la finanziaria. Intanto si impegna in attività di sapore già preelettorale: il 10 partecipa ad una manifestazione a Bologna di 50.000 persone a favore del governo, l'11 incontra Di Pietro. Il 13 ottobre viene annunciato l'accordo. Il PRC voterà la finanziaria in cambio della promessa da parte del governo che a gennaio presenterà una legge per la riduzione a 35 ore dell'orario di lavoro (non si dice "a parità di salario" e si subordina tutto all'accordo tra sindacati e Confindustria). Il PRC si impegna inoltre in un anno di tregua con il governo. Preambolo dell'accordo: l'impegno del PRC a perseguire l'entrata dell'Italia nella moneta unica. La Borsa festeggia con un rialzo.

Rifondazione definisce l'accordo un "successo" sottolineando ad esempio che vengono salvaguardate le pensioni degli operai, ma evitando accuratamente di dire, secondo una tecnica collaudata, che vengono tagliate tutte le altre. Questa volta però il gioco non riesce: a tutti é evidente che il PRC ha dovuto cedere. Solo la Confindustria lancia un po' di strali contro l'accordo sulle 35 ore, prima di ricevere da governo e sindacati ampie assicurazioni che nulla si farà senza il suo consenso. Il direttore di Repubblica Ezio Mauro commenta in un editoriale il 15 ottobre: "il PRC ottiene quelle correzioni 'sociali' alla finanziaria che Prodi avave già offerto in Parlamento ma che non erano bastate: in più, può sventolare la bandiera della riduzione dell'orario di lavoro, con quelle 35 ore nel 2001 che funzionano da simbolo, totem e autogiustificazione per la marcia indietro e il ritorno di Berinotti nella maggioranza". Il Corriere della Sera del 14: "Le concessioni sulla finanziaria sembrano minime, comunque niente più di quelle che Prodi aveva già annunciato a Montecitorio nel fatidico giovedì e che i mercati avevano già assorbito". Prodi il 14 commenta: "abbiamo pagato un prezzo d'immagine; ma era il prezzo minore" e considera la riduzione d'orario "meta lontana". Cofferati vede positivamente l'accordo (che "restituisce ai sindacati il ruolo di protagonisti") anche é critico su alcuni "pasticci", come anche D'Antoni, leader della CISL, che non vede come si potrà andare dai lavoratori dell'industria discriminando uno o l'altro a seconda della mansione. Bertinotti rilascia ora dichiarazioni del tipo "questo governo si avvale di un personale politico più che degno, con punte di vera e propria eccellenza", assicura che "non ho mai chiesto l'autocritica a Cofferati, ho detto che l'intervento sulla questione delle pensioni di anzianità, in quel momento, era inopportuno. Tutto qui. Per noi la questione é chiusa".

Interpretazione della congiuntura

Perché Rifondazione ha votato contro la finanziaria e poi perché é ritornata sui suoi passi? Il PDS voleva davvero andare alle elezioni? Tutto torna come prima? Non é accaduto nulla? Sui giornali, sulle bocche dei leaders politici e i militanti di vari partiti appaiono le più svariate risposte a queste domande. Tenteremo una interpretazione degli avvenimenti che inquadri la congiuntura nella particolare natura della fase e del periodo.

Prodi e il PDS hanno lucidamente preparato la resa dei conti con il PRC. Sino ad ora, malvolentieri, hanno dovuto trattare con Rifondazione, certo, cedendo assai poco, ma rimettendoci oltre il tollerabile sul piano dell'immagine. Sin da settembre, come minimo, D'Alema e Prodi hanno deciso che di fronte alle misure economiche del governo questa volta le alternative sarebbero state solo due: cedimento secco del PRC o elezioni. In effetti mai come in questa congiuntura le condizioni erano per l'Ulivo favorevoli ad elezioni anticipate. A settembre il governo godeva dell'appoggio pieno della borghesia e dei suoi media, del capitale e delle istituzioni internazionali, aveva conquistato Di Pietro, ridotto l'inflazione ai minimi termini, il PIL era in crescita, la destra in crisi. Un sondaggio pubblicato sul Corriere della Sera il 2 ottobre assicurava che alla domanda "Come giudica il governo?" aveva risposto positivamente il 29,2 del campione a marzo, il 26,7 in aprile, il 32,7 a giugno, il 36,8 a settembre. In una maniera o nell'altra Prodi e il PDS erano determinati a liberarsi dal PRC: l'Ulivo sarebbe andato all'elezioni senza accordi con il PRC e avrebbe vinto, oppure il PRC cedeva e in quel caso, perdendo la faccia, si rassegnava ad un ruolo totalmente subalterno (lo stesso giocato attualmente dai Verdi). L'ipotesi che il PRC cedesse era considerata comunque remota, dato che questo partito ha sempre legato il suo appoggio al governo al fatto che pensioni e sanità non venissero toccate. Micheli, braccio destro di Prodi in materia economica, affermava sul Corriere del 25 settembre "come reagirà Bertintti davanti a un accordo chiuso che lo taglia fuori?".

È questo il punto. Il governo non ha mai cercato, in alcun momento, di trattare davvero con il PRC. L'ha ostentatamente tenuto ai margini, negando anche le più elementari informazioni. Atteggiamento davvero singolare se si considera che il PRC é parte indispensabile della maggioranza di governo. Molti commentatori nei momenti della crisi si domandavano: come é possibile che il governo non abbia pensato prima al rifiuto del PRC? Paolo Franchi sul Corriere della Sera del 8 ottobre ad esempio si domandava come mai "le proposte di compromesso non sono state avanzate e discusse con Rifondazione prima, quando la Finanziaria medesima era ancora in gestazione?" Il PRC infatti erano mesi che assicurava che non avrebbe mai votato tagli alle pensioni. Napolitano, esponente della destra del PDS e contrario alla strategia di D'Alema: "mi chiedo: o abbiamo sottovalutato le minacce di rottura, o abbiamo messo nel conto la sfida e la risposta, cioé il voto subito". Il governo aveva minimizzato per tutto settembre esternando "ottimismo" sugli esiti della trattativa sul welfare. Dispensava sorrisi, ma escludeva sistematicamente il PRC. Il 3 settembre si ebbe l'unico incontro prima della crisi tra Prodi e Bertinotti: una cena. All'uscita quest'ultimo, dopo qualche annotazione di carattere culinario, dichiarava: "le distanze restano. L'incontro é stato utile, la trattativa é iniziata". Ma la trattativa non comincerà mai. Nesi, esperto economico del PRC, dirà al Corriere della Sera del 28 come erano andate davvero le cose: "I segnali premonitori c'erano già stati durante quella maledetta cena a casa di Prodi quando il Presidente del Consiglio, abbandonando il tono pacioso disse a me e a Bertinotti: questa é la linea, se la volete seguire, bene, altrimenti restate fuori. E Prodi é stato di parola: il governo ha messo a punto una finanziaria che un partito alleato, come il nostro, non conosce ancora, e questa é pura provocazione". Oliviero Diliberto, capogruppo dei deputati del PRC, alla Camera il 9 ottobre dichiarava: "Avete predisposto il disegno di legge finanziario senza tenere in alcun conto un pezzo determinante della maggioranza. Avete trattato poi con le parti sociali senza alcun mandato da parte della maggioranza medesima, ben sapendo che noi eravamo e siamo nettamente contrari ai tagli alla spesa sociale e alle pensioni...Vi siete accorti della nostra presenza solo pochi giorni fa ed avete scelto, solo perché costretti dall'opposizione, a confrontarvi con noi in Parlamento, ma ormai avevate già depositato formalmente il disegno di legge finanziaria...Non ci avete ascoltato, non avete avviato in queste 48 ore appena passate alcuna vera trattativa, non avete cercato il compromesso. Abbiamo ricevuto parole cortesi, certo-finalmente-ma parole, non cose!" Franco Giordano, responsabile lavoro del PRC: "noi la trattativa col governo l'abbiamo cercata disperatamente, ma non c'é mai stata. Ci sono stati solo lodevolissimi sforzi personali di alcuni deputati" (Manifesto 10 ottobre). Il Corriere della Sera del 11 ottobre domanda a Cossutta: "L'anno scorso votaste manovre da 100.000 miliardi tra tagli e tasse" Risposta: "Vero e ci é costato non poco. Ma quella finanziaria l'avevamo contrattata direttamente. Bertinotti ed io passammo notti intere a discutere a Palazzo Chigi. Stavolta é stato fatto tutto alle nostre spalle". La Repubblica dell'11 ottobre intervista il deputato del PRC Nichi Vendola: "E tutti gli incontri segreti tra gli emissari?", risposta: "Macché. Lo sentivamo in tv, e ci chiedevamo ridendo: ma chi c'é a trattare se siamo tutti qui?". Rifondazione ha cercato fino all'ultimo il compromesso, ma anche all'incontro del 6 ottobre il governo non aveva mollato nulla di sostanziale.

Per i dirigenti di Rifondazione é esattamente questo il punto. Per loro é risultato inaccettabile non tanto il contenuto della finanziaria, quanto il fatto di essere stati esclusi da qualsiasi possibilità di influenzarla, anche se in maniera simbolica. Bertinotti e Cossutta hanno compreso perfettamente la posta in gioco: il disegno era quello di marginalizzare il partito, ridurlo ad entità superflua e subalterna. E questo spiega perché hanno costretto Prodi a presentare le dimissioni. In altri momenti (in occasione delle precedenti finanziarie, ad esempio) il partito aveva accettato compromessi ben peggiori di quello proposto da Prodi quando in Aula il 9 ha presentato le ultime proposte. Questa volta no: la ragione é semplice: non c'é stata trattativa, sono stati ignorati. Avrebbero forse avuto di nuovo un guadagno di immagine a livello di massa (anche se un po' più difficile del solito da gestire: le concessioni governative erano particolarmente risicate), ma avrebbero mandato un segnale chiaro a governo e PDS: d'ora in avanti potete farcene di tutti i colori, non reagiremo. Sul Corriere della Sera del 10 ottobre Paolo Franchi commenta: "sono stati Fausto Bertinotti e Armando Cossutta a decidere di giocare in una volta sola tutta la posta. Nella convinzione, fondata, che, con l'approvazione della Finanziaria, il tempo della tattica, per Rifondazione, si sarebbe definitivamente esaurito; e che il partito neocomunista avrebbe rischiato di vedersi costretto a rango di forza subalterna". Ma sentiamo direttamente Cossutta intervistato lo stesso giorno: "La nostra politica si basa sul binomio: autonomia e unità. Non accetteremo mai di essere forza subalterna: allora, meglio fare la sinistra del PDS, entrare nella Cosa 2 (la costituenda formazione politica comprendente PDS, pezzi dell'ex PSI, Comunisti Unitari, ecc. ndr). Senza autonomia non c'é agibilità politica. Qual é la capacità di incidere della sinistra del PDS? Qualche articolo, qualche intervista, un convegno...". Incidere: i dirigenti del PRC non vogliono essere dirigenti di secondo piano.

Un buon esempio di ciò che per loro ha significato essere messi in secondo piano é costituito dalla candidatura di Di Pietro nel Mugello. Questa é stata decisa in un incontro che, come al solito, doveva rimanere segreto, tra D'Alema e Di Pietro. Il segretario ha qualche giorno dopo lanciato la candidatura avvisando il solo Prodi e ignorando non solo il PRC, ma anche il resto dell'Ulivo, i dirigenti locali del PDS e la stessa segreteria nazionale del partito. I Verdi hanno protestato un po' per essere stati messi da parte, ma é chiaro che un trattamento simile é assolutamente intollerabile ad una forza come il PRC che viaggia intorno al 10%. Anche in quel caso la dirigenza del PRC dopo un qualche tentennamento, stretta contro un muro, é stata costretta a lanciare una candidatura alternativa (Curzi). Per Bertinotti e Cossutta non é questione di contenuti (forse se ci fosse stata una trattativa Di Pietro alla fine lo avrebbero accettato), il problema é contare, non essere tenuti in disparte, influire.

I dirigenti di Rifondazione del resto sottovalutavano la volontà di D'Alema di andare alle elezioni. Pensavano che le sue continue dichiarazioni che ponevano come unica alternativa alla Finanziaria le elezioni, fossero una tattica per spaventare il PRC, e farlo apparire come un indiretto supporter di un eventuale rivincita elettorale della destra. Invece faceva sul serio. Lo dimostra la tempistica conquista di Di Pietro, la non disponibilità a lasciare al PRC quelle piccole concessioni che avrebbero potuto consentirgli di salvare la faccia, e soprattutto il gioco di squadra con la dirigenza sindacale.

L'intesa con questa e soprattutto con Cofferati é stata determinante. Il 17 settembre alla Festa dell'Unità di Reggio Emilia i leader dei sindacati e D'Alema si incontravano per concordare la tattica ed anche il 30, come si viene a scoprire, c'é un incontro tra D'Alema, Cofferati, Marini e D'Antoni che doveva rimanere riservato. L'accordo presentava vantaggi reciproci. Da un lato D'Alema ha rassicurato la CGIL che nessun compromesso con Rifondazione avrebbe scavalcato il sindacato. Le confederazioni detestano il ruolo contrattualista che ha assunto la tattica del PRC e accusano il partito di "sostituirsi al sindacato". Troppo spesso nelle fabbriche i funzionari si sono sentiti dire "per fortuna che c'é Bertinotti", anche da lavoratori che votavano in tutt'altra direzione. Non volevano rischiare che si chiudesse un compromesso con il PRC su una proposta "più a sinistra" di quella concordata con i sindacati. Del resto a D'Alema l'alleanza con la dirigenza sindacale serviva non solo a portare a casa i tagli senza conflittualità, ma anche a stringere il PRC contro il muro ed isolarlo sindacalmente. Cofferati dopo la rottura rilascerà varie dichiarazioni, "come privato cittadino", in cui auspicava elezioni in tempi rapidi.

D'Alema e Prodi hanno dovuto lavorare sodo per arrivare alla resa del PRC o alle elezioni senza apparire come coloro che avevano lavorato sin dal principio per un esito "traumatico". È solo dopo che sui giornali hanno cominciato ad apparire commenti che scoprivano il gioco (e interpretavano la crisi in corso come lite interna agli eredi del vecchio PCI, e non c'é nulla che secchi di più D'Alema quanto l'associarlo al suo passato) e soprattutto dopo che la destra aveva apertamente accusato D'Alema in Parlamento di lavorare per le elezioni anteponendo gli "interessi di partito a quelli del Paese", che il D'Alema e poi Prodi hanno dovuto smetterla di seminare interviste provocatorie, e si sono dovuti preoccupare di costruirsi un'immagine di leaders disponibili alla trattativa, immagine cui si sono guardati bene dal far corrispondere la realtà. In questa chiave va letta la concessione dell'incontro PRC-governo del 6 ottobre. Solo sotto questa luce é possibile capire perché Prodi, dopo il discorso alla Camera del 7, sia tornato da Scalfaro e abbia aspettato 48 ore: se non avesse accolto il disperato appello del PRC, avrebbe chiaramente mostrato chi voleva le elezioni.

Una volta scatenata la crisi e una volta che tutti i media erano concordi nell'addossare a Rifondazione la responsabilità della stessa, il problema di D'Alema é stato quello di sconfiggere il partito trasversale antielezioni. L'interesse della borghesia era quello di approvare la finanziaria anche coi voti della destra e anche a prezzo di violare il bipolarismo e andare ad un governo tecnico o di "larghe intese". Interprete di questi interessi di classe é stato Scalfaro che ha usato ogni genere di pressione per evitare le elezioni, anche cercando di mettere in difficoltà il PDS, paventando la possibilità di affidare l'incarico ad un esponente della destra del PDS favorevole a un governo da AN al PDS. D'Alema si é opposto duramente a questa prospettiva, che avrebbe segnato un punto a favore di coloro che stanno lavorando per la costruzione di un "terzo polo" (nel cui disegno é iscritto anche il distacco del PPI dall'Ulivo). Sul Corriere della Sera dell'11 ottobre D'Alema dichiara: "facciamo presto. Senza di noi non é possibile alcun governo (...) temo (...) un disegno politico che tende a distruggere il bipolarismo e cambiare il corso della politica italiana ricostruendo una specie di DC". Gli domandano: "E se arriva un incarico a Napolitano o Violante?" risposta: "...la nostra bandiera la diamo in mano solo a persone fidate.". Per imbrigliare le titubanze del PPI, il PDS ha premuto perché alle consultazioni da Scalfaro ci si andasse come delegazione dell'Ulivo. È proprio per non apparire come il promotore della crisi, che Prodi e il PDS sono stati costretti a prendere in considerazione il dietro front del PRC.

Il 9 ottobre, giorno in cui il PRC ha provocato la crisi, la dirigenza del partito é stata colta dal panico. Per le ragioni che abbiamo detto non avrebbe potuto agire diversamente: solo concessioni sostanziali avrebbero potuto permettere di soprassedere al fatto di essere stata ignorata come forza politica, solo concessioni sostanziali avrebbero riaffermato la sua indispensabilità, la sua necessità, la sua non subalternità. Ma allo stesso tempo si é trovata a far fronte a pressioni alle quali non ha saputo resistere per più di 24 ore e che l'hanno portando alla capitolazione. Vediamole.

La prima pressione é stata quella dell'insieme dei media che hanno sparato tonnellate di inchiostro sulla "follia" e il radicalismo del partito. Per un partito profondamente legato all'immagine (il PRC ha uno scarsissimo radicamento sociale e una base militante assai ridotta, se paragonata alla quantità di voti) e ai media, ciò ha costituito motivo di fortissima preoccupazione (tempo fa Cossutta, presidente del partito, aveva detto: "il giorno che usciremo dalla maggioranza nessuno parlerà più di noi"). Le possibili argomentazioni del PRC erano del resto minate alla radice dalla tattica seguita in quest'ultimo anno. Sui giornali e alla televisione i commentatori si domandavano come mai il PRC respingesse tagli di qualche centinaia di miliardi, quando a giugno aveva votato a favore di un DPEF che ne prevedeva 8.000. Sul Corriere della Sera del 1 ottobre Paolo Franchi scriveva che "non é facile immaginare come Fausto Bertinotti e Armando Cossutta possano spiegare ai loro stessi elettori perché mai Rifondazione, dopo aver concorso per un anno e mezzo, in nome della pur aborrita Maastricht, a una politica di sacrifici, ingurgitandone, dal suo punto di vista, di cotte e di crude, mandino tutto a carte quarantotto proprio a un passo dal traguardo".

Vi é stata poi la pressione di pezzi di sinistra (intellettualità, mezzi di informazione, settori di burocrazia sindacale) a metà strada tra PRC e PDS, dal Manifesto alla FIOM, che hanno cominciato a sparare a zero sul partito. Sabattini rilascia dopo la crisi comunicati e interviste in cui accusa Bertinotti di non "aver accettato, provocando così la crisi di governo, le offerte avanzate da Prodi a Rifondazione" e difendendo Cofferati dalle accuse dei vertici del partito. Si tratta di un duro colpo per la dirigenza di Rifondazione che ha sempre riposto in questo settore di burocrazia sindacale molte delle sue speranze di contare un po' di più in CGIL (l'Area programmatica dei comunisti costituisce una frazione microscopica).

I dirigenti del PRC hanno verificato concretamente inoltre che il PDS riusciva efficacemente a contrastare i progetti di Scalfaro a favore di un governo di larghe intese e si sono trovati spiazzati di fronte alla determinazione di Prodi e D'Alema e dunque terrorizzati di fronte alla prospettiva di un appuntamento elettorale con l'accusa di aver favorito la rinascita della destra. Il PDS inoltre minacciava di rompere le intese siglate con il PRC in vista delle amministrative di novembre (dichiarazioni di Minniti, braccio destro di D'Alema, rottura a Genova).

Vi é poi stato lo sconcerto della dirigenza intermedia di partito, dai massimi dirigenti sino ai direttivi di circolo. Dall'epoca del congresso del partito, un anno fa, costoro utilizzano nella polemica contro la minoranza interna (la cosiddetta ex mozione 2, contraria al sostegno al governo Prodi) tutta una serie di argomentazioni che al momento della crisi si sono visti rivolgere contro dal PDS, dal Manifesto, dal sindacato ("fate cadere il primo governo sostenuto da tutta la sinistra!", "siete responsabili del ritorno di Berlusconi!", ecc.). L'assemblea dei quadri sindacali del 11 ottobre é stato un buon specchio per misurare questo disagio, che diveniva panico a mano a mano che si saliva "di grado" negli organismi dirigenti. Il discorso di Diliberto del 9 ottobre alla Camera del resto non é stato applaudito da sette deputati del PRC. Nesi si era preoccupato di mostrarsi in lacrime davanti ai giornalisti.

Il fatto é che due anni di subalternità alla strategia del PDS hanno "spostato a destra" il cervello di molti militanti del PRC. In generale rispetto ai tempi dell'opposizione dura al governo Dini, vi é stato un notevole calo della militanza (quest'anno molte Feste di Liberazione sono state dei fiaschi), ma non del consenso elettorale. Il calo della militanza non é dovuto solo a coloro che si sono allontanati non condividendo la politica di appoggio al governo Prodi, ma soprattutto allo spirito di delega al quale sono costretti dirigenti e militanti a causa della tattica del partito. Infatti nel corso delle ricorrenti polemiche tra PRC e governo nessuno mai sa realmente qual é il "punto di cedimento" del duo Cossutta e Bertinotti. In questa maniera ogniqualvolta si apre un contenzioso tra PRC e il resto della maggioranza, e che dovrebbe vedere un protagonismo della base se non altro come strumento di pressione, il partito entra in una sorta di paralizzante attesa di quel che sarà il risultato ignoto di una trattativa dal quale sono esclusi tutti fuorché due o tre dirigenti. Troppe volte i militanti e i dirigenti, anche i più alti, si sono sentiti dire: "su questo punto non cederemo mai!", cui seguiva regolarmente il cedimento. Nessuno si azzarda sul posto di lavoro a difendere a spada tratta le posizioni del PRC quando vengono espresse prima di una trattativa, per evitare di fare figuracce successivamente. Questa paralisi riguarda, si veda bene, anche gli stessi quadri dirigenti della maggioranza del PRC. La tattica tesa a guadagnare punti sul piano dell'immagine, ha fatto sì che l'insieme dei militanti preferisca ammirare alla televisione le brillanti performance oratorie di Bertinotti, che discutere in circoli che non contano nulla.

In quest'ultimo caso però questa dinamica si é ritorta contro la dirigenza di Rifondazione. Data l'abitudine al cedimento, ben pochi tra i militanti si aspettavano che Bertinotti e Cossutta facessero sul serio. Era sfuggita a molti la vera posta della crisi (mettere fuori gioco il PRC), dato che gli stessi dirigenti si sforzavano, per ovvie ragioni (non potevano passare per quelli che mettevano gli interessi di partito davanti a quelli di classe), di dimostrare che la crisi e la durezza di Rifondazione era dovuta a questioni di contenuto (le misure antipopolari della finanziaria). L'apertura della crisi da parte del vertice ha lasciato dunque impreparati dirigenti e militanti. Il PDS invece da tempo organizzava la sua base in vista di una crisi, e ha reagito immediatamente. Già alla sera del 9 ogni circolo del PDS promuoveva riunioni, organizzava volantinaggi per il giorno dopo, spediva fax, si mobilitava. La militanza del PRC era totalmente sulla difensiva e il vertice assolutamente impreparato (poiché si era sempre basato sulle contrattazioni ai vertici, possibili grazie alla forza parlamentare, e non sulle mobilitazioni) a attivare velocemente la base. Del resto occorre tempo: e il PRC contava che l'Ulivo alla fine cedesse su qualcosa di sostanzioso. In questo modo il PDS ha potuto impunemente organizzare alla marcia Perugia-Assisi (una manifestazione tradizionale del pacifismo e della sinistra) una contestazione di massa a Bertinotti, senza che vi fossero risposte significative da parte di una militanza perplessa e disorganizzata.

L'atteggiamento di Rifondazione, se da un lato aveva suscitato sorpresa e perplessità tra i quadri intermedi del PRC, aveva invece suscitato consenso nella potenziale base elettorale del partito. Un sondaggio pubblicato sul Corriere della Sera il 13 ottobre vedeva Rifondazione passare dall' 11.4% di settembre al 12,2 di ottobre. La Lega Nord diminuiva invece dal 9.6% a 8.6%. Sorprendente? Niente affatto. Mentre due anni fa, quando l'immagine del partito era più radicale (all'epoca dell'opposizione al governo Dini), il consenso elettorale del PRC si concentrava nei quartieri popolari e al Sud (e numerosi giovani cominciavano ad entrare nel partito), alle elezioni del '96 esso si era spostato verso la classe media. Nelle ultime elezioni la classe operaia del Nord ha eletto come primo partito la Lega Nord, mentre le popolazioni depauperate del Sud si sono rifugiate nell'astensionismo (l'astensione a livello nazionale ha toccato nelle elezioni del '96 il record dal dopoguerra: 82,7%, contro il 86,1% del '94). In quasi tutte le circoscrizioni elettorali del Nord, e soprattutto dove la classe operaia é più concentrata, dove il PRC aumentava, la Lega Nord diminuiva e viceversa (il caso più frequente).

Ciò che accade é semplicemente questo: il disagio e la rabbia sociale che covano negli strati non politicizzati del proletariato trovano espressione in un voto antisistema, che può andare di volta in volta alla destra secessionista (e che dunque appare "estrema" agli occhi delle masse) o all'estrema sinistra. Sia ben chiaro: la Lega Nord non é solo questo. La Lega rappresenta il frutto della crisi di rappresentanza della borghesia (che fa fatica come abbiamo visto a costruire un soggetto politico che sia in grado di rappresentare gli interessi complessivi del capitale e sia capace di una politica di alleanza con la classe media) e dell'insufficiente "radicalità" dell'attuale sinistra. Non é un caso che in quest'ultima vicenda la Lega sia sparita dal quadro politico. In tutti questi ultimi anni in cui la Lega é cresciuta essa é stata sempre assente nei momenti in cui si acutizzava lo scontro di classe (anche se nelle forme mediate e indirette degli scontri parlamentari). La Lega si limita a raccogliere i cocci che cadono da questi scontri. E sono cocci sempre più consistenti. Possiamo star certi che dopo il cedimento del PRC, la Lega tornerà alla ribalta, attraendo, col suo radicalismo, settori crescenti di operai (erano operai anche i componenti del commando che ha occupato il Campanile di San Marco a Venezia) e di giovani.

Come evolverà il quadro politico? Continua la crisi di rappresentanza della borghesia ed é presumibile che quest'ultima accentui i suoi sforzi per arrivare ad una ristrutturazione del centro destra. Il centro destra esce indebolito da questa vicenda: é risultato assolutamente chiaro come avesse terrore delle elezioni e come fosse priva di progetto politico (con quel suo insistere per un governo delle larghe intese). D'Alema non é riuscito a liberarsi del PRC, pur segnando un punto a suo favore. Il PRC si ritrova ora in una alleanza che l'imbriglia e che ben difficilmente gli consentirà, dopo il cedimento, di spingersi molto in là nella polemica con la maggioranza. Questa vicenda segna un salto di qualità in senso negativo nella vicenda politica del PRC. Come scrive sul Corriere della Sera del 14 ottobre Paolo Franchi: "Difficile computare tra i vincitori D'Alema e Bertinotti. Il primo, dopo aver cercato la via delle elezioni anticipate proprio per liberarsi del fardello rifondazionista, si ritrova con la stessa palla al piede. Se Prodi é il primo ministro che porta il paese in Europa, D'Alema rischia d'apparire un leader che non riesce a chiudere i conti a sinistra, pur desiderandolo. Meno degli altri può rallegrarsi Bertinotti . Il balletto ha sconcertato anche i suoi simpatizzanti. Quel che é peggio per lui, la riforma delle pensioni non é stata bloccata, il sindacato non é scavalcato, l'Italia entrerà nella moneta unica come previsto (...) Rifondazione si é certo impaurita dell'isolamento in cui si era cacciata, si é divisa sulla conduzione tattica dello scontro con Prodi, ma prima ancora con il PDS e la CGIL di Sergio Cofferati, e si accinge a un compromesso amaro.". La burocrazia sindacale esce rafforzata dalla sfida intentata da Rifondazione e determinata a portare avanti la concertazione. L'intera sinistra appare il settore politico più determinato a entrare nella moneta unica, e questo impegno, non a caso, é il preambolo all'intesa siglata in extremis da Bertinotti.

Il PRC ha perso dunque una grande occasione per rilanciare la propria immagine nella classe operaia e tra la popolazione pauperizzata del Sud. In compenso il governo Prodi ha allo stesso tempo ottenuto la resa del PRC ed evitato che questo partito possa diventare a breve il canale politico utilizzato dalle masse per esprimere il proprio scontento verso le misure economiche pro Maastricht.

Pochi fanno attenzione infatti a ciò che i media della borghesia ripetono ad ogni pié sospinto: gli attuali "sacrifici" dei lavoratori italiani per "entrare in Europa", sono solo una piccola parte di quelli necessari per rimanervi. Il gruppo dirigente di Rifondazione sembra un generale che non si preoccupa di affrontare i grandi spostamenti di truppe dell'avversario, ma impiega le sue energie in innocue incursioni per rubare derrate dalle mense nemiche. Distribuendo il bottino é certo che tale generale si guadagnerà una qualche popolarità nella truppa. Non vi é dubbio del resto che simili generali perderanno ogni genere di guerra.

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