INDAGINE SULLA SALUTE RIPRODUTTIVA DELLE DONNE DI VIA PIRANDELLO, COLOGNO MONZESE (MI)


Giugno 1999 a cura dell' Associazione Cultura Popolare

 

Questo scritto è il frutto di una indagine svolta tra líautunno del 1998 e gennaio 1999.

L'indagine è stata condotta attraverso il porta-a-porta presso le case popolari di via Pirandello a Cologno Monzese (MI) ed è stata progettata, realizzata ed elaborata dalle donne del gruppo che si riunisce ormai da diversi anni in un locale condominiale di questo grosso complesso dell'Aler (ex IACP).

Il gruppo di donne è composto da alcune donne residenti in questi stabili, da due animatrici esterne dellíAssociazione Cultura Popolare, e da altre residenti nei paraggi che hanno condiviso con le donne di via Pirandello un corso di scuola popolare per il recupero della terza media (negli anni '94 /'95) e/o un successivo percorso di scuola di auto-aiuto delle donne.

Aggiungiamo anche come appendice uno dei comunicati stampa diramati dopo le prime reazioni all'indagine.
 
 

INTRODUZIONE

Obiettivi

Le tematiche relative alla salute della donna, sia psicologica che riproduttiva, sono sempre state oggetto di particolare attenzione da parte del gruppo per la loro centralità nella ricerca della consapevolezza di seí e di riappropriazione del proprio destino, nella costruzione della propria autonomia.

Con l'indagine porta-a-porta il gruppo ha inteso entrare in comunicazione con le donne del quartiere che "non scendono" per le riunioni settimanali e rimangono quindi escluse dai benefici che líessere parte attiva di un gruppo di donne assicura.

L'indagine, come ogni nostra attività di studio, aveva lo scopo di conoscere la realtà per trasformarla. Accettare di rispondere a un questionario che indaga su aspetti personali e intimi della nostra esistenza è già un atto politico coraggioso che pone in discussione le nostre scelte, i nostri comportamenti, le situazioni subite passivamente a cui ci siamo adeguate, rilevando come sia possibile modificare il presente e impegnarsi per un futuro migliore.

Obiettivo dell'indagine era anche verificare alcune ipotesi che, a partire dallíanalisi su noi stesse e dalla convivenza nello stesso ambiente sociale, avevamo in mente rispetto alla realtà delle donne del quartiere e ai loro bisogni.

Ipotesi

Osservavamo ad esempio tra di noi e tra le nostre conoscenti di mezza età la difficoltà a fare le opportune visite di prevenzione, per tabù legati allíetà, al livello di istruzione, alla provenienza geografica da piccoli centri del sud, al numero di figli e al carico di lavoro. Ma ci aspettavamo che le cose fossero cambiate per le donne più giovani. Ci sbagliavamo.

Un'altra ipotesi che volevamo accertare era la scarsa cura dei disturbi ginecologici considerati di piccola entità. E líincidenza del ricorso allíaborto, da confrontare con la diffusione dei metodi anticoncezionali. Su questo punto, malgrado lo sforzo di porre le domande in modo chiaro e facilitare la confidenza, dubitiamo di essere state in grado di rilevare il reale utilizzo di pratiche contraccettive.

Infatti la presunta assenza di barriere contraccettive dovrebbe comportare un maggior numero di gravidanze.

La complessità del problema

Nell'affrontare le questioni del controllo della propria salute, della prevenzione delle malattie e delle gravidanze indesiderate, abbiamo sempre tenuto presente che líaspetto sanitario fosse solo una delle componenti del problema.

Il problema infatti investe tutti gli ambiti dellíautodeterminazione della donna:

- il rapporto con il proprio corpo, la gestione del tempo, il carico del lavoro domestico, di cura dei bambini e degli anziani nonché líaccudimento dei maschi di ogni età che ancora di norma sono "a carico" di mogli, madri, figlie anche in età adulta;

- il lavoro retribuito, che succhia energie e ancora tempo e non sempre consente un arricchimento in termini di relazioni sociali, esperienza e consapevolezza della realtà sociale;

- i rapporti di potere allíinterno della famiglia;

- líesposizione al rischio - o la routine - della violenza domestica;

- e infine - ma l'elenco potrebbe continuare- la gestione della salute fisica e psichica, messa a dura prova da stress permanenti e mancanza di prospettive per il futuro.

Líintervento sanitario, in termini di informazione, prevenzione, relazione educativa, è certamente limitato di fronte alla complessità del problema ma è necessario e consente di mettere in moto e rafforzare processi a lungo termine nella direzione dellíautodeterminazione, offrendo alcuni strumenti di controllo e di consapevolezza di seí.

Per questo ci siamo infine poste come obiettivo di sollecitare gli organi competenti a fornire quei servizi mirati alla situazione locale che possano venire incontro ai bisogni individuati. Il nostro lavoro si conclude quindi con una serie di proposte operative che chiediamo siano fatte proprie dallí amministrazione pubblica in tempi stretti.

Il campione

Hanno accettato di rispondere al questionario 75 donne, la più giovane aveva 17 anni e la più anziana 88. Le donne al di sotto dei 25 anni costituivano il 21,3% del campione; le donne tra i 26 e i 40 anni il 16%; quelle tra i 41 e i 55 anni il 37,3%; le donne oltre i 55 anni il 25,3%.

Per valutare líattendibilità di questo campione abbiamo confrontato i dati con quelli dellíintera popolazione femminile residente a via Pirandello, fornitici dallíanagrafe.

Le donne a partire dai 17 anni residenti nelle case popolari di via Pirandello sono 451. Ne abbiamo intervistato il 17%, e precisamente il 18% di quelle sotto i 25 anni, lí11% di quelle tra i 26 e i 40, il 21% di quelle tra i 41 e i 55, e il 16% di quelle oltre i 55 anni.

Il gruppo quindi maggiormente rappresentato è quello delle donne tra i 41 e i 55 anni, che effettivamente è anche quello più numeroso in quartiere; quello meno rappresentato è la fascia tra i 26 e i 40 anni. Nellíanalisi delle risposte abbiamo cercato di tenere presenti questi limiti per restare il più aderenti possibile alla realtà.

Infine le cifre decimali sono state arrotondate per facilitare la lettura delle percentuali.
 
 

ETÁ

POPOLAZIONE
FEMMINILE
RESIDENTE

CAMPIONE

17 ó 25 anni

87

16 (18%)

26 ó 40 anni

110

12 (11%)

41 ó 55 anni

135

28 (21%)

Oltre 55 anni

119

19 (16%)

Totale

451

75 (17%)


 

ANALISI PER FASCE DíETÁ

Da 17 a 25 anni

Questa fascia díetà rappresenta il 21% del campione da noi intervistato. Dallíanalisi del campione, risulta che le donne sotto i 25 anni di età non fanno la visita al seno, se non in presenza di qualche sintomo evidente, cosa che si verifica nel 10% dei casi. Tra quelle che ricorrono alla visita ginecologica (il 75%), non tutte fanno il pap test. Infatti questo esame è praticato solo dalla metà delle intervistate, la stessa percentuale che utilizza contraccettivi. Líunica interruzione di gravidanza segnalata è un aborto spontaneo. Líincidenza del fenomeno ci sembra quindi sottostimata.

Da 26 a 40 anni

Questa fascia díetà corrisponde al 16% del nostro campione.

Solo la metà delle donne hanno fatto controllare almeno qualche volta il seno, mentre ben il 33% non fa le visite di controllo ginecologico, pur ricorrendo al pap test, non praticato dallí8% del campione. Questíultima percentuale è comunque alta, se si considera che si riferisce a donne in età fertile, spesso gravate da numerose gravidanze, talvolta indesiderate. Difatti il 42% non usa alcun metodo contraccettivo, e il 25% dichiara di aver fatto ricorso allíaborto, una sola volta.

Se osserviamo come nelle fasce di età successive vengano dichiarati ripetuti aborti per ogni donna, risulta particolarmente alta la probabilità che le stesse donne da noi intervistate in questa fascia di età si trovino nuovamente a ricorrere allíaborto, in assenza di una adeguata prevenzione.

Dai 41 ai 55 anni

Eí questa la componente più numerosa delle donne che hanno risposto al nostro sondaggio: il 37%.

Le donne tra i 41 e i 55 anni ricorrono alla visita di controllo al seno, almeno saltuariamente, in poco più della metà dei casi (il 57 %). Si tratta di uníetà a rischio, tra líultima fase del periodo fertile e il passaggio alla menopausa. Tuttavia più di 1/3 non usufruisce di visite ginecologiche (il 36%) né del pap test (il 36%). Più di 2/3 non usa alcuna precauzione contraccettiva (il 79%), benché molte non siano ancora assestate nella menopausa e abbiano già fatto ricorso ripetutamente allíinterruzione volontaria della gravidanza.

Eí questa anzi una fascia díetà che ricorre massicciamente allíaborto, dichiarato dal 21% delle donne. Tale esperienza viene ripetuta più volte, anche 5 volte (nel 7% dei casi), in assenza di misure contraccettive e dopo aver avuto almeno tre figli. Si tratta in egual misura di casalinghe e operaie. Un elemento fortemente discriminante è invece il livello di scolarizzazione: un titolo di studio inferiore comporta immediatamente una maggiore probabilità di incorrere in gravidanze indesiderate (si rimanda alla scheda sullíaborto).

Oltre i 55 anni

Hanno oltre 55 anni il 25% delle donne da noi intervistate.

Solo il 47% di queste richiede periodicamente visite di controllo al seno, mentre il 74% non ricorre mai a visite ginecologiche e il 63% non fa il pap test.

Solo il 5% avverte, o ha avvertito recentemente, disturbi ginecologici, mentre più della metà (il 58%) attribuisce alla menopausa diversi disturbi da cui è affetta.

Quasi la totalità delle intervistate dichiara di non avere mai fatto uso di metodi contraccettivi (tranne un 5%). Il 32% ha fatto uso del Consultorio almeno una volta. Líaborto è stato provocato dal 21% delle intervistate, con una media di 2 aborti per donna: dopo il primo episodio non sono state in grado di prevenire successive gravidanze indesiderate.

Il 26%, pur utilizzando strutture sanitarie pubbliche e convenzionate, si rivolge anche a strutture private in determinate circostanze.
 
 

ANALISI PER TITOLO DI STUDIO

La relazione tra prevenzione sanitaria e titolo di studio appare con evidenza dai dati di questa indagine.

Le donne senza titolo di studio, che non hanno cioè terminato il ciclo elementare, sono il 19% del nostro campione. Il 93% di esse è in pre-menopausa o in menopausa.

Ricorrono pochissimo alle visite di prevenzione, non solo perché manca loro il tempo e le risorse economiche per far fronte ai ticket (difficoltà più volte segnalata dalle intervistate), ma anche perché, come esse stesse dichiarano, "non ne vedono la necessità", cioè non sanno bene a cosa servano.

Non fanno la visita al seno l'86% delle donne, nè la visita ginecologica (il 79%), nè il pap test (93% !). Nessuna di loro usa o ha usato in passato metodi contraccettivi, eppure solo il 7% dichiara di avere provocato aborti: un dato che risulta quindi poco credibile e che potrebbe nascondere una realtà ben più drammatica legata a vissuti di clandestinità.

Bassissima anche la percentuale di coloro che sono entrate in contatto almeno una volta con il Consultorio di Cologno: solo il 14%. Questo benché quasi la totalità (il 93%) si rivolga alle strutture pubbliche o convenzionate per le necessità sanitarie, e non a quelle private.

Sottolineiamo infine che quasi la totalità delle donne in esame (il 93%) non avverte alcun disturbo ginecologico, e che il restante 7% non ha fatto seguire alcun controllo o cura allíavvertimento dei sintomi. Questo dato lascia supporre una difficoltà ad identificare i segnali di malessere e quindi ad affrontarli tempestivamente.

La menopausa invece viene vissuta come fonte di malessere dal 69% di esse.

Le donne con la licenza elementare rappresentano il 37% del campione.

Ricorrono alla visita al seno nel 57% dei casi, a quella ginecologica nel 61%, e al pap test nel 64%. Si delinea quindi ancora una situazione di forte rischio. Inoltre ha accesso a una qualche forma di contraccezione solo il 29% del campione, mentre avverte disturbi ginecologici il 21% e disturbi attribuiti alla menopausa il 43%.

Il 54% ha utilizzato il Consultorio, ma lí11% si rivolge di norma alla sanità privata. Ammettono di aver fatto ricorso allíaborto il 21% delle donne, anche 4 o 5 volte nel 33% dei casi.

Le donne con la licenza media sono il 29% delle intervistate.

Il 50% controlla periodicamente il seno, il 68% fa la visita ginecologica, e il 73% il pap test. I metodi contraccettivi vengono utilizzati dal 36%, una percentuale ancora piuttosto bassa. Disturbi ginecologici vengono avvertiti dal 10% delle donne, e la menopausa viene identificata come fonte di problemi dalla stessa percentuale.

Le donne con un biennio professionale sono solo il 7% del campione.

Controllano il seno solo nel 20% dei casi; fanno la visita ginecologica e il pap test nel 40% dei casi; lí80% usa contraccettivi. Il 20% denuncia problemi legati alla menopausa. Nessuna di loro si rivolge a strutture sanitarie private, ma il 60% non ha mai frequentato il Consultorio. Il 20% ha provocato ripetuti aborti.

Le donne con diploma sono il 21% del campione.

La visita al seno viene effettuata dal 50% delle intervistate, la visita ginecologica e il pap test da tutte. Il 50% utilizza metodi contraccettivi. Avverte disturbi ginecologici il 33%, mentre nessuna è ancora in menopausa. Oltre la metà utilizza talvolta anche le strutture sanitarie private, mentre il Consultorio non è frequentato dal 17%.

Ci sembra significativo in tutte le fasce individuate, lo scarso ricorso alla visita di prevenzione al seno anche tra le poche donne che effettuano le altre visite e frequentano il Consultorio. L'ipotesi che avanziamo è che tale controllo venga poco incoraggiato e troppo facilmente sostituito dalla distribuzione, durante le visite ginecologiche, di un foglietto con le istruzioni per l'autopalpazione che ha poche probabilità di venire utilizzato, e non certamente nell'ambiente oggetto della nostra indagine.

Casalinghe e operaie

La differenza significativa da noi rilevata registrando le abitudini di prevenzione delle donne casalinghe rispetto alle occupate, è che molte operaie usufruiscono di visite ginecologiche attraverso le aziende, pubbliche o private.
 
 

INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA

Su 75 donne intervistate, ben 31 hanno fatto ricorso all'interruzione volontaria della gravidanza: il 41%.

Dallíanalisi per fasce di età si comprende che alcuni aborti devono essere stati provocati prima dellíapprovazione della legge 194, ma il dato in ogni caso resta impressionante, specie se si considera che le stesse donne sono ricorse allíaborto anche fino a 5 volte.

In numeri assoluti, ci sono stati dichiarati 51 aborti da un totale di 75 donne, una media quindi di 2 aborti ogni 3 donne circa.

Tutte le donne che lo hanno praticato avevano già almeno due figli. Non abbiamo rilevato alcun caso di adolescente nubile incorsa in questa esperienza, del resto abbiamo intervistato solo donne al di sopra dei 17 anni.

Líaborto volontario sembra relativamente infrequente tra le donne sotto i 25 anni: il 6% lo ha dichiarato. Se confrontiamo questo dato con le statistiche ufficiali della Regione Lombardia,

Le giovani che hanno dichiarato di avere abortito nella nostra indagine, possedevano solo la licenza elementare e non utilizzavano anticoncezionali, mentre dopo líepisodio sono ricorse alla pillola.

Osserviamo inoltre che mentre le donne fino a 40 anni sono incorse nellíaborto una sola volta e per il 67% utilizzano la pillola (il restante 33 % continua a non utilizzare alcuna precauzione!), le donne delle due fasce di età successive sono ricorse allíaborto più di una volta nel 54 % dei casi, anche fino a 5 volte.

Tra i 26 e i 55 anni, solo 5 donne su 26 (il 19%) dichiarano di avere utilizzato anticoncezionali nella loro vita, e si tratta sempre e solo della pillola, alternata solo in un caso alla spirale, mentre tutte le intervistate dichiarano di non avere mai utilizzato altri metodi.

Il ricorso all'aborto è fortemente condizionato dal livello di istruzione conseguito.

Sul totale di 31 donne, 6 non hanno alcun titolo di studio (il 19%), 16 hanno conseguito la licenza elementare (il 52%), 7 la licenza media (il 23 %), mentre una sola (corrispondente al 3%) ha frequentato un biennio superiore e una sola ha un diploma.

Non sembra invece significativa la posizione lavorativa: la percentuale di donne che si dichiarano casalinghe (il 45%) è di poco inferiore a quella delle lavoratrici, tutte con qualifica di operaia o assimilata. Questa sostanziale affinità di fronte al problema del controllo delle nascite è rafforzata dal fatto che, con ogni probabilità, molte delle "casalinghe" in realtà svolgono o hanno svolto saltuariamente servizi extradomestici retribuiti in nero per arrotondare il bilancio familiare. Il lavoro sommerso e la mancanza quindi dei diritti a tutela della maternità, possono aver favorito il ricorso all'interruzione della gravidanza, oltre ovviamente al carico del lavoro domestico e di cura, che ricade pesantemente su tutte le donne, casalinghe o meno.
 
 

I DISTURBI DELL'APPARATO RIPRODUTTIVO

Hanno segnalato disturbi 22 donne su 75, il 29 % del campione. Analizziamo i dati per fasce di età.

Fino a 25 anni

Dichiarano di soffrire o aver sofferto recentemente di qualche disturbo il 12,5 % delle intervistate. Sono giovani donne che non hanno mai effettuato un pap test, e nella metà dei casi non hanno effettuato alcun controllo il seguito al disturbo segnalato. Le patologie consistono in cisti ovariche e disturbi associati all'uso della pillola.

Tra i 26 e i 40 anni

L'incidenza di disturbi che coinvolgono l'apparato riproduttivo è del 42%. Si tratta nel 40% dei casi di lievi disturbi ginecologici curati con l'intervento del medico, nel 20% dei casi di fibromi, e nella stessa percentuale rispettivamente di interventi al seno e di problemi ginecologici che hanno richiesto il ricovero ospedaliero.

Tra i 41 e i 55 anni

In questa fascia díetà l'incidenza dei disturbi è del 37,5%. I noduli al seno sono responsabili nel 20% dei casi. Una identica percentuale di disturbi ginecologici lievi non viene comunicata al medico nè curata. Gli altri problemi segnalati, ognuno nella misura del 10%, sono: squilibrio ormonale, cisti ovarica, raschiamento, fibroma, asportazione totale dellíutero.

Oltre i 55 anni

Solo il 5% denuncia disturbi ginecologici: prolasso uterino e altre patologie non specificate.
 
 

LE STRUTTURE SANITARIE

Non tutte le donne di via Pirandello si rivolgono per le loro visite mediche alle strutture pubbliche o convenzionate. Una percentuale significativa, il 13 %, si rivolge di norma a strutture private, nella speranza di ottenere servizi più celeri e accurati e di essere trattate "con più tatto". Una considerazione ricorrente è che "tanto cíè il ticket": la spesa da un privato non differisce poi molto dalla somma dei ticket, specie se in uníunica prestazione si chiede di effettuare sia la visita ginecologica che il pap test che la visita al seno. Per questi esami infatti non si riesce ad ottenere un unico appuntamento presso una struttura pubblica: oltre a dover pagare la somma dei singoli ticket, è necessario perdere almeno due giornate di lavoro.

Alcune donne utilizzano di volta in volta sia i servizi pubblici o convenzionati che quelli privati: il 15 %. Più che di una scelta, si tratta quasi sempre di una situazione obbligata: chi frequenta già una struttura privata convenzionata, si trova a pagare privatamente quelle prestazioni che non sono previste dalla convenzione o per le quali "non cíè posto" se non a pagamento per lunghi periodi. Accade ad esempio a diverse donne che frequentano líospedale S. Raffaele.

Osservando i dati in base al titolo di studio conseguito, verifichiamo che il gruppo che maggiormente ricorre alle visite private è quello delle donne in possesso della licenza elementare, le quali ricorrono ai privati nel 32% dei casi. Sono in maggior numero operaie (31% del totale delle operaie) che casalinghe (12 % del totale delle casalinghe), probabilmente perché le operaie dispongono di un reddito maggiore o si sentono più libere nel gestirlo.
 
 

USO DEL CONSULTORIO

Non conoscono e non hanno mai utilizzato il consultorio di Cologno Monzese la metà delle donne fino a 25 anni.

Tra i 26 e i 40 anni non lo ha mai frequentato il 33 % delle intervistate, e tra i 41 e i 55 anni il 50%.

Questa percentuale sale ulteriormente con líetà: oltre i 55 anni il 53 % delle donne non ha mai utilizzato il consultorio, mentre il 16 % non ha risposto a questa domanda dichiarando che non ricordava.

In relazione al titolo di studio, osserviamo che si serve del consultorio solo il 14 % delle donne prive di ogni titolo, contro il 54 % delle donne con la licenza elementare, e il 50% delle donne in possesso della licenza media.

Tra quelle che hanno frequentato un biennio professionale, meno della metà utilizza il consultorio (il 40%), mentre il possesso del diploma modifica nettamente la probabilità di accesso a questo servizio: ne ha fatto uso almeno una volta lí83 % delle intervistate.

Le donne che hanno avuto esperienza del Consultorio di Cologno si dichiarano soddisfatte delle prestazioni ricevute. Si lamenta però il costo dei ticket (dalle 25 mila alle 32 mila lire per ogni prestazione) e la difficoltà a ottenere líappuntamento. Succede infatti di dover ritelefonare a distanza di settimane perché non è ancora definita la disponibilità del personale medico.

DALLE INFORMAZIONI IN NOSTRO POSSESSO (APRILE 1999) IL PERSONALE IN SERVIZIO NELL'UNICO CONSULTORIO DI UNA CITTÀ QUALE COLOGNO MONZESE, CON OLTRE 50 MILA ABITANTI NON COPRE LA POTENZIALE UTENZA. INFATTI LA GINECOLOGA Eí DISPONIBILE SOLO PER 8 ORE ALLA SETTIMANA, MENTRE LíOSTETRICA Eí PRESENTE, CON IL PART TIME, SOLO PER 3 GIORNI NEI QUALI Eí IMPEGNATA A SEGUIRE ANCHE LE GRAVIDANZE. INOLTRE NON Eí POSSIBILE EFFETTUARE MAMMOGRAFIE, E LA VICINA ASL NON OFFRE NEMMENO IL SERVIZIO DI ECOGRAFIA, ESISTENTE FINO A POCO TEMPO FA.
 
 

CONCLUSIONI

Il bilancio complessivo che emerge dalla nostra indagine è di un quartiere ancora ai margini rispetto al godimento di servizi di prevenzione e cura essenziali per la qualità della vita delle donne. Troppo spesso le donne non hanno gli strumenti e le conoscenze per decidere di sé, della propria salute, del proprio tempo, delle energie, del numero di figli, delle risorse materiali. Ogni sforzo di autodeterminazione si scontra con ostacoli dentro e fuori di seí.

Dentro di sé opprimono l'educazione ricevuta, i sensi di inferiorità, la scarsa autostima, le paure, i pregiudizi interiorizzati, e così via. Fuori di sé opprimono le convenzioni sociali attraverso il potere esercitato dai genitori, dai maschi della famiglia, mariti e fidanzati.

Opprime l'organizzazione del lavoro, domestico ed extra-domestico, con lo sfruttamento rapace delle risorse delle donne, alle quali viene negato riconoscimento, e con le sue gerarchie, dove le donne occupano di norma le posizioni inferiori.

Opprime l'organizzazione sociale dei servizi, che spesso non tiene sufficientemente conto delle specifiche esigenze delle donne, nell'organizzazione dei tempi, nei costi e nella qualità delle prestazioni.

Le cause interne e le cause esterne dell'oppressione si rafforzano e sostengono a vicenda. Il risultato è che anche qui, alla periferia di Milano alle soglie del 2000, una larga maggioranza di donne si trova priva degli strumenti minimi per gestire autonomamente il proprio corpo e il proprio destino.

Riteniamo che uno degli interventi necessari per inserire elementi di cambiamento in questo contesto, sia quello dell'educazione e della prevenzione sanitaria.

Siamo al corrente del fatto che in altre Regioni e città italiane (si vedano ad esempio Pesaro nelle Marche, o l'Emilia Romagna) dagli anni í70 ad oggi i servizi di prevenzione del Consultorio sono completamente gratuiti per tutte le donne (visita ginecologica, pap test, visita al seno, e la mammografia dopo i 40 anni) e le utenti vengono invitate pressantemente a presentarsi ai controlli anche con cartoline recapitate a domicilio. Non possiamo accettare che qui le cose debbano procedere in modo tanto diverso.

Le strutture pubbliche competenti devono prendere atto della gravità della situazione ed investire le opportune risorse.

Elenchiamo qui di seguito le proposte che il nostro gruppo di lavoro ha elaborato in quartiere:

- Che venga realizzata urgentemente una campagna gratuita per la prevenzione delle malattie all'apparato riproduttivo. Lo screening di massa dovrebbe essere mirato in particolare alle donne di via Pirandello, tenendo conto delle specifiche condizioni culturali e sociali in modo da favorire al massimo l'accesso alle prestazioni. Queste dovrebbero comprendere almeno visita ginecologica, pap test ed esame del seno.

- Che per tutte le fasce di età le visite di prevenzione presso il Consultorio siano gratuite, inclusa la visita senologica e quando opportuno anche la mammografia.

- Che sia possibile con un unico appuntamento ottenere le tre prestazioni di cui sopra.

- Che, nel quadro delle attuali modifiche relative al sistema dei trasporti urbani, si garantisca un più frequente e diretto collegamento tra il quartiere e il Consultorio, negli orari di ambulatorio

- Che si verifichi la possibilità di attivare in zona un ambulatorio. Questo dovrebbe essere attrezzato per consentire alle/ agli utenti di tenere sotto controllo non solo le patologie dellíapparato riproduttivo, ma quei disturbi di cui abbiamo rilevato la frequenza e che richiedono talvolta quotidiani esami, come nel caso del diabete e dellíipertensione, in particolare per la popolazione anziana.

- Infine che venga svolta una campagna informativa sui servizi presenti sul territorio e sui canali privilegiati di accesso a cui si può ricorrere, ponendo in evidenza la gratuità e la necessità di determinati servizi.

CHIEDIAMO A TUTTE LE FORZE POLITICHE DI SOSTENERE LE NOSTRE PROPOSTE E DI IMPEGNARSI ATTIVAMENTE PER LA LORO ATTUAZIONE IN TEMPI BREVI.

Da parte nostra resta líimpegno a mantenere viva in quartiere líattenzione su questi temi e sullíeffettiva erogazione dei servizi, in modo che le donne possano valutare direttamente líoperato di chi chiede il mandato di rappresentarci.
 
 

aprile 1999


 
 


COMUNICATO STAMPA


 


L'Associazione Cultura Popolare e il gruppo "Spazio alle donne" di via Pirandello, a Cologno Monzese, dopo aver dato la massima diffusione ai risultati della propria indagine sulla salute riproduttiva delle donne di via Pirandello, hanno ottenuto i primi riscontri presso le autorità competenti.
Il 23 giugno scorso una loro delegazione è stata ricevuta dalla responsabile del Consultorio di Cologno Monzese dott.ssa Martello e dalla Dirigente del Distretto Sanitario dott.ssa Cazzaniga, alle quali erano state consegnate le proposte avanzate dal gruppo per assicurare un miglior accesso ai servizi di prevenzione.
Le due responsabili sanitarie, dopo avere espresso il proprio apprezzamento per la qualità dellíindagine svolta, hanno giustificato líesistenza dei tempi di attesa ammettendo che nel gennaio scorso si è verificata uníinterruzione del servizio che è stato riattivato poi gradualmente. Entro luglio le ore settimanali di ginecologia dovranno essere 20, utilizzando personale proveniente dal S. Gerardo di Monza. Tuttavia non è stato previsto di reintegrare le ore di servizio di ostetricia, coperte solo da una dipendente in part time. Il senologo sarà presente solo due volte alla settimana.
La delegazione ha sostenuto la necessità di ampliare gli interventi di prevenzione, anche attraverso líeliminazione dei ticket e attraverso campagne mirate di screening di massa.
Di fronte a queste richieste la posizione della controparte è stata quella di attribuire ogni responsabilità ai politici che decidono dei ticket. Eppure il consultorio di Cologno, come diversi altri consultori, non fa pagare i ticket per alcune prestazioni ai giovani al di sotto dei 25 anni, e non è stato chiarito perché non sia possibile riconoscere anche altre fasce a rischio e tutelarle allo stesso modo.
Le due dottoresse hanno anche cercato di sostenere che la prevenzione non sia poi così al di sotto del necessario, affermando che ad esempio la visita al seno, che generalmente veniva consigliata dopo i 40 anni, ora si tende a proporla dopo i 50. A questo proposito la dottoressa Cazzaniga ha assicurato che entro la fine di questíanno partirà, organizzata dalla Direzione Sanitaria dellíASL 3, una campagna di prevenzione dei tumori alla mammella rivolta alle donne di 50 anni di età che potranno accedere gratuitamente alla mammografia. Tale campagna sarà estesa successivamente alle donne tra i 50 e i 60 anni. La delegazione ha chiesto che le donne vengano avvisate in modo capillare attraverso líinvio di una cartolina a casa.
Altri screening di massa previsti dal piano triennale dovrebbero riguardare la prevenzione dei tumori al colon, alla prostata, ai polmoni. Di fronte allíinsistenza delle donne presenti perché venissero attivate ulteriori campagne gratuite di screening a favore della salute riproduttiva delle donne, la Dirigente del Distretto ha attribuito ogni responsabilità agli assessori della Regione che sarebbero i referenti per questo tipo di iniziative.
La delegazione valuta come positivo il bilancio delle azioni di pressione sulle istituzioni visti anche i ripetuti riscontri in sede delle assemblee dei Sindaci dei comuni della ASL 3 che hanno recepito  il documento elaborato dal gruppo di donne di via Pirandello.
Questi primi risultati positivi sono uno stimolo a moltiplicare líimpegno perché vengano raggiunti dei risultati concreti a vantaggio della salute pubblica, di tutte le donne e non solo di via Pirandello.
La stampa ha dimostrato interesse per la nostra inchiesta, ma ­ ci spiace constatarlo ­ in alcuni casi non ha saputo o non ha voluto cogliere il senso di questo intervento, mettendo ingiustamente in primo piano gli aspetti scandalistici che più facilmente fanno notizia.
Ci sembra quindi importante sottolineare quanto segue:
- líindagine è stata decisa, progettata, realizzata e rielaborata dal gruppo stesso di donne di via Pirandello, con la collaborazione di quante hanno accettato di rispondere al questionario anonimo. Non si tratta quindi di uno studio sulle donne del quartiere, ma delle donne: sono esse stesse che prendono la parola e decidono cosa dire e come dirlo.
- lo scopo è quello di ottenere un cambiamento concreto: nelle donne stesse, perché prendano in mano il controllo del proprio corpo; nei servizi sanitari, perché rispondano maggiormente alle esigenze dellíutenza.
- Le gravi carenze nella prevenzione dei disturbi ginecologici, dei tumori e delle gravidanze indesiderate, che abbiamo accuratamente documentato nel nostro territorio, con ogni probabilità corrispondono a una situazione generalizzata, tanto che, come riportava la stampa, le autorità sanitarie stanno progettando di promuovere analoghe indagini in altre aree per accertare la diffusione del fenomeno. Alle donne di via Pirandello va dunque il merito di avere denunciato con coraggio una situazione di oppressione, proponendo delle vie di uscita, in un momento in cui i servizi pubblici a favore della salute delle donne stanno riducendosi drammaticamente nel silenzio generale.

Sono fuori luogo allora, alla luce di queste semplici osservazioni, quei titoli di giornale che, dando esclusivo risalto allíincidenza degli aborti, mostrano sotto una cattiva luce le abitanti delle case popolari, amplificando i peggiori stereotipi che tradizionalmente sono serviti a emarginare questi settori della popolazione.
Ci auguriamo di leggere sulle testate locali titoli che finalmente riconoscano la forza e il potere conquistato da quelle poche donne che, contrariamente alla mentalità che ci vuole isolate, chiuse in casa a pensare alle faccende domestiche e rimbambite davanti alla televisione, hanno avuto la costanza di riunirsi ogni settimana per anni, sono andate a bussare a tutte le porte del quartiere, hanno insistito tenacemente per allacciare un dialogo con le altre donne, credendo fermamente nella possibilità di cambiare le cose, usando líintelligenza e coltivando la solidarietà.

 

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