OMOSESSUALITA' E TRASFORMAZIONE SOCIALE
INTRODUZIONE AL DIBATTITO TENUTOSI A MILANO


Ottobre 1998 di Lorenzo Bernini del GLO di Milano

 

Lo scorso 4 luglio alla festa di Liberazione il G.L.O. (Gruppo di Lavoro sull'Omosessualità) di Milano in collaborazione con la commissione cultura di Milano ha organizzato un dibattito, molto partecipato, dal titolo "Omosessualità e trasformazione sociale". Un centinaio di persone, tra cui esponenti di varie realtà gay e lesbiche di Milano, hanno ascoltato gli appassionati interventi di Nichi Vendola (che tra l'altro è l'unico parlamentare italiano omosessuale dichiarato) e Titti de Simone (presidentessa di Arcilesbica, e membro del Comitato politico nazionale).
Il dibattito è stato intenso ed appassionato, ed ha toccato temi diversi, tra cui il rischio di normalizzazione che gay e lesbiche corrono se appiattiscono le loro lotte alla rivendicazione del diritto al matrimonio senza mirare a un progetto complessivo di trasformazione economica e sociale. Quanto segue è tratto dall'intervento introduttivo dell'iniziativa a cura del G.L.O. di Milano.
Finalità del G.L.O. sono la sensibilizzazione di simpatizzanti, militanti e dirigenti di Rifondazione Comunista (cioè della fetta di società civile che riusciamo a raggiungere attraverso il nostro partito) alle questioni relative all'omosessualità, e la promozione delle lotte per i diritti civili delle persone omosessuali in collaborazione con altre realtà lesbiche e gay; ma finalità del G.L.O. è anche tentare un'elaborazione teorica che unisca le istanze di liberazione dei movimenti omosessuali a un progetto piè ampio di trasformazione sociale attraverso un confronto, e se necessario uno scontro, con la tradizione teorica libertaria comunista e non comunista.
All'interno di questa prospettiva si colloca il dibattito di questa sera: lo abbiamo intitolato "omosessualità e trasformazione sociale", ma avremmo potuto sostituire questo titolo con una domanda: noi, omosessuali antagonisti, che cosa vogliamo fare della nostra identità di lesbiche e gay?
Oppure avremmo potuto sostituire questo titolo con una citazione di Michel Foucault, che in una intervista del 1981 disse: "Rifiuto di far risalire la questione dell'omosessualità alle domande; "chi sono?", "Qual è il mio desiderio segreto?". Sarebbe meglio chiedersi; "quali rapporti si possono stabilire, inventare, moltiplicare e modulare attraverso l'omosessualità?".
In altre parole: dalla nostra esperienza di esclusione e di emarginazione politica e sociale, quale lezione possiamo trarre? Che cosa vogliamo farcene?
Ne "Le origini del totalitarismo" Hannah Arendt, descrivendo la condizione degli ebrei nei salotti parigini di fine secolo, scrive: "Finchè esisteranno classi e popoli diffamati, le qualità del parvenu e del paria continueranno ad essere prodotte con incredibile monotonia da ogni nuova generazione". Cioè: per Hannah Arendt l'esperienza dell'esclusione apre alle minoranze morali due possibilità di esistenza: quella del paria e quella del parvenu.
Parvenu è chi dedica la propria vita alla scalata sociale: chi cerca di dimenticare e di far dimenticare la propria condizione minoritaria -ad esempio la propria omosessualità- e di avere successo in società. Parvenu sono sicuramente i gay e le lesbiche velati, che si nascondono, che non sanno raccogliere la sfida della propria diversità e si adeguano alla realtà cos" com'è: unico loro scopo è essere ammessi in società e vivere tranquilli.
Ma parvenu sono anche coloro il cui successo è dovuto alla propria diversità, al proprio fascino stravagante. Adeguarsi agli standard maggioritari significa anche saper compiacere un pubblico, essere e non essere "diversi' a seconda di ciò che viene richiesto. Ne sono un esempio i nostri stilisti, o i vari Renato Zero o Zeffirelli: maestri nell'esibire e nel nascondere omosessualità nelle parole, nell'abbigliamento e nell'atteggiamento nel modo piè utile per compiacere un pubblico eterosessuale. Questi parvenu provocano, ma non portano alcun cambiamento, perchè la loro provocazione è addomesticata e come l'omosessualità velata sa stare al suo posto. L'effetto di queste esibizioni di omosessualità, o almeno di qualcosa che come omosessualità viene riconosciuto, è evidente nell'intervista rilasciata da La Russa di Alleanza Nazionale a Repubblica in occasione della recente polemica sui maestri Gay; La Russa ha dichiarato: "Ho molti amici gay; sono spesso i migliori nella moda, nell'arte: ma quando si tratta di offrire un modello ai nostri bambini non ho dubbi: meglio gli eterosessuali."
Il parvenu quindi, anche quando non nasconde ma anzi esibisce omosessualità, vuole solo assimilarsi, "arrivare", e non sa fare politica.
Invece paria è chi assume la sfida della propria identità di escluso, e a partire da questa esclusione attacca gli standard che lo escludono. Il paria non vuole assimilarsi alla società perchè si sente orgogliosamente diverso. Questo orgoglio può tradursi in due atteggiamenti differenti.
Il primo consiste nello stringere legami solo con i propri simili, nel costruirsi mondi privati che orgogliosamente si contrappongono al mondo pubblico. E' l'atteggiamento che solitamente gli omosessuali si sentono imputare attraverso l'accusa di autoghettizzazione: non occuparsi del mondo comune se non per accusarlo e ritirarsi in vita privata coi propri simili.
Il secondo atteggiamento possibile al paria è quello piè propriamente politico: sfruttare la propria esclusione come possibilità di comprensione del mondo e di trasformazione sociale. Il paria consapevole non vuole assimilarsi a una società che lo esclude, ma vuole modificare gli standard di inclusione della società. A partire dalla propria condizione minoritaria sviluppa sensibilità per l'ingiustizia subita da tutte le minoranze, e unisce la propria lotta a quella degli altri: non solo contro la maggioranza, ma con la meggioranza, per costruire un mondo piè accogliente per tutti -omosessuali, eterosessuali, transessuali e transgender, donne e uomini, diseredati, malati psichiatrici, handicappati, tossicodipendenti...
Per Arendt solo il paria è capace di fare politica, il parvenu no. La condizione omosessuale rivela però la possibilità di un parvenuismo anche politico: esistono tattiche politiche che rischiano comunque di risolversi in una assimilazione e non in una trasformazione sociale: sono le tattiche della lobby.
Come dire: se i valori sociali magioritari tollerano n categorie di persone, il parvenu politico vuole che ne tollerino n+1 e non punta a cambiare il sistema di valori complessivo. Come ci insegna Michel Foucault il rischio che in tal modo si corre è quello della normalizzazione, dell'addomesticamento, della perdita di antagonismo. Un esempio lampante è la nascita, nel corso di questo ultimo anno, di organizzazioni di omosessuali di destra. Un esempio meno lampante, e che forse susciterà maggiori resistenze, è la battaglia per ottenere il matrimonio lesbico e gay.
Il disegno di legge presentato dall'onorevole Soda vuole allargare alle coppie omosessuali le leggi previste per le coppie eterosessuali -a eccezione di quelle relative all'adozione. Sicuramente è una battaglia che dobbiamo fare, in nome del principio giuridico e politico dell'uguaglianza, e anche tenendo conto del momento storico che viviamo in Italia; tuttavia dovremmo chederci se non si tratti comunque di un'operazione di assimilazione, se non si rischi di caricare sempre e comunque la coppia di quelle finalità e quei significati che ci hanno da sempre insegnato costituire la coppia. Il matrimonio e la famiglia non sono forse l'incarnazione di quel regime patriarcale da cui derivano le discriminazioni delle donne eterosessuali , delle donne lesbiche e degli uomini gay? E' possibile assumere i valori del matrimonio -la fedeltà, la finalità riproduttiva o adottiva, la finalità economica di assistenza che permette di alleggerire il welfare state- trasformandolo da istituzione di oppressione a istituzione di libertà?
Pensiamo a quanto la nostra famiglia ci ha ostacolati in quanto omosessuali o in quanto donne, pensiamo a quanto una società e una legge che promuovono la coppia ostacolino i singoli in senso pratico e psicologico (pensiamo alle discussioni che abbiamo affrontato riguardo alla legge Turco sulle giovani coppie). Esistono negli Stati Uniti delle comunità ebraiche in cui i rabbini permettono il matrimonio tra persone dello stesso sesso, purchè gli sposi adottino un figlio. Può sembrare un esempio di liberazione, e invece è un esempio di normalizzazione; questi rabbini benedicono una coppia omosessuale purchè esse assolva alle stesse funzioni di quella eterosessuale: la trasmissione della fede e della cultura ebraica alle generazioni successive.
Stiamo attenti che le nostre lotte di emancipazione non mirino a renderci semplicemente prosecutori e proseliti dei valori che fino ad oggi ci hanno esclusi, e che domani potrebbero includerci escludendo altri. Potremmo trovarci un giorno felicemente sposati e con figli, in carriera, e magari razzisti, xenofobi, incattiviti contro l'extracomunitario che vuole lavarci il vetro della macchina, contro il tossico che chiede l'elemosina o contro il viado che scandallizza i nostri bambini.
La trasformazione sociale non si riduce all'uguaglianza, ma va oltre. Il disegno di legge Soda chiede il matrimonio per gli omosessuali: sicuramente è una battaglia da fare ("Noi vogliamo tutto!" dicevano un tempo le femministe); ma al tempo stesso non dobbiamo rinunciare ad elaborare ed esperire forme alternative di coppia o di vita relazionale che garantiscano diritti ai singoli senza normalizzarli. Tempo fa parlavamo di progetti di unione civile, e con questo termine volevamo indicare qualcosa di diverso dal matrimonio. E' una stada che dovremmo continuare a percorrere, non solo perchè l'unione civile è un obiettivo intermedio per poi conquistare il matrimonio, ma perchè è l'occasione per elaborare qualcosa di nuovo accessibile a noi omosessuali ma anche agli eterosessuali che non si riconoscono nel regime matimoniale, per elaborare modelli di vita e di convivenza alternativi alla famiglia tradizionale.

 

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