LA GUERRA DEL KOSOVO


Marzo 1999 pubblicato sul mensile Reds

 

Nei Balcani si sta consumando un conflitto tremendo in cui il movimento operaio dovrebbe intervenire, quando invece si trova oggi completamente paralizzato. Pensiamo che ciò sia causato anche da un cattivo orientamento della sinistra, dovuto a pessimi retaggi politico-culturali, ad interessi ed anche ad una disattenzione costante nei confronti di ciò che accade in quell'area.

Gli attori del conflitto. Belgrado

L'obiettivo di Belgrado é ovviamente tenersi il Kosovo, possibilmente senza i kosovari. Quella regione é abitata al 90% da albanesi e sono falliti tutti i suoi tentativi di colonizzazione (ad esempio con gli sfollati dalla Krajna). La tattica dunque di Milosevic é sempre stata sino al 1997 quella di coloro che l'hanno preceduto, Tito compreso: schiacciare le lotte degli albanesi con una terrificante repressione. Dal 1998 ha invece adottato il sistema già sperimentato con successo in Bosnia: il terrore per costringere la gente ad andarsene. Milosevic ha dovuto dosare tempi e modi per tenere conto dei rapporti di forza sul terreno nazionale ed internazionale.
La conferenza di Rambouillet non si era chiusa con una prospettiva del tutto sfavorevole a Milosevic dato che non metteva in discussione la sovranità della Jugoslavia sul Kosovo. Ma Belgrado non poteva rischiare una permanenza in Kosovo di truppe occidentali che avrebbero posticipato alle calende greche la piena occupazione serba del territorio. Milosevic aveva bisogno di rapporti di forza migliori per poi negoziare con l'Occidente. Per questo il governo serbo ha ammassato truppe e poi, appena gli osservatori OSCE se ne sono andati, é partito all'attacco della zona di Drenica a forte radicamento UCK.
A bombardamenti iniziati l'esercito serbo si è distribuito su tutto il Kosovo attuando una politica di terra bruciata. Non di pulizia etnica dunque, dato che i serbi in Kosovo sono una piccola minoranza: l'operazione é semplicemente quella di distruggere tutto rendendo impossibile il ritorno dei profughi. In questa maniera Belgrado raggiunge anche un altro obiettivo: mettendo in movimento una massa enorme di sfollati destabilizza tutti i paesi intorno vanificando l'obiettivo principale degli imperialismi: la stabilità.

Gli attori del conflitto. La NATO

USA ed Europa Occidentale, con varie sfumature, avevano prima della guerra due obiettivi da raggiungere:
a) contenere il nazionalismo di Milosevic e le altre eventuali ambizioni di paesi balcanici in modo da costringere lui (ed insegnare ad altri) a negoziare le proprie pretese con l'imperialismo. Gli imperialismi non hanno bisogno della guerra per essere economicamente egemoni nella regione. Non c'è un solo regime nella regione (Jugoslavia compresa) che non sia disponibile ad accogliere a braccia aperte banche, industriali, FMI, e quant'altro. Il problema è che questi ultimi hanno bisogno che si realizzi una paroletta magica che essi chiamano: "stabilità". I focolai di tensione sono esattamente ciò che impedisce la piena espansione del capitalismo nei Balcani e l'intervento imperialista serve proprio a questo: a spegnerli. Per garantire la stabilità dei Balcani si devono innanzitutto garantire i confini stabiliti dalle grandi potenze e non dai popoli.
b) impedire che la pulizia etnica dei serbi portasse ad una ondata di profughi che si sarebbe riversata sull'Europa e nei paesi limitrofi come la Macedonia che avrebbe visto le proporzioni etniche completamente alterate con la conseguente accresciuta tanto temuta "instabilità". Sia ben chiaro: agli imperialisti non gliene frega un accidente degli albanesi. Non hanno mosso un dito in tutti questi anni in cui in Kosovo il governo di Belgrado aveva imposto una sorta di apartheid. Al contrario incoraggiavano l'estrema moderazione di Rugova.
Questi obiettivi sono stati spiegati in varia forma dai governanti di tutto il mondo. Non erano segreti. In Italia ci ha pensato tra l'altro il cinico commentatore del Corriere, Ernesto Galli della Loggia nell'editoriale che preparava la guerra e che riproduciamo in parte nella pagina seguente.
Anche se costosa come soluzione, USA ed Europa pensavano che l'unica maniera di contenere Milosevic ed evitare il disastro in Kosovo fosse un dispiegamento di forze nella regione in modo da impedire con questa presenza l'attuazione dei piani di Belgrado. Questa era la soluzione che volevano imporre a Belgrado e questo era inizialmente l'obiettivo dei bombardamenti.
I bombardamenti dunque avevano per scopo costringere Milosevic al negoziato. Gli imperialisti sapevano che si era potuti arrivare all'accordo di Dayton solo dopo aver utilizzato metodi e minacce militari. La NATO dunque immaginava che bastasse un limitato intervento aereo per costringere Milosevic ad una rapida capitolazione.
Ma le cose sono andate diversamente. La tattica utilizzata da Milosevic ha sorpreso per la sua vastità, determinazione e ferocia le forze NATO. Non c'é oggi, 31 marzo, nessun commentatore che non sottolinei questa sorpresa ed il fatto che la NATO non sappia che pesci prendere. Per evitarne il totale spopolamento é stata costretta rapidamente a concentrarsi sul Kosovo, della cui distruzione a Milosevic ovviamente non importa nulla, e ad impegnare aerei e bombe per fermare mezzi corazzati dispersi sul territorio, col pericolo di colpire continuamente chi si vorrebbe salvare. Una operazione che non é riuscita a nessuno in nessuna guerra.

Gli attori del conflitto. Gli albanesi

Per anni gli albanesi del Kosovo hanno seguito la leadership di Rugova ed i suoi metodi pacifici, ma dopo l'ennesima carneficina serba nel febbraio dell'anno scorso una radicalizzazione popolare ha spinto l'UCK a divenire una organizzazione armata di massa. E' stato un fattore altamente destabilizzante per gli occidentali. Ed infatti questi hanno sospeso le minacce di bombardamenti proprio nel corso dell'offensiva serba dell'estate scorsa, ed hanno imposto a Milosevic un accordo per la presenza di verificatori OSCE solo DOPO che l'UCK era stata provvisoriamente sconfitta.
Poi l'UCK si é lentamente ripresa accrescendo il proprio radicamento nelle campagne. Gli USA hanno dovuto prendere atto che il proprio pupillo Rugova non contava più nulla perché i kosovari avevano verificato l'inutilità dei suoi metodi pacifici, e si sono posti l'obiettivo del coinvolgimento dell'UCK, cioé del popolo kosovaro, nel loro disegno di stabilizzazione e che prevedeva la sovranità serba sul Kosovo, il disarmo dell'UCK, limitate misure politiche di autonomia amministrativa, il permanere della polizia serba, ecc. I negoziatori UCK a Rambouillet sono stati costretti all'inizio a non firmare, spinti dalla pressione dei comandanti sul campo e provocando il fallimento della prima tornata negoziale e la grande irritazione degli USA. Questi hanno intensificato i loro sforzi riuscendo a convincere a capitolare questa formazione troppo giovane ed eterogenea per reggere. Demaci, portavoce dell'UCK, si é dimesso per protesta contro questo tradimento a decenni di lotta per il diritto all'autodeterminazione.
L'UCK in questa maniera ha delegato agli USA la gestione della propria lotta. I risultati si sono visti.

Prospettive

Ogni attore in campo non può più retrocedere. Nelle guerre si entra con degli obiettivi, ma poi la guerra ha una sua logica che comanda l'azione. Se la situazione viene bloccata al punto in cui é oggi ha vinto Milosevic. Per questo la NATO é costretta ad andare avanti. Ma lo fa in maniera tentennante, e questo fa sì che Milosevic vada fino in fondo. Lo stesso Solana dichiara che ora l'obiettivo non é più la firma dell'accordo di Rambouillet da parte dei serbi, ma la semplice cessazione delle ostilità contro gli albanesi. Davanti alla NATO per ottenere risultati utili non si aprono che due strade: o quella di un intervento da terra o quella di una vendetta con criminali bombardamenti sul territorio della Serbia. Ambedue le opzioni hanno controindicazioni e tra queste c'é la tiepidità degli europei che non hanno una tradizione militare ed una opinione pubblica "educata" a queste soluzioni, dato che per tutto il dopoguerra hanno delegato agli USA la difesa militare degli interessi globali dell'imperialismo. Milosevic non può abbandonare la tattica della terra bruciata sia perché gli conviene approfittare dell'occasione insperata per desertificare il Kosovo e sia perché destabilizzando coi profughi spaventa i paesi NATO e li rende incerti. Dal suo punto di vista Milosevic per tenersi il Kosovo non può che ricorrere al terrore in misura molto maggiore e su più vasta scala di quello scatenato in Bosnia.

Noi

La sinistra deve farsi portavoce di un secco NO all'intervento NATO contemporaneamente alla mobilitazione contro il regime di Milosevic e per il Kosovo libero. La prima parola d'ordine é necessaria perché l'intervento ha favorito oggettivamente i massacri di Milosevic ed é inoltre un crimine nei confronti della poplazione civile serba ed albanese coinvolta, oltre che un attacco che comunque risponde agli interessi dell'imperialismo. Contro il regime di Milosevic perché nella lotta tra un popolo oppresso ed uno oppressore noi stiamo dalla parte del primo contro il secondo. Per il Kosovo libero perché i kosovari hanno già espresso in innumerevoli occasioni la loro volontà di indipendenza. Queste parole d'ordine favoriranno la possibilità che si getti un ponte tra sinistra ed immigrazione albanese in Italia.

 

Scheda. I nostri avversari:

ITALIA, PAESE BALCANICO
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

Sono almeno tre gli ambiti di interesse nazionale che possono essere fatti valere per appoggiare l'attacco alla Serbia. Il primo riguarda la questione dei profughi. La repressione su vasta scala condotta con metodi spietati dal governo di Belgrado nei confronti delle popolazioni del Kosovo, se non fosse contrastata minaccerebbe assai verosimilmente di rovesciare sulle nostre coste, nelle prossime settimane, non più centinaia, ma decine e decine di migliaia di fuggitivi. + una circostanza che metterebbe l'Italia in gravissime difficoltà: impossibile respingerli senza ricorrere a inconcepibili durezze e, d'altra parte, accoglierli non solo porrebbe notevolissimi problemi logistici, ma equivarrebbe a rendere il tema dell'immigrazione ancor più politicamente dirompente di quanto già oggi, dopo il referendum promosso dalla Lega, non si avvii ad essere.

Il secondo obiettivo dell'azione Nato risponde certamente a un nostro interesse e consiste nell'indebolimento dell'egemonismo a sfondo nazionalistico nei Balcani, che attualmente ha in Milosevic e nella Serbia i suoi massimi rappresentanti. Intendiamoci: nel mondo post comunista e nei Balcani in specie dobbiamo aspettarci che il nazionalismo resti ancora a lungo un fenomeno endemico e con punte di notevole virulenza (anche quella dei kosovari è un'istanza in fin dei conti nazionalistica). Ma se vogliamo evitare esplosioni militari con effetti devastanti sul piano umanitario, abbiamo la necessità di tenere per lo meno sotto controllo il nazionalismo balcanico. Dobbiamo impedire cioè che esso superi una soglia di aggressività, dimostrare molto concretamente che ogni nazionalismo deve sforzarsi di trovare un compromesso con quello dei vicini, che non può, per disfarsene, ricorrere, come e quando vuole, all'uso indiscriminato della forza. Senza una simile decisa azione di contenimento possiamo essere sicuri che quest'area dell'Europa dell'Est a noi così vicina continuerà a passare da una crisi acuta a un'altra, da una guerra ad un'altra. E questo anche per noi è pericoloso, intollerabilmente pericoloso. E' dunque necessario spegnere subito tutti i focolai di incendio.

C'è infine una terza ragione, mi sembra, per cui l'Italia ha un suo specifico interesse all'azione antiserba cominciata in queste ore.
(......)
In un'Europa finalmente orientata e interessata anche alla sfera militare, perché decisa a avere una politica estera, insomma, il nostro Paese potrebbe sperare di avere un più pronunciato ruolo politico. E' vero che oggi in campo c'è la Nato e non l'Europa, ma è proprio il tipo di azione come quella odierna contro la Serbia che costringerà prima o poi l'Europa a prendere coscienza del fatto che, se vuole esistere politicamente, l'economia non basta più.

 

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